TrustTrust: a cosa dai valore quando hai già tutto?

Anteprima Abbiamo visto in anteprima i primi tre episodi della nuovissima serie firmata da Danny Boyle e vi raccontiamo le nostre impressioni, ovviamente senza spoiler.

7.5

John Paul Getty. Fondatore di un impero industriale che l’ha reso uno degli uomini più ricchi e potenti del pianeta. Capostipite di una famiglia composta da cinque figli nati da altrettante mogli e quattordici nipoti. Ricco al punto da poter fondare musei e aspirare a recuperare reliquie dal British Museum per farne uso personale.

Se il tutto può sembrare uno stereotipo, potremmo anche pensare che gli stereotipi nascano per forza di cose da qualche realtà e che, probabilmente, Getty è un modello perfetto in tal senso. Quando si è così ricchi e potenti, le strade sono potenzialmente due (senza soffermarci sulle innumerevoli varianti): si crea una dinastia almeno apparentemente unita come quella dei Kennedy o si dà vita a una famiglia che, di tale, ha solo il nome e forse ormai neanche quello.

Inutile a dirsi che Getty rientrò in questo secondo caso e Trust, la nuova serie in dieci episodi prodotta per FX da Danny Boyle e in onda in Italia su Sky Atlantic HD dal 28 marzo, ha come scopo principale quello di esplorarne varie angolazioni usando come scusa lo stesso evento su cui Ridley Scott ha basato il suo ultimo film Tutti i soldi del mondo: il rapimento del giovane John Paul Getty III avvenuto in Italia nel 1973.

Boyle vuole ovviamente raccontarci la vicenda, ma gli interessa il contorno quanto il piatto principale

Definire “scusa” quello che in teoria dovrebbe essere l’elemento principale di questa serie può sembrare un’affermazione forte, ma l’evidenza di questi primi tre episodi spinge in questa direzione: Boyle vuole, ovviamente, raccontarci la vicenda, ma non gli interessano i fatti duri e puri, bensì ciò che ha portato agli avvenimenti, il contorno quanto il piatto principale, e le conseguenze immediate e – sospettiamo – future di questi.

È in quest’ottica che ognuno di questi episodi si focalizza su ambientazioni, situazioni e, in buona parte, personaggi diversi in cui l’unico elemento comune, ma non sempre principale, è, ovviamente, il giovane rampollo. Se quindi il primo episodio ci introduce al grande mondo dei Getty, il secondo si focalizza sulle prime reazioni al rapimento e il terzo diventa un come siamo arrivati qui” che riempie vuoti che lo spettatore neanche sospettava ci fossero.

Il risultato è uno spaccato di una famiglia completamente allo sbando, con un patriarca tanto affarista quanto incapace di gestire i benché minimi rapporti umani, che si trasformano in nient’altro che relazioni d’affari per niente riuscite. Un uomo che pensa di poter pretendere senza accorgersi di non dare nulla, che accumula ricchezze, donne e figli senza distinzione alcuna. Una famiglia in cui un figlio, John Paul Jr., passa il proprio tempo a recriminare l’incapacità genitoriale del padre mentre la sua stessa progenie finisce vittima di altrettante mancanze da parte sua.

Quando hai tutto ciò che avresti mai potuto sognare a cosa dai valore? A nulla.

Il suicidio di un membro non fa altro che sottolineare le ombre del lato umano dell’impero dei Getty, in cui nessuno tiene veramente a nessuno e in cui tutti cercano un proprio spazio in un mondo che non sia quello di famiglia, pur non sganciandosi mai dai soldi associati al proprio nome. Una dicotomia vista tante volte e che qui arriva come una sequenza di pugni nello stomaco che portano a non poter empatizzare con nessuno dei personaggi in scena, neanche con la madre di Paul III, interpretata da una brava Hilary Swank, incapace di educare i propri figli e nascosta dietro i suoi “che ci posso fare”?

Tutto è studiato nei minimi termini per ottenere i risultati più invasivi possibili

Stilisticamente parlando, questi tre episodi rappresentano la summa di tutto ciò che è la firma di Boyle. Dai lunghi piani sequenza alle inquadrature con angolazioni assurde, dalle accelerazioni temporali alle scene oniriche, dall’utilizzo della musica come elemento sovrastante a scene che utilizzano il picture-in-picture fino ad arrivare all’espressivo uso del colore come parte integrante del racconto: non è un caso che le scene ambientate nel palazzo e nei dintorni della magione dei Getty abbiano dominanti fredde e scure e che, invece, le vicende legate ai momenti di “fuga” di Paul III siano cariche di colori stroboscopici che vengono poi, di nuovo, sostituiti da accese tinte calde e tendenti al pastello quando ci si trasferisce nella campagna romana. Boyle sfrutta tutti gli strumenti a sua disposizione, come farebbe un bambino libero di scorazzare in un negozio di giocattoli: può capitare che in un episodio un personaggio sfondi la terza parete e che in un altro scene girate ex-novo vengano alternate a immagini di repertorio.

Tutto è studiato nei minimi termini per ottenere i risultati più – possiamo dirlo – invasivi possibili. E questa, forse, è una critica che si potrebbe portare a questi primi episodi: sono tanti e vari gli stili utilizzati nei primi 180 minuti che lo spettatore finisce quasi per trovarsi sovraccarico di stimoli sensoriali; un risultato – ne siamo certi – voluto e in linea con la firma del regista, ma che su un pubblico più generalista potrebbe non essere sempre accolto al meglio. C’è da dire che i restanti sette episodi avranno tre registi diversi, per cui sarà da vedersi quale sarà la continuità da questo punto di vista.

Per quanto riguarda la fedeltà alla realtà degli eventi, non crediamo che sia la priorità degli autori, il cui scopo è più quello di raccontare la loro storia ispirandosi ai fatti piuttosto che farne un reportage più o meno diretto: è in quest’ottica che vanno inquadrate alcune scelte narrative e la presenza di personaggi che dubitiamo essere esistiti realmente (la Statua) o che ci chiediamo se siano stati resi in modo fedele (come il texanissimo Chace interpretato da un bravo Brendan Fraser). Quello che lascia più dubbiosi, come spettatori italiani, è vedere tanti personaggi parlare inglese nell’Italia del 1973: ci piacerebbe credere che fosse così, ma ci sentiamo di dubitarne fortemente.

E proprio parlando dei personaggi italiani, siamo felici di poter dire che il cast nostrano non sfigura coi grandi nomi stranieri e se già Giuseppe Battiston e Andrea Arcangeli ben si immergono nel proprio ruolo, Luca Marinelli dà di nuovo sfoggio del proprio talento interpretando un Primo spietato e al contempo ironico che ha le potenzialità per diventare uno dei migliori personaggi della serie.

Personaggi tra i quali è d’obbligo e quasi banale citare il grandissimo Donald Sutherland nel ruolo di Getty Senior, splendidamente capace di trasmettere la spregiudicatezza dell’anziano uomo d’affari e, contemporaneamente, la fragilità nata dall’intima coscienza di aver fallito nel privato, una consapevolezza negata anche a se stesso.

Dopo tre episodi possiamo quindi dire che la serie riesce a incuriosire, stupire e frastornare: sarà interessante vedere quali strade narrative verranno intraprese e quali scelte registiche verranno mantenute o introdotte.

Trust sarà trasmessa in prima tv esclusiva su Sky Atlantic HD in contemporanea con gli Stati Uniti dal 28 marzo, ogni mercoledì dalle 21.15.

Porcamiseria
  • 7.5/10
    Storia - 7.5/10
  • 8.5/10
    Tecnica - 8.5/10
  • 6.5/10
    Emozione - 6.5/10
7.5/10

In breve

Nel pieno stile di Danny Boyle, i primi episodi di questa nuova serie usano la vicenda del rapimento Getty per raccontare le poche luci e le innumerevoli ombre di una famiglia che, apparentemente, ha tutto.

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Porcamiseria

7.5

Nel pieno stile di Danny Boyle, i primi episodi di questa nuova serie usano la vicenda del rapimento Getty per raccontare le poche luci e le innumerevoli ombre di una famiglia che, apparentemente, ha tutto.

Storia 7.5 Tecnica 8.5 Emozione 6.5
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