American Gods

Abbandoniamo per un momento il filone principale di Shadow e Mr. Wednesday per tuffarci a capofitto nella sidequest di American Gods dedicata a Laura e Mad Sweeney – e al Salim alla ricerca del jinn, che poi li abbandonerà. Una scelta così coraggiosa per questa stagione, che ci ha servito giusto l’antipasto degli avvenimenti a venire senza nemmeno farci capire appieno cosa potremmo avere davanti, è proprio quello che ci aspettiamo dalla trasposizione seriale dell’opera di Neil Gaiman.

La strategia utilizzata, sebbene incerta nel breve periodo, è tale da dare le maggiori soddisfazioni una volta compreso appieno il quadro generale della storia. Il problema, tuttavia, è che facendo un paragone con l’altra colonna portante di Bryan Fuller, in American Gods finora si è visto molto stile e poco cuore: in Hannibal, il dramma psicologico del protagonista e la sua relazione disfunzionale con l’assassino erano il cuore pulsante della vicenda, e il contenuto emozionale accompagnava di pari passo la delicatezza visuale; in American Gods, invece, si ha sempre l’impressione che l’eleganza registica sia nettamente egemonica sull’intimità dei personaggi, e che si tratti ancora di una storia bella per gli occhi, ma un po’ meno per il cuore.

Spostando il focus su Mad Sweeney e sulla vita di Essie MacGowan tutto cambia: assistiamo a una storia fantastica di vecchio stampo, esploriamo uno stile narrativo diverso e veniamo accarezzati da una ventata di diversità, parallela ma fondamentale per la serie. Il racconto è vissuto dal punto di vista di Essie, ladra prima per sbaglio e poi per scelta, devota al leprecauno e ai favori che le sue offerte generano. Azzeccatissima la scelta di dare a Emily Browning anche questo ruolo, utile sia a rafforzare il legame tra Laura Moon e Sweeney, sia a darci prova delle grandi capacità dell’attrice anche al di là della supponente dead wife – ne ha fatta di strada da Sucker Punch!

La connessione tra Laura e Sweeney si scopre essere a doppia trama, sia passata, tramite una Essie incredibilmente simile alla sua controparte contemporanea, sia presente, tramite l’incidente mortale che scopriamo essere stato creato ad arte da Mr. Wednesday: il re dei corvi teneva Shadow sotto scacco da tempo, e conosciamo i mezzi di cui è capace per ingannare l’umano, ma l’utilizzo del leprecauno per privare il protagonista dell’ultimo appiglio alla sua vita da persona comune getta un’interessante ombra sulla presunta bontà del suo ruolo.

Contrariamente a quanto ci si potesse aspettare, tuttavia, l’evento viene raccontato molto sbrigativamente e il perno narrativo di “Prayer for Mad Sweeney” rimane il rapporto tra il leprecauno e Laura. Scaviamo sotto la superficie arrogante di Sweeney e dissotterriamo la sua anima fragile e la sua coscienza fondamentalmente altruistica, dove la moneta d’oro è un’offerta volontaria sulla tomba di Laura, non un’appropriazione indebita. Mad Sweeney avrà pure un conto in sospeso con il dio nordico, ma sa quando far prevalere la sua sensibilità, mostrando un cuore fatto di un oro più puro di tutte le sue monete.

Ormai in dirittura d’arrivo, American Gods ci mostra finalmente il suo cuore pulsante, il suo lato più sentimentale e privo di misteri, magie e propositi poco chiari. L’elemento registico caratteristico di Bryan Fuller, sempre presente anche laddove la direzione vera dell’episodio è affidata a terzi, stavolta riveste un ruolo marginale davanti alla storia del leprecauno, e il bagliore luccicante delle sue monete lascia spazio a ciò che di realmente prezioso questa storia ha da raccontare. 5 Porcamiseria su 5.