American Crime Story1×02 The Run of His Life

Dopo il pilot rivelatosi ben al di sopra di ogni più rosea aspettativa, la prima stagione di American Crime Story preme con decisione sull’acceleratore, in questo secondo episodio dalla durata nettamente inferiore (39 minuti) ma estremamente denso di avvenimenti. La prima stagione di questa serie antologica affronta un tema delicato sotto più punti di vista: il processo a […]

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Dopo il pilot rivelatosi ben al di sopra di ogni più rosea aspettativa, la prima stagione di American Crime Story preme con decisione sull’acceleratore, in questo secondo episodio dalla durata nettamente inferiore (39 minuti) ma estremamente denso di avvenimenti.
La prima stagione di questa serie antologica affronta un tema delicato sotto più punti di vista: il processo a O.J. Simpson, giocatore di football balzato agli onori delle cronache per l’accusa di duplice omicidio di Nicole Brown (la moglie) e di Ronan Lyle Goldman. Rappresentare una vicenda storica di questa portata senza scadere nel banale o nel già visto è sempre un azzardo – considerato che l’esito del processo in questione è ormai noto praticamente a chiunque – e proprio per questo, la serie si prefigge come obiettivo principale non quello di raccontare asetticamente le dinamiche del processo, ma di scavare a fondo nella psicologia dei personaggi coinvolti nel caso.

In “The Run of His Life”, ambientato immediatamente dopo il cliffhanger finale del primo episodio, assistiamo alla storica fuga di O.J. a bordo della Bronco Bianca con la collaborazione dell’amico di lunga data Al Cowlings, che sembra avere una sorta di venerazione per il collega. Quello che appare inizialmente un favoreggiamento alla fuga da parte di Al, ipotesi coadiuvata dall’adorazione che l’uomo nutre nei confronti del più celebre collega, si rivela una specie di ricatto nel momento in cui lo stesso afferma che O.J. è seduto nel sedile posteriore con una pistola puntata alla tempia, minacciando di premere il grilletto.

american crime story 1x02 the run of his life recensione

In una sorta di critica più puramente sociale – ricorrente, del resto, in tutte le serie prodotte da Ryan Murphy – emerge chiaramente un quadro complessivo in cui le forze dell’ordine si trovano totalmente impreparate (o meglio, con le mani legate) a far fronte ad una situazione di emergenza di tale calibro.
In primo luogo, l’impatto mediatico di tutta la vicenda costringe la polizia ad agire in modo estremamente cauto, forse troppo, consentendo ad O.J. prima la lunga fuga in barba a qualunque diktat e successivamente (stavolta su concessione) il ritorno dalla propria famiglia. Inoltre, la mancanza di un protocollo specifico in casi come questo apre a tutta una serie di questioni di natura più prettamente politica sull’efficacia delle misure di sicurezza in vigore all’epoca negli Stati Uniti. Emblematico, in questo senso, è il ruolo completamente assente dell’accusa, che in questa fase non può far altro che assistere impotente ai tentativi di cattura.

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Di fronte a una situazione del genere, in cui le forze di polizia e i procuratori escono completamente puliti nelle intenzioni e nell’animo ma chiaramente distrutti nell’immagine pubblica, è perfettamente normale che le parti più riuscite dell’episodio si concentrino sul punto di vista degli alleati di O.J., dipingendone in modo quasi sistematico i tratti negativi.
Non è dato sapere se questa netta differenziazione nel rappresentare le due fazioni (“buoni” contro “cattivi” sembra un’esagerazione, ma è realmente quanto emerge da questo secondo episodio) sarà una costante anche dei prossimi episodi, ciò che è certo è che tutti gli alleati di O.J. – Kardashian esclusi – vengono generalmente rappresentati con una pesante dose di egoismo, o quantomeno noncuranti.

Esempio perfetto di ciò è Robert Shapiro, figura controversa dell’immaginario collettivo dell’epoca: dopo aver tentato in tutti i modi di ritardare l’arresto – usando espedienti non propriamente corretti – appare sinceramente stupito della fuga di O.J. e delle suicide notes lasciate come eredità del suo fallimento nei confronti della propria famiglia, salvo poi affrettarsi a giustificarsi in conferenza stampa. La dichiarazione ai giornalisti, nonostante le apparenti caratteristiche di supplica a O.J. per indurlo a ritornare all’ovile, ha il sapore amaro (e subdolo) della discolpa, come a voler prendere le distanze per assicurarsi – almeno lui – un’integrità di immagine ormai appesa ad un filo.

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Un discorso simile può essere affrontato per i sostenitori di O.J. che – dettaglio non trascurabile – sono sostanzialmente di colore. La discriminazione razziale è un altro dei temi chiave in tutte le opere di Murphy, e qui – data la natura del caso – questo elemento diventa un vero e proprio elemento fondante della trama: gli attriti tra la popolazione di colore e le forze dell’ordine negli Stati Uniti rappresentano ancora un tema di estrema attualità e, almeno in questo episodio, la “fazione” a difesa di O.J. (e, per estensione, delle persone di colore) non viene dipinta in modo totalmente positivo, quasi a voler minimizzare l’intera questione della discriminazione razziale da parte della polizia:

We’re not cheering for O.J.
We’re booing the L.A.P.D.!

E proprio le sequenze delle interviste ai manifestati e dell’assedio all’abitazione di O.J.   sono ben indicative di un’altra feroce critica alla società americana, in uno dei primi veri esempi di spettacolarizzazione della tragedia: non dissimilmente da quanto accade ai giorni nostri, i media si accavallano per rappresentare il dettaglio più scabroso nel minor tempo possibile (interrompendo addirittura la finale dell’NBA, come del resto realmente accaduto); le persone comuni, viceversa, seguono il caso con la curiosità morbosa tipica di chi, magari, vede in queste situazioni una sorta di rivalsa sul “personaggio famoso caduto in disgrazia” (come testimonia il boato di dissensi all’interruzione della trasmissione, seguito dal religioso silenzio per la diretta).

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La serie, insomma, mette nel calderone una serie innumerevole di riferimenti alla cultura popolare americana moderna e alla storia recente, e lo fa nel modo migliore possibile rasentando, in questo episodio, la perfezione formale e di contenuti. Complici le performance di tutto il cast, davvero eccellenti, il taglio dinamico della narrazione e l’innegabile fascino della vicenda raccontata, Murphy sta lentamente ma inesorabilmente costituendo le premesse per quella che potrebbe rivelarsi una delle migliori serie tv dell’anno.
L’unico rischio starebbe, appunto, nella noia che potrebbe subentrare nella narrazione di una vicenda ormai arcinota, tanto da divenire un vero e proprio caso di studio anche oltreoceano; visti, però, i risultati eccellenti di questo episodio (che narra di uno degli avvenimenti più iconici nella storia recente degli Stati Uniti lungo le autostrade che circondano L.A.) il pericolo è, per ora, completamente scongiurato.

4.5

 

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