Black Mirror4×01 U.S.S. Callister

Season Premiere In Black Mirror torna il tema della realtà virtuale molto reale. Robert Daly, programmatore di un famosissimo gioco online, nella solitudine si trasforma da vittima a carnefice, capo di una navicella spaziale e avventuriero intergalattico con poco riguardo per i suoi compagni di avventura.

6.2

Ma voi ve lo ricordate Black Mirror? Vi ricordate la sensazione di smarrimento che lasciava ogni episodio, quel brivido lungo la schiena e il sentore che quel futuro ipertecnologico fosse più vicino di quanto si crede? Se ve lo ricordate, e se con questa premiere siete rimasti con un pugno di mosche non siete i soli. U.S.S. Callister è la partenza in retromarcia con sbandata, di quelle che ti fanno andare a sbattere contro il guard-rail, con davvero poco da salvare se non del discreto intrattenimento e alcuni sporadici momenti di riflessione.

Il tema non è uno dei più nuovi anche per Black Mirror, ossia l’esplorazione di una realtà virtuale iperrealistica, come in Playtest, mista ai deliri di onnipotenza di un impiegato super nerd sociopatico e stereotipato e il rastrellamento di idee e riferimenti da una nota serie intergalattica. Il pretesto tecnologico è interessante e la sensazione di sentirsi fuori posto arriva sin dall’inizio, per mezzo dei dialoghi caricaturali a bordo della navicella spaziale di Robert Daly (Jesse Piemons, Fargo), fatti di cori di esultanza e baci – senza lingua – maldestramente recitati.

Quando poi apprendiamo che non solo è tutto parto delle manie del protagonista/villain, ma che le coscienze dei suoi colleghi di lavoro vengono trasportate nel videogioco, inizia la parte più interessante. È una narrazione fluida, drammatica ma con comic relief sparsi – perlopiù ad opera di Michaela Coel (Chewing Gum) e Christin Milioti (Fargo, How I Met your Mother), che tuttavia ha l’effetto collaterale di snaturare la serie dai suoi tratti distintivi.

L’aspetto morale dell’episodio – l’isolamento sociale, il rifugio nella realtà virtuale – è evidente, ma trattato a corollario, sminuito rispetto al blocco dell’episodio più “avventuroso” e malauguratamente prevedibile: sappiamo come tutto andrà a finire, il che non è di per sé un male, ma lo diventa laddove manchino altri elementi di spessore, vista anche la durata non indifferente dell’episodio.

La sceneggiatura è costellata da fallacie logiche più o meno perdonabili, dalla possibilità di replicare la coscienza e i ricordi di una persona solo grazie al suo DNA – vabbè, è fantascienza, facciamocela andare bene – all’invincibilità a minuti alterni di Daly, che non si capisce perché a un certo punto smette di essere la divinità del suo stesso gioco, fino al buco nero verso la Rete, che non dovrebbe essere niente altro se non un elemento grafico, ma soprattutto risulta in contraddizione con la natura offline della copia di Daly.

Infastidiscono questi elementi di convenienza che appaiono nel mondo virtuale e rendono tutto prevedibile quanto una puntata di uno sci-fi di terza categoria – e in qualche misura potrebbe essere voluto – tanto quanto la controparte nel mondo reale risulta priva di mordente proprio nel momento più delicato: ha senso architettare il recupero degli oggetti dal frigorifero, vedendo poi come va a finire la faccenda?

Ad arginare questa situazione precaria ci pensa la fotografia e la CGI, la sensazione di coinvolgimento che comunque si prova durante l’episodio – nonostante la sospensione dell’incredulità – alcuni riferimenti alla cultura pop odierna, ma soprattutto le sequenze finali in cui ci si dimentica del mondo reale tanto quanto i protagonisti, presi dal frenetico inseguimento in mezzo allo sciame di meteore.

La prospettiva viene ribaltata, e si passa dal comando di Daly, un uomo-divinità interessato all’avventura per proprio compiacimento personale, anche a discapito del libero arbitrio dei comprimari – è interessante notare come l’abuso sia parte del gioco per lui – al comando di Nanette, l’eroe altruista contemporaneo in netto contrasto con quel protagonista accentratore tanto caro alla tv sci-fi di qualche decennio fa, ora quasi soggetta a satira.

Sembra paradossale, ma nell’episodio meno Black Mirror della serie – meno ancora del tanto acclamato quanto off-topic San Junipero – a salvare baracca e burattini ci pensano gli elementi più spensierati e più superficiali, persino più pertinenti alla critica televisiva che a quella sulla tecnologia. Tu quoque, Netflix, ci aspettavamo di più sotto la patina rassicurante che sembra aver investito dall’anno scorso uno dei prodotti seriali sulla carta più interessanti degli ultimi anni, ma soprattutto, se questa è la strada intrapresa, forse è il momento di cambiare nome a ciò di cui si è voluto prendere la rappresentanza.

Porcamiseria
  • 5/10
    Storia - 5/10
  • 7.5/10
    Tecnica - 7.5/10
  • 6/10
    Emozione - 6/10
6.2/10

In Breve

Non si può dire che questa sia la migliore partenza per Black Mirror, che nonostante riesca a mettere in atto un episodio coinvolgente e interessante, fallisce nel rappresentare la morale sulla tecnologia da sempre presente nella serie. I puristi rimarranno delusi e noi, guarda caso, lo siamo.

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Porcamiseria

6.2

Non si può dire che questa sia la migliore partenza per Black Mirror, che nonostante riesca a mettere in atto un episodio coinvolgente e interessante, fallisce nel rappresentare la morale sulla tecnologia da sempre presente nella serie. I puristi rimarranno delusi e noi, guarda caso, lo siamo.

Storia 5 Tecnica 7.5 Emozione 6
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