American Horror Story7×04 11/9 – 7×05 Holes

American Horror Story: Cult indaga a fondo su Kai Anderson, le origini e i metodi del culto. Il terrore è subdolo e sfrutta ogni mezzo per insinuarsi tra la gente, ma la costruzione narrativa di Ryan Murphy lascia spesso l'amaro in bocca.

5.7

In due episodi che indagano a fondo nel culto di American Horror Story, Ryan Murphy per una giusta che fa ne sbaglia cento. Le fondamenta su cui si regge la storia, seppur inizialmente interessanti, scricchiolano sotto il peso di una razionalità – essenziale, essendo tutto ambientato al di fuori del contesto paranormale – pressoché inesistente. In 11/9 è l’assurdo della fragile mente umana a creare paradossi, mentre in Holes il vaso di Pandora viene scoperchiato, esponendo le origini, i metodi e le debolezze del culto.

11/9

I meccanismi di reclutamento di Kai vengono finalmente alla luce, mostrando ciò che ha portato Harrison, la giornalista Beverly, e persino Ivy a unirsi al gruppo di assassini. I meccanismi di manipolazione del capo della setta risultano spesso discutibili: uno potrebbe chiedersi com’è possibile che una persona, per quanto carismatica, riesca a convincere uno semi-sconosciuto a commettere un omicidio, ma la storia ha degli esempi celebri in tal senso; ciò che stona è la povertà dei dialoghi utilizzati, banali nella loro collocazione, retorici e forzati nel loro proposito di lavaggio del cervello.

Tra tutti, forse l’unico membro avvicinato al culto in maniera verosimile è la giornalista Beverly, materialmente non responsabile dell’omicidio della rivale Serena – una Emma Roberts inchiodata al ruolo di stronzetta tanto da risultare nauseante – ma persuasa a unirsi alla causa degli assassini. Il resto è incollato con lo sputo, formando una struttura narrativa sul punto di collassare sotto eventi letteralmente stupidi e senza senso.

La goccia che fa traboccare il vaso è nella scena del sequestro ad opera di Winter e Ivy, come se un alterco – per quanto becero e maschilista – possa giustificarne la messa in atto; tutto poi culmina con il taglio del braccio del folle Gary – interpretato da Chaz Bono – talmente invasato da preferire la rinuncia ad un braccio piuttosto di non esprimere la propria preferenza per Trump.

Il finale è l’emblematico “salto dello squalo” di questa stagione di American Horror Story, perché se ci facciamo andar bene l’assurdità a cui abbiamo assistito, Cult può letteralmente propinarci qualunque altra porcata. Per ovviare alla struttura vacillante dell’episodio, sarebbe probabilmente bastato un montaggio diverso sparso equamente tra le reclute di Kai, in modo da confluire ognuno nel proprio episodio scatenante. La decisione è invece ricaduta su sottotrame di breve durata, che fanno perdere il senso del tempo – e con esso anche il senso generale – di ciò che accade, rendendo l’opera di convincimento del leader troppo frettolosa per essere verosimile.

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Holes

Con Holes, American Horror Story aggiusta parzialmente il tiro di questa stagione, e lo fa aggrappandosi alle nostre budella e contorcendole, con un episodio costellato di violenza, gore ed esecuzioni rituali da far accapponare la pelle, stavolta un po’ più solido anche dal punto di vista della costruzione della trama.

Tutto è incentrato sui meccanismi di manipolazione di Kai, che provano ad andare oltre al controllo in senso stretto dei membri del culto: è la strategia del terrore, il fear-mongering che ha contaminato le ultime elezioni presidenziali americane, in Cult veicolato con metodi non convenzionali. Non è solo il movente a essere chiaro, ma anche i metodi efferati per stabilire l’egemonia della paura: si sceglie di eliminare l’anchorman Bob Thompson per dare spazio alle news sensazionalistiche di Beverly, ma anche di eliminare ogni potenziale fonte di dissenso interno.

Entrambe le scene presentano elementi estremamente disturbanti e fanno venir voglia di tenersi a chilometri di distanza dai negozi di ferramenta e bricolage, ma soffrono di alcune mancanze strutturali: nel caso dell’anchorman, non ci è dato sapere se la presenza del gimp in soffitta sia in linea col suo personaggio, apparendo come un dettaglio offerto allo spettatore tanto per fare colore, mentre il povero cameraman di Beverly è un personaggio talmente ininfluente che nemmeno ci ricordavamo della sua esistenza.

A dare ulteriore corpo all’episodio, il background psicologico di Kai e Winter offre preziosi dettagli sulla genesi della follia alla base del culto, nonché la collocazione del Dr. Vincent nell’economia della stagione, mentre Ally scopre il grosso segreto che nasconde la moglie, tramite Meadow, molto probabilmente in fuga dal gruppo che ha disertato.

Il bilancio è sicuramente migliore rispetto a 11/9 e alle sue mastodontiche forzature, con degli equilibri che finalmente vengono alterati nel modo giusto. Al giro di boa della stagione si avverte come se tutto fosse già stato svelato, ma evidentemente il punto non è solo chi sono i membri del culto; forse un messaggio più generale, già introdotto in questi cinque episodi, è ancora da sviscerare nella sua perversione.

Porcamiseria
  • 5/10
    Storia - 5/10
  • 5/10
    Tecnica - 5/10
  • 7/10
    Emozione - 7/10
5.7/10

In Breve

Dovendo fare forzatamente una media, abbiamo assistito al peggio e al meglio che questa stagione di American Horror Story finora ha saputo fornirci. Dopo un episodio inqualificabile da 3 Porcamiseria, l’ultima uscita di Murphy riprende le redini e ci mostra che qualcosa di buono Cult può ancora combinarlo.

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8.4/10 (5 votes)

Porcamiseria

5.7

Dovendo fare forzatamente una media, abbiamo assistito al peggio e al meglio che questa stagione di American Horror Story finora ha saputo fornirci. Dopo un episodio inqualificabile da 3 Porcamiseria, l'ultima uscita di Murphy riprende le redini e ci mostra che qualcosa di buono Cult può ancora combinarlo.

Storia 5 Tecnica 5 Emozione 7
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