Boris | SpecialiBoris: una storia italiana

Quando troviamo una serie che sopravvive al giudizio del tempo è giusto celebrarla. Credeteci, di serie fatte male ne abbiamo viste parecchie. Ma Boris non è tra queste.

Appena Boris ha messo piede su Netflix è entrata subito nella Top Ten delle più viste in Italia. Come ha fatto una serie vecchia più di 10 anni a farsi strada nel catalogo Netflix, così vasto e vario, pieno di eccellenze (ma anche tanta ‘monnezza)? Oltre a un formato pressoché unico nel panorama italiano, cosa la rende speciale? Cosa continua a renderla attuale? E perché rimane tutt’oggi la più divertente serie mai fatta in Italia? Bucio de culo?

Un’altra televisione è (stata) possibile

Andando a scavare negli archivi storici del web abbiamo scoperto che, quando nel 2006 Boris era ancora in produzione, i primi comunicati stampa di Fox Italia pubblicizzavano la partecipazione di Pietro Sermonti, già famoso per Un Medico in Famiglia, Caterina Guzzanti, sorella di Corrado e Sabina, e Carolina Crescentini, al tempo nota per Azzurra di Notte Prima degli Esami 2. A loro si aggiungeva anche il nome di uno sconosciuto, Francesco Pannofino, al tempo un “popolare” doppiatore – chissà in quanti lo avranno ricollegato alla voce di George Clooney, Denzel Washington o William Petersen, il Grissom di C.S.I.: Crime Scene Investigation?

Eppure oggi al solo sentire la parola Boris si ha subito indelebile l’immagine di René Ferretti, il regista di Occhi del Cuore 2 (la finta soap girata dai protagonisti), che grida “Motoreeiii!” e fa le faccine dietro al monitor. Grazie alla plastica recitazione di Francesco Pannofino, René è cresciuto di importanza col passare degli episodi e ci ha mostrato l’innegabile talento del suo attore. È certamente grazie a lui che il personaggio è diventato iconico nell’immaginario collettivo italiano, citato anche da chi la serie non l’ha mai vista. Oggi gli attori di Boris popolano le fiction Rai, che prendevano in giro 10 anni fa, mentre gli sceneggiatori (quelli veri, non i cialtroni di Sceneggiatura Democratica), Luca Vendruscolo, Giacomo Ciarrapico e Mattia Torre hanno continuato a scrivere per il cinema e la televisione. Il regista Davide Marengo, subentrato alla terza stagione, ha inoltre firmato Il Cacciatore, che qui abbiamo molto apprezzato.

Ma tu ti rendi conto di cosa succederebbe se veramente qualcuno facesse una fiction più moderna? Ben scritta, ben recitata, ben girata?
– Diego Lopez, il delegato di Rete

Questa piccola sit-com irriverente e anti-convenzionale è stata quindi il catalizzatore di diversi successi. Ironia della sorte, l’unico successo che Boris non è riuscito ad ottenere è tragicamente il proprio. Quando uscì Boris faceva un quinto degli ascolti di Lost e persino il responsabile di Fox Italia Marta Bertolini ha ammesso al Wired Next Fest 2018 che «la sua fortuna fu la pirateria» e «su Fox la guardava pochissima gente». Era inevitabile quindi che dopo tre stagioni la chiudessero.

Puzza(va) di capolavoro

Pochi sanno che all’inizio Boris si chiamava Sampras, come il tennista. Ma a quanto pare la Nike s’era già registrata il nome per vendere le scarpe e quindi il titolo fu modificato per non rischiare una causa (i fan più sfegatati possono però vedere su YouTube l’omonimo pilota presentato alla Festa Internazionale del Cinema di Roma del 2006). La serie fu presentata dai creatori Luca Manzi e Carlo Mazzotta al produttore e fondatore della Wilder Lorenzo Mieli, figlio di Paolo, il direttore di giornale e conduttore de La Grande Storia. Non ci è dato sapere quale fosse quella prima iterazione. Quello che sappiamo è che solo con il trio Vendruscolo, Ciarrapico e Torre il concept ha acquisito quel sarcasmo e quella satira della fiction e di costume che l’ha resa una serie di culto.

Abbiamo cominciato co’ ‘na scarpa e ‘na ciavatta
– Francesco Pannofino

Gli autori sono riusciti a mascherare abilmente le limitazioni di budget ridando la sensazione che esistesse un mondo fuori da quelle quattro mura finte dello scalcinato teatro di posa sul raccordo anulare. Il mondo di Boris è simile al nostro. La Magnesia ricorda la Magnolia, la Rai diventa la Rete e Mediaset la Concorrenza. Le amate fiction Rai Capri e Vento di Ponente diventano Caprera e Libeccio. Nella realtà Machiavelli è stato infine realizzato col nome de I Medici – e per capire come sia stato possibile l’unica è chiedere a Tarzanetto. Tutte operazioni politicamente corrette, ma estremamente pungenti e divertenti. Con l’intenzione di fare parodia Boris ha anticipato il world-building che è stata la fortuna di serie Marvel e DC come Daredevil e Arrow.

Adesso è facile dirlo, ma immaginiamo che al tempo una serie così non attirasse molti partner in affari – e probabilmente non li attira tuttora, visto che un’altra simile non è stata più fatta. Se Fox non l’avesse accettata Boris non sarebbe esistita, perché di certo Mieli non sarebbe potuto andare alla Rai né a Mediaset. E vale la pena ricordare che la serie che ha dato inizio alla rivoluzione seriale in Italia e convinto Sky a investire su prodotti italiani, che potevano essere venduti in tutto il mondo, è stata Romanzo Criminale – La Serie, la cui prima messa in onda sarebbe arrivata solo a Novembre 2008. Se Lorenzo Mieli ha fiutato l’affare comprando l’idea per proporla a Fox Italia, Fox Italia ha sicuramente avuto il coraggio e l’audacia di far partire la produzione e metterla in onda in quel lontanissimo 16 Aprile 2007.

Boris è stata anche una delle ultime produzioni della Wilder. Poco dopo la fine della terza stagione si sarebbe infatti fusa con la OffSide di Saverio Costanzo, al tempo regista del celebrato Private nonché fijo de Mazinga, ovvero Maurizio Costanzo. Le due società insieme dettero vita alla fortunatissima Wildside, la casa di produzione responsabile de L’Amica Geniale, la saga di 1992 e The Young Pope – per citarne solo alcune. Senza Boris, quindi, Sorrentino non avrebbe mai diretto una fiction – senza ocra e senza distruggerla.

Chi ha sparato al Conte? ‘Sto cazzo!

Aver rivisto Boris dopo tanto tempo è stato come aver passato una serie di bellissime serate con l’amico del cuore. Il ritmo, la scrittura e la sagace analisi del mondo delle fiction rimangono straordinariamente attuali. Non viviamo più quel periodo di saturazione da soap da cui nasceva l’idea, ma paradossalmente Occhi del Cuore ci fa riflettere su come certi meccanismi siano entrati nella produzione seriale moderna senza che ce ne siamo accorti – e senza mano a cucchiara. Gli artificiosi tira-e-molla sentimentali tra il dottor Giorgio (Stanis), Giulia (la Cagna maledetta), Sofia (‘a fija de Mazinga) e Sandra Gusberti (Karin le Cosce) ricordano tanto quelli di serie come Elite o La Casa di Carta. Con le dovute differenze, chi non ha paragonato L’affaire Martellone al ben più famoso affaire Kevin Spacey e la sua improvvisa dipartita da House of Cards?

Questa è la puntata di chiusura, quindi, non ci sono più storie sospese. Okay? Nessuno è più basito. Chiaro? Nessuno è più basito, nessuno è più sorpreso. Ognuno di voi ha capito tutto!
– Arianna Dell’Arti, l’assistente alla regia

La locura, ovvero «il peggior conservatorismo che, però, si tinge di simpatia, di colore, di paillettes», altro non è che l’espediente usato da prodotti Rai come Tutti Pazzi per Amore e È arrivata la felicità. Sostituite l’anello del conte con un trono forgiato da un drago con 1000 spade (Game of Thrones), una protomolecola aliena (The Expanse) o l’uovo di Watchmen e avrete padroneggiato l’italianissima definizione di MacGuffin, una tecnica narrativa che serve a dare dinamicità alla trama e ai personaggi l’illusione di un obiettivo senza fornire nessuna spiegazione. In tutta onestà, chi può negare che il finale di Lost non assomigli all’ultima puntata della prima stagione di Boris in cui gli attori di Occhi del Cuore devono far finta di aver capito tutto?

Il sordomuto, il senatore e gli equilibri del Paese

‘Sto lavoro se fa soltanto in due modi. Il primo è co’ ‘a fissa dei sindacati, co’ ‘a paura de fasse male, co’ ‘a voglia sempre d’annassene a casa. Il secondo, invece, è con la passione
– Sergio, il direttore di produzione

Se Boris è riuscito a far breccia in un pubblico ignaro del set è perché con le dinamiche tipiche di una produzione televisiva (ma il cinema non crediamo sia molto diverso) ha fotografato il mondo del lavoro in Italia meglio di qualsiasi opera di impegno sociale. La precarietà imposta a Seppia è una realtà tristemente nota alla maggior parte dei giovani (e non) che iniziano a lavorare senza garanzie. Le dinamiche di qualsiasi ufficio spesso si possono magistralmente riassumere con «la qualità c’ha rotto er cazzo» o un semplice «fa parte del professionismo farsi i cazzi propri, capito? E invece me dai l’idea che tu nun te li fai mai i cazzi tuoi!». Chi non ha subìto a lavoro atti di nonnismo simili o peggiori a quelli di Lorenzo, detto anche Merda, alzi la mano.

Ma chi è il colpevole, René? Ma il bel magistrato Anna Pardieri! Sulla magistratura si può andare addosso tranquillamente. L’argomento è straordinariamente bi-partisan
– Diego Lopez, il delegato di Rete

Quando Merda diventa operatore alla macchina perché lo zio (che lui schifa proprio per la sua corrente politica) vince alle elezioni e quando viene cambiato il direttore della clinica di Villa Orchidea per dare «un segnale forte al senatore Sabelli», assistiamo a un modus operandi tipicamente italiano riscontrabile nella vita di tutti i giorni. Boris nasceva come satira di un momento politico ben preciso, in cui i vari governi Berlusconi si alternavano ad altrettanti di sinistra. Ma anche se quel capitolo della nostra politica si è chiuso (anzi, non ancora), quelle politiche di raccomandazioni e ingerenze nel mondo dello spettacolo, e in generale nella vita quotidiana, non se ne sono mai andate. Questo aspetto dell’Italia probabilmente non cambierà mai.

Buona festa del Grazie!

No, Renato. Ne facciamo un’altra per favore? Voglio dire “Pandemia” al posto di “Epidemia”. È più bello, più forte… più attuale
– Stanis LaRochelle, il divo

Questo non è «un omaggio a una serie americana», ma a una serie italiana che ci ha fatto ridere mostrandoci in modo intelligente i nostri difetti. Non è la scopiazzatura del Ringraziamento, è un sincero “Grazie” da parte di tutti i fan della serie per le emozioni che ci avete regalato, un “Grazie” particolare a Roberta Fiorentini e Mattia Torre, che non ci sono più (non per il Covid-19, n.d.a.). Ci piace immaginarli insieme che ridono davanti a un piatto di quaglie.