American Crime Story1×10 The Verdict

Negli ultimi istanti del processo assistiamo per un'ultima volta a tutte le dinamiche messe in scena negli episodi precedenti, dall'incredibile passione di Marcia Clark ai bassi trucchetti di Cochran.

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The Verdict è il capitolo finale di questa grande, intensa prima stagione di American Crime Story. In 41 minuti lo straordinario susseguirsi di eventi si presenta come il riassunto perfetto di dieci episodi scritti e diretti in modo impeccabile, confezionati nel migliore dei modi e ricchi di performance brillanti.

La puntata ci narra le ultime ore del caso O.J. Simpson, dall’ultimo disperato appello di Marcia Clark alla giuria alla vittoria più o meno schiacciante del Dream Team.

Not guilty.

Tutta la puntata (e per estensione la serie) ruota attorno a questa frase, una frase composta da due semplici parole, una frase che però riesce in una manciata di secondi a scatenare le più diverse reazioni in tutti gli Stati Uniti. I cori della gente per strada ed il pianto della famiglia di Nicole sono le due facce della realtà, le due dimensioni che American Crime Story ha voluto fin da subito sviscerare ed analizzare in modo approfondito. L’estrema delusione di Marcia, l’incertezza di Kardashian, le lacrime di commozione di O.J., in The Verdict abbiamo ogni aspetto della vicenda messo a nudo per un’ultima volta. La terribile contrapposizione della disperazione per la proclamata innocenza di Simpson e la felicità della comunità afroamericana danno agli ultimi venti minuti dell’episodio un’aria piuttosto malinconica e pesante; lo spettatore ha la consapevolezza che il verdetto non è quello giusto e le sensazioni suscitate da immagini così differenti sono molteplici. Ogni momento all’interno della puntata ha la giusta carica emotiva. Ci sono molte cose da cui rimanere colpiti in questo episodio, ma ciò che è necessario evidenziare è il modo in cui la regia di Ryan Murphy si è evoluta di minuto in minuto: una coesione visiva e sonora non indifferente che ha dato vita ad un risultato sensazionale.

Partiamo però dalla posizione che la serie ha assunto più o meno da subito, ovvero la reale colpevolezza di O.J., seppur mai delineata in modo esplicito. American Crime Story aveva un obiettivo: raccontare i retroscena di una terribile pagina della giustizia americana, uno dei più grandi fallimenti del grande sistema da tutti acclamato. Il caso O.J. Simpson è servito agli autori per riflettere sul concetto di giustizia, un concetto molto più complesso di quello che sembra e che ha la capacità di dividere chiunque. Il valore della giustizia è un qualcosa che appartiene alla nostra quotidianità più di quanto si possa pensare, è ciò che dà vita ai diversi interrogativi che ci perseguitano giorno dopo giorno. Murphy ed il suo team sono stati molto abili nel far trasparire queste dinamiche in entrambi le parti coinvolte: da un lato Marcia Clark e Chris Darden e la loro battaglia senza fine, dall’alto Johnnie Cochran che, dopotutto, si è battuto per ciò in cui credeva.

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Questi dieci episodi hanno mostrato però come la “giustizia” sia stata messa fin da subito in secondo piano, dedicando un ruolo del tutto marginale alla triste sorte di Nicole Brown. Il processo di O.J. è passato dall’essere un processo alle azioni da lui presumibilmente commesse all’essere un circo mediatico incentrato sulla sua figura pubblica. Porsi nei confronti della vicenda da questa prospettiva ha modificato per forza di cose l’andazzo dell’intera situazione, alterando inevitabilmente la visione dei giurati e degli spettatori.  Emblematica dunque è la riunione della giuria prima di deliberare: le prove schiaccianti che attestavano la colpevolezza di O.J. non sono servite a niente, poiché l’intero processo ha posto fin dal principio la propria attenzione su altro. La questione razziale, come già sottolineato nelle precedenti recensioni, ha giocato quindi un ruolo principale all’interno della vicenda e la posizione della maggior parte dei giurati (con il pugno in aria di uno di loro per salutare O.J. quasi ad attestare di aver fatto il proprio dovere) ne è la prova inconfutabile.

Ma la vera star della serie è stata senza dubbio Sarah Paulson. Il suo sguardo, carico di rammarico e delusione, è la perfetta descrizione del suo personaggio: Marcia Clark. La serie ha senza dubbio reso giustizia ad una figura che 22 anni fa ha dato tutta se stessa per poter proteggere la memoria di una giovane donna, brutalmente assassinata. Marcia è stata resa il nemico numero uno da qualsiasi testata giornalistica, messa alla berlina per la sua vita privata ed i suoi drammi familiari, ma soprattutto dipinta per ciò che non è mai stata: una razzista. Tutto ciò è avvenuto perché una donna ha svolto in modo brillante il suo lavoro e ciò ha senza dubbio destabilizzato chi negli anni ’90 credeva ancora che il posto di una donna fosse dietro ai fornelli. Sarah Paulson ha trovato così uno dei ruoli della sua vita, un ruolo che la ha permesso di riabilitare l’immagine di una donna forte ed ingiustamente maltrattata dal sistema americano. Menzione necessaria poi è quella di David Schwimmer, in un’inedita veste che ha permesso al pubblico americano di apprezzarne il vero talento. Robert Kardashian è stato uno di quei personaggi silenziosi, con poche battute per episodio, ma dall’importanza fondamentale. Nel suo scambio di sguardi finale con la Clark c’è tutto, c’è tutta l’amarezza di un uomo che ha capito di essersi schierato dalla parte sbagliata, di un uomo pentito e pronto a voltare finalmente pagina.

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La grandezza di questa serie non sta nell’averci saputo raccontare con grande precisione ed abilità qualcosa che è successo vent’anni fa, ma nel averci raccontato qualcosa che continua ad appartenere alla nostra realtà. La superficialità dei media, l’implacabile sessismo del sistema, il razzismo che ostacola la giustizia, la posizione sempre più controversa delle donne. American Crime Story mette in scena una società da cui non siamo poi così distanti, in una vera e propria denuncia dell’equilibrio instabile in cui viviamo quotidianamente. Il finale, insieme all’intera prima stagione, merita 5 porcamiseria su 5, vincendo a mani basse il titolo di più bella novità dell’anno. Finora.

5

 

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