American Crime2×07 Season Two: Episode Seven – 2×08 Season Two: Episode Eight

Lo avevamo detto che American Crime stava cercando di rappresentare tutto il peggio della cultura Statunitense, che la qualità della regia e della sceneggiatura stava rendendo la seconda stagione ancora più potente della prima, che il rischio di cadere nella propria trappola fatta di pregiudizi e discriminazioni era alto; quello che non avevamo sottolineato però è […]

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Lo avevamo detto che American Crime stava cercando di rappresentare tutto il peggio della cultura Statunitense, che la qualità della regia e della sceneggiatura stava rendendo la seconda stagione ancora più potente della prima, che il rischio di cadere nella propria trappola fatta di pregiudizi e discriminazioni era alto; quello che non avevamo sottolineato però è che American Crime gode della rara capacità di reinventarsi, di sfoderare il colpo vincente quando meno lo si aspetta, senza mai sfruttare idee forzate solo per il gusto di sorprendere.

La settima e l’ottava puntata di questo show sono estremamente collegate, rappresentano nel modo migliore la svolta che occorreva alla trama. Il primo episodio racconta ciò che succede, e soprattutto il perché, mentre il suo successivo decide di stoppare gli avvenimenti per concentrarsi sulle reazioni a quanto accaduto, le conseguenze e, soprattutto, collegarsi in modo diretto e parallelo con la dura realtà da cui prende ispirazione.

La prima parte del settimo episodio scorre tranquilla seguendo il percorso tracciato fino ad ora: Peter Tanner, fratello di Eric, manifesta la sua reazione ai recenti avvenimenti imbrattando il muro della scuola con un originalissimo “God hates fags“, mentre Leslie Graham cerca di portarsi a casa il silenzio di Evy grazie ad una sostanziosa offerta a suo padre, mentre viene fuori il passato depresso/psicotico di Anne Blaine, facile appiglio per la causa dei LaCroix e della scuola. Le cose iniziano a smuoversi, come sempre, grazie ad Eric e Taylor. Il primo rischia grosso durante un incontro occasionale con un tipo conosciuto (presumiamo) in chat subendo, durante una scena magistralmente girata, un’aggressione inaspettatamente e inspiegabilmente violenta e riuscendo in qualche modo a fuggire; il secondo, di cui abbiamo seguito il lento processo di elaborazione del trauma, tra silenzi e confessioni forzate, da vita al vero dramma di questa coppia di episodi.

American crime recensione 2x07 2x08

Ci eravamo illusi che la nuova conoscenza tra i bagni di scuola potesse aiutare Taylor a passare il momento difficile, almeno a provare a vivere serenamente la sua situazione con qualcuno al suo fianco che ne potesse comprendere i sentimenti, invece il biondino deve aver tenuto tutto dentro fin dall’inizio, perché le sue azioni prendono una piega inaspettatamente pesante. Viene da storcere un po’ il naso quando scopriamo che a spacciare droga al biondino è proprio Becca Sullivan; di tanti ragazzi problematici tra Leyland e Marshall la probabilità che la parte dello spacciatore spettasse alla faccia d’angelo figlia dell’allenatore della squadra di basket dei “cattivi” era veramente poca, ma sappiamo che la madre ha i suoi problemi coi medicinali, basta per dare il senso necessario per convincerci a tollerare l’intera scena, bacio non-sense compreso.

L’ossicodone dovrebbe servire a calmare i mal di testa di Taylor, che tra pestaggi e litigate ne ha prese di botte in testa, ma il risultato è l’opposto: la droga regala al ragazzo quel poco di distorta lucidità che basta a convincersi sull’unica cosa da fare. Lo vediamo rubare la pistola dalla casa della zia e addentrarsi nei boschi, il primo sparo, fuori campo, ci regala un immancabile brivido, ma il trucchetto è fin troppo facile. Il tempo di esercitarsi contro un albero, di un piccolo inquietante trip, e il brivido vero arriva subito dopo, alla Leyland. Il riferimento a Kill Bill non è troppo velato, il poster della donna giapponese con la katana dà lo spunto a Taylor per una bella lista, una lista di persone da uccidere.

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I think i’m in trouble“, confessa il ragazzo alla madre spaventata; mai così ingenuo lui, mai così protettiva lei, mai così madre. L’intera scena ha del surreale: in un’atmosfera sospesa tra l’incredulità e la cruda certezza rappresentata dal cronista in TV, Anne cerca di nascondere la pistola, i clienti della tavola calda e gli altri camerieri non esistono più nella mente dei Blaine, nessuno a quanto pare li vede maneggiare l’arma, nessuno dice niente, e alla fine ci sono solo loro due, seduti in un angolo, soli contro tutti ancora una volta, uniti nella disperata e rassegnata consapevolezza dei delitti subiti e commessi. Un finale da lacrime agli occhi, lacrime vere.

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Che American Crime, soprattutto quest’anno, potesse essere definita una serie “di denuncia” era chiaro. Con l’ottavo episodio John ridley decide di andare oltre, di non girarci attorno, di rompere le regole fregandosene della sempre troppo sovrastimata coerenza linguistica. Durante l’episodio ci vengono mostrati degli stralci di interviste, vere interviste, fatte a persone reali, un’eccezione che mai ci saremmo aspettati da uno show che è sempre riuscito a colpire nel segno l’animo dello spettatore pur tenendo ben separata la realtà dalla finzione. Un trucchetto per commuovere in modo facile, potrebbero pensare in molti, un colpo di genio, altri. La verità è che l’episodio è uno dei più duri da digerire, lo scopo è stato raggiunto, le confessioni a cui assistiamo con dei veri pugni allo stomaco, e soprattutto risultano coerenti e funzionali al discorso portato avanti durante la puntata: riflettere, senza pregiudizi, sulle ragioni del male, sulla fragilità delle persone, sull’amore incondizionato, su come spesso i carnefici siano prima di tutto vittime, e infine sul peccato, e sul perdono.

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L’ambizione è tanta, e nei primi minuti dell’episodio quasi temiamo che le aspettative possano essere deluse dal solito discorso del “mettiamoci dentro di tutto”, che più volte abbiamo definito essere il principale rischio per American Crime. L’unica cosa che mancava, dopo gli stupri, il bullismo, il razzismo, le discriminazioni sociali di ogni tipo, erano le stragi scolastiche, vero incubo della società statunitense moderna. Ora, non che la situazione alla Leyland non ricordi le sopracitate stragi, ma c’era davvero bisogno di proporre le interviste a due professori della tristemente nota Columbine? Sinceramente, le altre testimonianze, di ragazzi e genitori vittime dell’odio contro il diverso orientamento o la diversa identità sessuale, sono sembrate molto più centrate con il discorso che American crime sta portando avanti da otto settimane, e la leggera deviazione sul tema delle stragi nelle scuole appare sì giustificata, ma in certa misura evitabile.

Costante nota positiva dell’episodio è l’estrema e sorprendente bravura degli attori principali. Se Felicity Huffman stava già spaccando culi dall’inizio della stagione nel ruolo di Leslie Graham, appare solo ora evidente la grandezza attoriale di Lili Taylor, una Anne Blaine che sembra quasi uno dei personaggi intervistati per quanto ci appare reale. Anche Timothy Hutton questa volta dà il meglio di se, interpretando alla perfezione un Dan Sullivan che prende finalmente la situazione in mano, sia a scuola che tra le mura domestiche.

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Quel poco dei due episodi che non convince riguarda i problemi professionali di Terri Lacroix, il ruolo del preside della Marshall con annessa protesta ispanica già dimenticata, e il ruolo di Sebastian l’attivista, che entra in gioco a due episodi dal finale – forse un po’ troppo tardi per smuovere le acque. Un dettaglio ci ha lasciato sconcertati più di ogni altra cosa: il pallone da pallacanestro, malamente animato in computer grafica che Dan, alla fine del confronto con Leslie in palestra, lancia verso il canestro senza guardare, ovviamente centrando il bersaglio; una roba che neanche in One Tree Hill.

Nonostante queste piccole défaillances possiamo dire con certezza che American Crime riesce, con questi due episodi, a raggiungere il punto più alto della stagione, e forse dell’intera serie. 5 porcamiseria senza alcun dubbio, che se il nostro webmaster lasciasse spazio a qualche bug sarebbero volentieri 6. Mai siamo usciti così sconfitti dalla visione di novanta minuti di televisione, sconfitti come esseri umani, ma sicuramente vincitori come spettatori.

5

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