Black Mirror | SpecialiBlack Mirror: Bandersnatch e l’illusione del libero arbitrio

L'attesissimo esperimento di Black Mirror: Bandersnatch è già un evento. Noi proviamo a esaminarlo e a dire la nostra. Capolavoro o azione commerciale? Genio o follia? Ma soprattutto, destino o libero arbitrio?

Black Mirror è una serie che da sempre ama sezionare, ricostruire e riscrivere la realtà, un progetto che nel passato è stato portato avanti con sorprendente chiarezza. L’idea di realizzare un episodio interattivo – che su Netflix è catalogato come “film” – va quindi a toccare direttamente i temi centrali dello show e sembra un’evoluzione quasi spontanea del potenziale della serie, piuttosto che un evento sperimentale che vuole sorprendere lo spettatore a tutti i costi.

L’immagine più chiara è quella di un labirinto, in cui inizialmente la strada è uguale per tutti

Innanzitutto è essenziale dare alcune coordinate sulla struttura e il funzionamento di questo prodotto, che si colloca a metà strada tra film/episodio speciale e videogioco. L’immagine più chiara per rendere l’idea a chi ancora non ha intrapreso questa esperienza interattiva è probabilmente quella di un labirinto, in cui inizialmente la strada è obbligata e uguale per tutti e anche le minime deviazioni riconducono presto sulla via principale, mentre in seguito i percorsi possibili si fanno sempre più numerosi e indipendenti; alcuni di essi porteranno in dei vicoli ciechi, altri si intrecceranno tra loro prima di condurre a uscite diverse, oltre le quali c’è la possibilità di rientrare nel labirinto e ripartire da un punto intermedio, scegliendo stavolta sentieri diversi e, quindi, arrivare ad un’altra meta.

Questa struttura può irritare alcuni spettatori e invece sorprendere gli altri, ma è il genere di cose a cui si può casualmente partecipare o lasciarsi ossessionare mentre le opzioni di ramificazione a propria disposizione continuano a crescere. Frosties o Sugar Loops per colazione? Seppellire la propria vittima o farla a pezzettini? Questa è la gioia e l’ansia di Black Mirror: Bandersnatch, che si traduce in un’esperienza estremamente coinvolgente che, allo stesso tempo, mantiene quel sapore dolceamaro tipico della narrazione di Black Mirror.

Siamo negli anni ’80 e Stefan (Fionn Whitehead, già protagonista in Dunkirk) è un programmatore di computer che è ansioso di iniziare a lavorare al suo progetto, un ambizioso videogioco chiamato “Bandersnatch“, adattamento di un omonimo libro del tipo “scegli la tua avventura”. Quando le recensioni iniziali del suo gioco sono un disastro, il giovane è determinato a riprovare, riscrivere la storia e alla fine far decollare questo progetto. L’intero speciale si focalizza quindi da un lato sulla continua rincorsa della scadenza incombente per la consegna del videogioco, dall’altro sulla psicologia di Stefan, il quale tenta di gestire i pensieri ossessivi che lo tormentano, in particolare un crescente sospetto di non avere più il controllo delle proprie decisioni.

Particolarmente interessante è il riferimento a Pac-Man e al determinismo della sua struttura per parlare di libero arbitrio

Questa paranoia inizia ad insediarsi molto presto in Stefan e alla fine cresce a livelli insormontabili poiché non riesce più a distinguere ciò che è reale e ciò che non lo è. L’episodio escogita molti stratagemmi per portare in superficie discussioni su realtà alternative, destino ed effetti farfalla: che si tratti di chiacchiere sotto l’effetto di allucinogeni, riflessioni strutturate attraverso la terapia o documentari su autori eccentrici, Black Mirror: Bandersnatch ricorre ad un’abile soluzione per trasformare il sottotesto in testo senza risultare odioso e didascalico. Particolarmente interessante è il riferimento a Pac-Man e al determinismo della sua struttura per parlare di libero arbitrio, in quanto un videogioco è una metafora intelligente per il destino e lo stesso Bandersnatch funziona come un grande macrocosmo legato a questo concetto.

Il film, infatti, scava a fondo nel tema della libertà di scelta, partendo dall’inquietante premessa secondo cui qualcun altro sta prendendo le tue decisioni per te, che non hai il controllo della tua vita e che sei solo pensato per essere l’intrattenimento di qualcun altro. Ad un certo punto Stefan cerca consapevolmente di fare in modo che il suo corpo eviti di fare ciò che lo spettatore seleziona e chiede letteralmente: “Chi mi sta facendo questo?“, mentre tra le opzioni compare addirittura la possibilità di rispondere con “Netflix“.

Black Mirror: Bandersnatch ricorre ad un’abile soluzione per trasformare il sottotesto in testo senza risultare odioso e didascalico

Ci troviamo quindi di fronte un prodotto metatestuale (e uno dei finali in particolare va in questa direzione), in cui la quarta parete si rompe sempre di più a mano a mano che tra protagonista e spettatore si instaura una vera e propria sfida su chi dei due debba avere il controllo, mentre avanza anche l’ipotesi che in realtà le azioni di entrambi siano pilotate dalla struttura stessa del film, che in alcuni casi ci dà soltanto la parvenza di una scelta, presentandoci opzioni simili tra loro o obbligandoci a tornare indietro dopo aver intrapreso un percorso cieco. Tu, spettatore, ti senti come se stessi facendo sempre le scelte sbagliate o come se non fossi del tutto libero nel seguire la tua strada? Questo è parte del punto. Puoi persino giocare in modo caotico e lasciare che il tempo finisca per ogni scelta, in modo che la decisione venga presa per te!

Tirando le somme, Black Mirror: Bandersnatch presenta una storia surreale e avvincente, in cui parte del fascino sarà inevitabilmente “giocare” di nuovo per ottenere una serie diversa di risultati o semplicemente per parlare con gli amici delle loro decisioni e di come è finita la loro versione degli eventi. Le cinque conclusioni principali coprono una gamma di opzioni in risposta all’accoglienza del gioco di Stefan e al suo destino, ma c’è sicuramente una via che sembra la più tipica, squallida e agrodolce di Black Mirror; della serie madre ritroviamo anche alcuni easter eggs – il simbolo di White Bear, il videogioco intitolato “Nosedive” e il Saint Juniper’s Medical Hospital – nonché quel senso di disorientamento tipico del post-visione di un episodio, aumentato esponenzialmente in questo caso dall’impossibilità di delineare un quadro preciso e completo di una storia che, sebbene faccia affidamento su un montaggio inaspettatamente molto fluido, mostra anche alcuni segni di dissonanza.

Anche per questo Black Mirror: Bandersnatch è un grosso rischio che meriterebbe assolutamente di essere ripagato, pur nelle sue imperfezioni. È assurdo pensare alla ricchezza di contenuti (oltre 150 minuti di filmati, 250 segmenti) e alla sua pura attenzione ai dettagli (come quando ti rendi conto di ciò che il cane sta scavando nel cortile, il significato del posacenere del padre, o la prevalenza del numero di telefono del terapeuta) e a come questo tipo di esperimento non sia solo un successo, ma una sfida alla strutturazione del mondo narrativo.

 

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