American Horror Story6×10 Chapter 10

Season Finale L’ultimo episodio di Roanoke chiude una stagione con cui Ryan Murphy dimostra di aver ritrovato un estro horror e una freschezza narrativa capaci di trascinare la nave American Horror Story fuori dalle secche dove la serie sembrava essersi arenata negli scorsi anni.

0.0

Senza ombra di dubbio, Roanoke può essere considerata una stagione di successo. Perché tanta sicurezza? Perché al di là di tutto, una qualsiasi narrazione horror ha un primo fondamentale scopo da raggiungere, Un traguardo che trascende qualsivoglia discorso di estetica cinematografica o televisiva: spaventare lo spettatore, e l’ultima stagione di American Horror Story l’ha fatto, più delle precedenti.

Roanoke: critica alla società dello spettacolo

Nel complesso Roanoke si è dimostrata una stagione di qualità, in grado di ritrovare un’originalità e un ritmo che nelle ultime stagioni si erano un po’ perduti.  I primi due episodi hanno tenuto alta la soglia di attenzione, ingannandoci sul fatto che Ryan Murphy avesse davvero esaurito tutte le cartucce, riproponendo un mix di cliché e di personaggi troppo patinati e già conosciuti per impaurire lo spettatore.

La casa infestata da fantasmi, una coppia che entra in crisi, apparizioni per nulla inquietanti avevano sì spaventato, ma in modo sbagliato. Fortuna però che per le serie TV vale sempre una prima e fondamentale regola: non giudicare nulla dai primi episodi.

American-horror-story-roanoke-finale-playfest

Ciò che più affascinava era sicuramente l’utilizzo delle interviste alternate alla storia, presentando gli stessi personaggi interpretati da attori diversi. L’idea del documentario, inizialmente spiazzante, ma subito dopo sorprendente ed entusiasmante.

Documentario che si è poi fatto reality, ed è diventato infine, con un flashback in apertura a Chapter 10, una parodia della realtà diegetica stessa presentandoci l’intero cast di My Roanoke Nightmare al Playfest per lanciare la seconda stagione – apprezzatissima per i fan di RuPaul’s Drag Race la comparsa di Trixie Mattel come presentatrice in drag del panel.

Non c’è distinzione tra personaggi e persone «vere», anzi: una ragazza del pubblico dichiara il suo amore per la Shelby «reale» prima che per Audry.

Realtà e finzione si mescolano in uno spettacolo grottesco in cui viene rappresentato un pubblico incapace di distinguere tra realtà e rappresentazione, che riduce una storia tragica e dolorosa a mero gossip fatto di domande tremendamente sciocche a cui vengono date risposte altrettanto stupide. Se oltre a ciò e alla spregiudicata sete di successo di Sidney si sommano tutte le figure che, come parassiti, trovano nella tragedia alimento per gli ascolti (telegiornali, produttori, programmi televisivi, social network, eccetera), Roanoke si può considerare quasi una critica all’intero sistema dello spettacolo e del sistema reality.

Denuncia che s’amplifica con Crack’d, un altro format televisivo che si rifà a quello giudiziario e di cronaca nera, attraverso cui ci viene raccontato il processo che vede accusata Lee della strage di Roanoke nonché della morte del marito. Lee, seppure accusata dalla figlia, viene assolta perché ritenuta incapace di intendere e di volere. La donna diventa persino una scrittrice di successo, grazie a un best seller sulle sue orribili memorie. La rete dello spettacolo s’espande, l’orrore produce profitto.

Horror vacui: un collage barocco di citazioni 

Altro tema caro a questa stagione è sicuramente la citazione. Non che nelle altre stagioni i riferimenti mancassero, al contrario, ma in Roanoke si trovano sia un massiccio e variegato omaggio al genere horror in toto sia evidenti rimandi interni all’opera omnia di American Horror Story. Nelle intenzioni di Murphy, questa stagione avrebbe infatti dovuto tessere insieme tutte le altre, creando perciò un vero e proprio universo narrativo capace di spezzare la cifra antologica della serie. Ecco perché American Horror Story e non stories.

Il rischio di un’operazione del genere era quello di creare un racconto-Frankenstein, incapace di trovare una coesione identitaria e perciò di generare un mostro che avrebbe ucciso il suo stesso autore.

Tale frammentarietà di stili si riflette a livello di regia e di montaggio attraverso un eclettico intreccio di punti di vista e inquadrature, in una sorta di orgia visiva in cui l’immagine viene catturata da quasi ogni tipo di macchina da presa inventata: telecamere professionali, videocamere commerciali, cellulari, go-pro, micro-camere, camere di sorveglianza. 

È evidente che l’horror vacui di Roanoke sia stato gestito piuttosto sapientemente da Murphy, che è riuscito a dare vita a una creatura sì eterogenea, ma comunque dotata di una sua personalità, sebbene talvolta manifesti sintomi di un disturbo dissociativo dell’identità.

Il rischio di un’operazione del genere era quello di creare un racconto-Frankenstein, incapace di trovare una coesione identitaria e perciò di generare un mostro che avrebbe ucciso il suo stesso autore.

Così, dopo l’uomo-maiale che richiama la leggenda evocata in Murder House, dopo il legame di sangue che lega Edward Felipe Mott a Dandy e Gloria Mott di Freak Show e dopo aver interpretato Scáthach come la strega madre delle fattucchiere di Coven, in Chapter 10 ritroviamo la Lana Winters protagonista di Asylum. Un personaggio che, fra le altre cose, continua la tradizione dei doppi ruoli, ora tripli, che spesso gli attori di American Horror Story sono stati chiamati a interpretare.

La poliedricità di Sarah Paulson viene perciò esaltata attraverso l’interpretazione di Shelby, Audrey e Lana, l’unica giornalista a cui Lee decide di rilasciare un’intervista per raccontare, un’altra volta, la sua storia. L’incontro è trasmesso in diretta TV e viene interrotto prima dalla rivelazione che Flora è scomparsa, con l’implicita accusa da parte di Lana che sia stata Lee a sequestrarla, e in seguito da uno dei sopravvissuti della famiglia Polk che, armato di mitragliatrice, cerca vendetta.

Un’altra volta la violenza viene ripresa in diretta e il collegamento mantenuto da Lana che, sebbene tenti di dissuadere l’uomo dall’uccidere Lee, viene colpita. Il regolamento di conti però fallisce, perché Lot viene massacrato dalla polizia.

Lo spettacolo è perciò una creatura che trae la sua forza e la sua vita dal sangue altrui, una metafora che richiama inevitabilmente i vampiri di Hotel.

Il finale nel finale: “The show must go on”

Non contenti della già sostenuta reiterazione meta-narrativa, anche gli ultimi minuti dell’episodio sono raccontati adottando un altro format televisivo, Spirit Chasers: un programma che si occupa di leggende metropolitane e che con farloccate à la Ghostbusters vuole documentare l’attività paranormale della casa. Come il trio di ragazzi alla ricerca della gloria virale dell’episodio precedente, l’intera troupe di Spirit Chasers muore, nonostante Lee, tornata a cercare Flora, li avesse messi in guardia. 

La ripetizione, ingrediente principale del meta-format, è un meccanismo narrativo che, se applicato a storie drammatiche, violente e tragiche, produce un effetto anestetico

Si può certamente muovere una critica all’eccessivo utilizzo del discorso meta-televisivo che, solo nell’ultimo episodio, si articola attraverso ben tre formati. È un‘insistenza lecita, sebbene forse un po’ squilibrata, perché fa deflagrare l’essenza di tale meta-format televisivo che è, come lo definisce Antonia Cava in “Noir TV. La cronaca nera diventa format televisivo”, «un sistema moltiplicatore che permette di creare un grande numero di dispositivi narrativi a partire da una storia sempre uguale».

La ripetizione, ingrediente principale del meta-format, è un meccanismo narrativo che, se applicato a storie drammatiche, violente e tragiche, produce un effetto anestetico e mesmerico permettendo allo spettatore di essere intrattenuto senza essere turbato. Essa svuota di significato e perciò protegge dal dolore, o per dirla con Andy Warhol: «Quando osservi all’infinito un’immagine terrificante, non ha più alcun effetto».

Dunque come inquadrare l’estremo sacrificio di Lee per salvare Flora? Forse come un tentativo di riappropriarsi del dolore reale che la madre, dispersa nel vortice del successo mediatico, aveva perduto e che l’aveva resa talmente insensibile da accusare di pazzia la figlia, in mondovisione -esplicativa in tal senso si dimostra la dipendenza da antidolorifici di Lee.

La detonazione della casa potrebbe perciò rappresentare un tentativo di estirpare una volta per tutte il seme da cui germina questo malvagio processo narrativo/informativo che, attraverso condivisioni, ultime ore, indagini, ricostruzioni, inchieste, libri e giornali moltiplica il fatto senza risolverlo.

American-Horror-Story-roanoke-Finale

L’ultima inquadratura mostra però la macellaia osservare dall’alto la casa in fiamme e circondata dalla polizia, segno del fatto che come il sangue non smetterà di scorrere così, presumibilmente, lo spettacolo non si fermerà. 

“Chapter 10” chiude il cerchio su American Horror Story: Roanoke. Non è stato uno dei migliori episodi, vuoi per reiterazione del meccanismo meta-narrativo, vuoi per la confusione creata nella ricomparsa di Sarah Paulson come Lana Winters, che sembra più un fan service che un meccanismo utile al dipanarsi della trama. 3.5 Porcamiseria su 5.

3.5

Vota l'episodio!

Sei d'accordo con noi o avresti dato un voto diverso? Dai i tuoi porcamiseria all'episodio e dicci che ne pensi nei commenti!

1 Porcamiseria2 Porcamiseria3 Porcamiseria4 Porcamiseria5 Porcamiseria
Hanno votato questo episodio 8 lettori, con una media di 4,63 porcamiseria su 5.Loading...

Poco dopo il finale, è apparso su Instagram questo teaser della nuova stagione. Ovviamente non ci si capisce niente, ma è sempre qualcosa. Insospettisce anche la tempistica: che sia un modo per suggerirci che AHS7 uscirà prima del previsto?

https://www.instagram.com/p/BM5dwYHj-Y3/

Acquista su Amazon.it

Ti è piaciuto l'episodio?

like
0
Mi è piaciuto
love
0
Tutto!
haha
0
Divertente
wow
0
Porcamiseria!
sad
0
Meh...
angry
0
Che schifo

Commenta l'articolo

Simili a American Horror Story