WandaVisionLo schermo e la strega

Series Finale Disney+ e Marvel Studios aprono con l'artiglieria pesante la Fase 4 dell'MCU, confezionando una serie che ha nella meta-narratività un grandissimo punto a suo vantaggio.

9.8

Attenzione, questo articolo potrebbe contenere tracce di spoiler, radiazioni cosmiche di fondo e frutta a guscio.

Bisogna essere onesti. Al momento dell’annuncio di WandaVision da parte della Marvel/Disney, personalmente chi scrive non avrebbe puntato un euro sulla serie, convinto che si sarebbe trattato di un progetto fallimentare. Già dal primo trailer, però, ha cominciato a farsi strada l’idea delle enormi potenzialità del prodotto, puntualmente confermate (se non superate) a distanza di pochi giorni dalla messa in onda dell’ultimo episodio.

Non ci occuperemo qui dei contenuti prettamente nerd dello show, demandando ai nostri podcast (vedasi nota in fondo) quella specifica parte – sottolineiamo marginalmente, però, l’encomiabile coerenza di stile e trama nel trasporre le dinamiche dell’MCU sul piccolo schermo, dotandole al contempo di una fortissima caratterizzazione a sé stante. In questa sede ci preme più che altro evidenziare il valore di una serie che ha nella sua particolare forma narrativa un valore aggiunto, che la rende un prodotto qualitativamente eccellente nonostante l’ingombrante tara della Marvel (che sparisce, non a caso, anche dal titolo).

Per chi se lo fosse perso, WandaVision è il primo prodotto televisivo a firma Marvel Studios non solo a rientrare canonicamente nelle trame dell’universo cinematografico – cancellando ufficialmente, grossolanamente e anche ingiustamente in alcuni casi, le serie a marchio Marvel Television precedenti – ma a determinare in maniera propedeutica gli sviluppi di quell’universo stesso, diventandone una parte essenziale per coprire la vastità degli eventi messi in moto. A questa già rilevante responsabilità si aggiunga che WandaVision ha avuto anche l’onere di aprire la Fase 4 dell’MCU, di fatto gettando le basi per la difficile transizione che porterà a una nuova, probabile formazione degli Avengers.

Come se non fosse sufficiente, data la scelta dei personaggi protagonisti (Wanda nei fumetti è una mutante e non una qualsiasi – al netto di retcon che ci rifiutiamo di accettare) e la quasi coeva acquisizione dei diritti degli X-Men dalla Fox, non c’è voluto molto a che si facesse largo l’idea che la serie potesse essere un pretesto per aprire la strada ai mutanti nell’MCU, anche in vista del multiverso sbandierato già nel titolo del secondo film del Dottor Strange, cui Wanda prenderà parte.

Wanda si è vista perdere tutto e la sua fuga dalla realtà inverte i poli della questione, diventando una fuga della realtà, portando la televisione fuori, piuttosto che chiudendosi in essa

Queste premesse sono doverose per comprendere appieno l’esperienza generata da WandaVision e fondamentali per apprezzare il riuscitissimo sforzo di rendere funzionali le scelte narrative e meta-narrative dello show. La decisione di Wanda di riscrivere la realtà di Westview secondo i canoni delle sitcom statunitensi non è una sola ricorrenza di trama legata all’essere cresciuta guardando quei particolari spettacoli, bensì un portale che apre al multiverso meta-narrativo dello show, che con un incastro a orologeria stratifica un delicato omaggio all’evoluzione seriale e contemporaneamente diventa metafora dei meccanismi mentali che cercano di difenderci dall’insostenibilità del dolore nella nostra vita.

Wanda si è vista perdere tutto e la sua fuga dalla realtà inverte i poli della questione, diventando una fuga della realtà, portando la televisione fuori, piuttosto che chiudendosi in essa. Lo schermo diventa la realtà di Wanda e della sua rinnovata famiglia: il pretesto dell’evoluzione delle sitcom racconta il cambiamento delle dinamiche famigliari occidentali. In un complesso gioco di specchi e rimandi, la televisione diventa il fulcro narrativo e, soprattutto, meta-narrativo nel momento in cui il medium è al centro della trasposizione mediale dell’MCU.

La scelta di mettere al centro il piccolo schermo non è una mera ragione di trama, ma il geniale perno di un universo intero che sta trasmigrando e deve appropriarsi di dinamiche che non gli sono del tutto proprie: in televisione, parli di televisione mentre mostri la televisione. Non è chiaramente la prima volta che assistiamo a una meta-narrazione e i modelli più smaccatamente citati dalla serie ne sono un esempio (InceptionThe Truman Show, Westworld, Il mago di Oz), ma qui abbiamo una commistione talmente efficace che non è facile districarsi tra i vari nodi meta-testuali.

L’ESA diventa lo schermo attraverso cui Darcy osserva quella che per Westview è la realtà, a sua volta una finzione generata dai poteri di Wanda e, proprio come la televisione, entrare a contatto con quello schermo ci cambia, ci assorbe, ci modifica internamente, confondendo il piano della finzione e del reale (oggi più che mai). Il tutto mentre l’evolversi delle sitcom racconta i meccanismi dietro/dentro il televisore, rivelando quanto società e media siano co-dipendenti, tracciando un ritratto della famiglia (o meglio, della percezione della famiglia) statunitense: apparentemente serena, imperniata sul lavoro del capofamiglia negli anni 50/60; pronta ad allargarsi ai figli negli anni 70, ma ancora patinata, senza crepe nella sua fulgida rappresentazione idilliaca, pronta però a incrinarsi negli anni 80, quando lo schermo cerca di non nascondere sotto il tappeto le normali crisi che ogni coppia affronta.

È qui che Visione matura i suoi primi dubbi, destinati ad aprire la crisi degli episodi successivi, ambientati ormai negli anni duemila, in cui la televisione mostra più del didascalico, addentrandosi in astrazioni che, da un punto di vista formale, si traducono sia nella rottura della quarta parete (in questo caso sesta parete) sia nell’evoluzione delle sigle, cartine tornasole fondamentali per comprendere il passaggio da una narrazione semplice, lineare, a una più complessa, costruita con e sul cold open.

Strettamente legato alla questione del progresso televisivo è il tema dell’identità, che cresce in ogni episodio/decade fino all’esplosione nel finale, quando ciascun membro della famiglia di Wanda e Visione ha ben chiaro il proprio ruolo e la propria funzione, nella ripresa che li vede insieme nella posa da supereroi. Una soluzione che arriva dopo aver abbattuto le finzioni e soprattutto gli schermi (presenti sempre poco prima che avvenga qualcosa di decisivo): Agatha che vede dalla finestra Monica e Wanda e irrompe, abbandonando la propria finzione; i gemelli che guardano da dietro il vetro il padre combattere contro la sua controparte e decidono di intervenire; Monica che osserva Wanda andare via incontro ad Agnes, dalla finestra di casa di Quicksilver Ralph Bohner; Wanda e Visione che osservano dalla finestra l’inquietante incedere dell’ESA che incombe sulla loro felicità.

Schermi e filtri come maschere e costumi: nati per camuffare ma che, nell’invertito mondo della finzione, rivelano la vera identità dei protagonisti

Schermi e filtri come maschere e costumi: nati per camuffare ma che, nell’invertito mondo della finzione, rivelano la vera identità dei protagonisti. Tarantinianamente, Wanda e Visione si travestono da comuni cittadini, nascondendo le loro identità di eroi, che però inconsciamente l’episodio di Halloween riporta a galla nelle loro maschere: liberi di essere sé stessi, Wanda utilizza i suoi poteri di fronte a tutti e Visione cerca la fuga dall’ESA, mentre anche Agnes si maschera da Agatha per non essere da meno e i piccoli Billy Tommy fanno sfoggio dei propri poteri per la prima volta, proprio come se i costumi li avessero liberati.

Con abilità, gli sceneggiatori recuperano il vero cuore dell’MCU e lo pongono con coerenza al centro della serie: la conciliazione della propria identità di eroe con la propria natura umana, la coincidenza di un sostrato comune, quello che ci rende parti dell’umanità, con la natura particolare del proprio io, che nei supereroi diventa la caratterizzazione dei poteri. In questa presa di coscienza poggia l’universo cinematografico Marvel, in quell’«io sono Iron man» che ricostruisce letteralmente l’universo ma che richiama i percorsi singoli di ciascun eroe a cui sia stato dedicato un film stand-alone, e che viene qui fortemente richiamato dall’esplicita citazione «io sono Visione», pronunciata dal protagonista che ha appena recuperato i ricordi e quindi la propria identità.

Un’identità che, didascalicamente, non è mai unica. La nave di Teseo è molto esemplificativa al riguardo: noi siamo e non siamo contemporaneamente noi stessi; esistono due Visioni e non per questo non può esistere un solo Visione. Wanda è sé stessa e anche la Scarlet Witch, ma per arrivare a questa conclusione deve passare dallo scontro. Non con sé stessa, come avviene per Visione, ma con Agatha, che ne è il doppio corrotto, un’identità aliena che si è insidiata in lei come nell’ESA e che deve essere non espulsa, ma integrata nelle corrette fattezze per garantire la presa di coscienza della nuova identità.

Proprio per questo lo scambio di ruoli tra le due è più subdolo, meno urlato di quello di Visione: è Wanda a manipolare l’ESA o Agatha? Quando avviene lo scambio di ruoli tra le due? A tratti Agnes è la Strega, a tratti Wanda è Agatha (mirabile in questo gioco di rimandi, la scena di Wanda e Agatha a Salem, dove l’una prende il posto dell’altra, una volta al palo, una volta libera).

Si tratta di un’identità (o meglio, un fascio di identità) che non può però prescindere da ciò che è fuori di noi, dagli altri. Wanda non può lasciare liberi i cittadini di Westview e contemporaneamente vivere la propria utopia: la televisione non trasmette per sé, ma per essere vista, guardata, riconosciuta. Noi siamo in virtù dei nostri ricordi, ma essi non sono vuoti rimandi a noi stessi, bensì pezzi di gemma della Mente con cui costruiamo letteralmente la realtà che ci circonda, non diversamente da Wanda.

Nell’ottavo episodio, chiamato ancora più genialmente degli altri Previously On, intraprendiamo un viaggio nei ricordi della Maximoff (e di Agatha, sempre per la questione del doppio) che non è solo un gioiello di meta-scrittura, arrivando a quattro livelli di narrazione, ma anche un accorato omaggio al valore della memoria e dei ricordi legati alla televisione, schermo che condiziona ciò che memorizziamo (e che memorizza ciò che siamo).

Nello spazio televisivo creato da Wanda – cioè in quella che è la sua vita (e per riflesso dunque la nostra) – i ricordi sono talmente importanti da venire prepotentemente fuori, nonostante gli incantesimi, in quello che è l’elemento vitale della televisione: lo spot pubblicitario. Senza i ricordi – o, per dirla televisivamente, i flashback (che possono essere alterati come il video di Hayward) – siamo esseri senza emozioni, Visioni bianche, effetto neve su uno schermo.

 

Nota

Di WandaVision si è occupato il nostro podcast sulle serie TV, Il Bello, il Brutto e il Cattivo nell’episodio 32 e se ne parlerà nel nostro podcast sul nerdom, Polo Nerd, il prossimo 21 marzo con una diretta su Spreaker.

  • 9.5/10
    Storia - 9.5/10
  • 10/10
    Tecnica - 10/10
  • 10/10
    Emozione - 10/10
9.8/10

Summary

WandaVision riesce nel compito di portare le emozioni dell’MCU sul piccolo schermo, contemporaneamente spostando l’asticella della qualità verso l’alto, impostando una meta-narrazione di livello e con una dedizione tecnica eccezionale – su tutto interpretazioni e comparto sonoro.

Porcamiseria

9.8

WandaVision riesce nel compito di portare le emozioni dell'MCU sul piccolo schermo, contemporaneamente spostando l'asticella della qualità verso l'alto, impostando una meta-narrazione di livello e con una dedizione tecnica eccezionale - su tutto interpretazioni e comparto sonoro.

Storia 9.5 Tecnica 10 Emozione 10
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