L’aria attorno a Celeste Wright è rarefatta, in un ambiente privo di ossigeno e la cui unica fonte di sostentamento è il marito Perry. Lui esercita l’abilità primaria di un marito violento, il controllo: si oppone strenuamente al ritorno in campo di Celeste come legale, opprime, prevarica e usa le debolezze della compagna per infonderle ansia e insicurezza. Persino i gesti affettuosi sono palesemente finalizzati a controllarla, culminando nel proposito di avere un altro figlio; la sottigliezza negli atteggiamenti di Perry e la precisione millimetrica con cui incalza con domande ossessive la sua compagna sono la vera causa di asfissia nella vita di Celeste, di cui le esplosioni di violenza sono solo il contorno fisico a un abuso che è innanzitutto psicologico.
L’abbondanza di particolari, di sfumature essenziali e di intensità nell’interpretazione contribuiscono all’eccellenza, tra tutto, proprio del segmento di Celeste: è un ritratto spietato di una relazione disfunzionale da cui tuttavia la donna cerca di distanziarsi con cautela, nonché l’emblema più significativo di quanto il benessere materiale sia solo una sfarzosa facciata da mostrare agli altri, mentre all’interno tutto è in rovina; la sessione dalla terapista inasprisce la nostra percezione della coppia, ignari di dove porterà la paura di Celeste, se verso la libertà o verso una conclamata oppressione.
Dr. Reisman: For me the issue isn’t how best to talk to your husband but why you’re afraid to.
Madeline Mackenzie apre la strada alla rinascita professionale di Celeste, condendo tutto con commenti senza peli sulla lingua verso Renata Klein. Al centro di tutto c’è la riunione con il sindaco di Monterey sull’ammissibilità dello spettacolo di Madeline, grazie alla quale Celeste riscopre il suo talento naturale per l’avvocatura. Non solo, è anche quello di “aiutare” Jane Chapman cercando il padre di Ziggy, inconsapevole della pericolosità del suo gesto e ignara della complessità della situazione a cui sta mettendo mano.
Il comportamento di Madeline rivela uno spirito da buon samaritano verso le amiche, sebbene totalmente incapace di mettere ordine alla propria vita. Il rapporto con Ed è palesemente privo di soddisfazioni e passione. Seppellire l’ascia di guerra contro l’ex marito è fuori discussione, e aleggia su di lei lo spettro di una relazione extraconiugale. Il racconto del tradimento consumato a teatro ha toni da comedy ed è il montaggio a impreziosire quello che altrimenti sarebbe stato solo un momento di gossip tra amiche. Tutto ciò è sintomatico di una mancanza di equilibrio, un vuoto interiore colmabile solo buttandosi a capofitto in rivalità tra mamme e risolvendo i problemi altrui.
Jane, ancora autentica e priva dell’apparenza borghese di Monterey, indaga sul comportamento di Ziggy. Non viene mai esplicitamente detto – e la suggestione fa parte del fascino di Big Little Lies – ma è intuibile che la paura di Jane sia quella di vedere un figlio fotocopia del padre, già violento da bambino e pronto a sottomettere e a violentare una volta cresciuto a sufficienza. Il sollievo per lei è sapere che Ziggy non mostra segni di comportamento problematico, e ci viene comunicato alla perfezione attraverso lo schermo, con una Shailene Woodley al suo massimo potenziale.
La donna è ancora tormentata dal rapporto violento avuto nella casa sulla spiaggia, e il viaggio nella sua mente è disorientante, angosciante nella sua nitidezza, reso alla perfezione proprio negli ultimi secondi dell’episodio. Jane immagina di lanciarsi dalla scogliera, e sebbene sappiamo che è tutto frutto della sua mente qualcosa scatta anche dentro di noi: serriamo i pugni come se fossimo noi a gettarci nell’oceano.
Forse è questo l’episodio migliore di Big Little Lies, un lavoro misurato, cesellato, creato ad arte e impreziosito da centinaia di affascinanti sfumature, con una colonna sonora mai come ora all’altezza della narrazione. Forse l’asticella si potrà alzare ulteriormente, ma già dopo Push Comes to Shove siamo a un passo dalla sindrome di Stendhal. 5 Porcamiseria su 5.
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