BoJack HorsemanBojack Horseman: ferite

Series Recap Le (dis)avventure del cavallo più famoso di Hollywoo(d) si avviano alla conclusione, dopo un percorso ad ostacoli architettato alla perfezione. La tavola per l'atto finale è già apparecchiata a dovere.

9.3

Back in the nineties I was in a very famous tv show…

Fin dalla prima stagione, Bojack Horseman si è distinta per esser riuscita ad accostare due generi tanto diversi da risultare esplosivi una volta fatti reagire reciprocamente: la commedia e il dramma. I due stili funzionano perfettamente all’interno del leitmotiv dell’intera serie, l’incessante necessità di rincorrere la felicità. Riflettendoci Bojack Horseman percorre gli stilemi delle tipiche pellicole anni ’50, nel periodo della così detta “golden age” della commedia, con registi del calibro di Howard Hawks e Billy Wilder, un turbinio di personaggi disillusi che alternano situazioni grottesche a momenti di sanguinose prese di coscienza.

L’intero filone narrativo è apparentemente mosso da un quesito fondamentale che si protrae per tutte le stagioni: è ancora possibile rimediare ai propri errori? Nonostante il percorso di Bojack e gli altri personaggi sia ormai arrivato al capolinea, la risposta alla domanda è ancora dopo sei densissime stagioni un punto interrogativo; questo risulta sicuramente uno dei più grandi punti di forza della serie: la schiettezza con cui rappresenta le vicende: ogni azione eseguita dai protagonisti è vera, realistica, anche e soprattutto nei momenti più complessi non si cerca mai di strizzare l’occhio allo spettatore, ma anzi, lo si mette davanti ad un qualcosa che provoca fastidio, sdegno e talvolta vergogna verso sé stessi.

Bojack Horseman  è probabilmente il motivo principale per cui lo spettatore medio (inteso come il grande pubblico) ha gradualmente smesso di apprezzare le serie comedy, ricercando continuamente qualcosa che lo descrive dettagliatamente, che utilizzi una risata amara per scandire il tempo tra una delusione e l’altra; nonostante le sembianze di “horseman” per l’appunto, Bojack ha l’animo dell’essere umano e come tale è perennemente tentato di superare qualcosa che è più grande di lui, infiniti ostacoli che disegnano un percorso sempre in salita.

Il susseguirsi delle stagioni, conferisce agli autori (Raphael Bob-Waksberg su tutti) di mettere a fuoco non solo il protagonista, Bojack, ma come abbiamo detto in precedenza, anche gli altri personaggi; tramite la dilatazione della vicenda ed aprendo le porte alle vicende di Diane (grazie alla splendida voce di Alison Brie), Mr. Peanutbutter, Princess Carolyn e Todd Chavez (Aaron Paul) la serie sviluppa l’altro topic pregnante descritto nei vari episodi, cioè l’ambiente di Hollywoo(d). L’ambientazione dello show permette di srotolare lentamente tutte le controversie che caratterizzano il mondo hollywoodiano e la sua evoluzione nel tempo: la stessa premessa del protagonista, star in declino di un programma ormai passato di moda, riflette le crisi di un business alla deriva; l’attrattiva e la magia di un luogo carico di misticismo e sogni sono stati surclassati da un arrivismo soverchiante in cui l’unico imperativo è produrre un profitto; la capacità degli autori nello sfruttare la comicità per parlare di temi scomodi e con pericolosi schieramenti evidenzia ancor di più la minuziosità e la tecnica con cui hanno lavorato ad un prodotto incredibile.

La longevità di Bojack  Horseman ha permesso inoltre la costruzione di una vera e propria mitologia della serie; i riferimenti sia a sé stessa che ai “competitor” del mondo seriale sono infiniti e spesso quelli più piccoli o che inizialmente sembrano poter essere tralasciati sono gli stessi che permettono di portare l’esperienza visiva su un nuovo livello di piacere; in più ogni elemento narrativo, anche il più insignificante, è posizionato perfettamente all’interno di un percorso precedentemente studiato nei minimi dettagli (questo modo di fare permette di paragonare Bojack Horseman ad un altro prodotto rivoluzionario come Breaking Bad, alla quale la Tornante Company dedica più che un omaggio), combinando insieme rischio e sperimentazione, due elementi pericolosi che però se fatti reagire insieme posso portare ad un risultato dirompente.

L'articolo continua dopo la pubblicità.

L’esempio più lampante di questa armonica scrittura non è tanto il ritrovare personaggi marginali correttamente contestualizzati a stagioni di distanza, quanto la capacità di porre un filo sottilissimo a collegare vicende ipoteticamente distanti: il riferimento più eclatante è sicuramente il doppio episodio “Fish out of water“, il quarto della terza stagione, e “Free Churro“, il sesto della quinta. Tra essi ci sono due stagioni, tantissime vicende di mezzo, eppure, anche a distanza di due anni dalla trasmissione di uno, vedere l’altro non può che rimandare a quell’atmosfera, così concettualmente diversa ma identica nelle intenzioni, a chiudere un cerchio che completa lo spettatore stesso, oltre che il personaggio.

Il 25 ottobre su Netflix è uscita la prima parte dell’ultima corsa del cavallo animato più amato da questa generazione, ovviamente ne parliamo dopo il salto (l’immagine seguente) e ovviamente potrebbero esserci spoiler.

Le uniche cose da dire prima di un finale che chi vi scrive non è del tutto pronto ad affrontare, sono ovviamente lodare per l’ennesima volta un prodotto così completo. Se ci pensate, fin dal primo episodio, Bojack e gli altri attori di questa storia hanno lasciato intuire allo spettatore di star facendo dei passi in avanti, o almeno dei tentativi, quasi mai riusciti, che li hanno portati a dove sono oggi, dopo più di 60 “puntate”; in realtà i personaggi di Boajck Horseman non fanno altro che avanzare idealmente per regredire nell’atto pratico: ogni individuo non fa altro che immaginare di essere diventato qualcosa di migliore, per poi ritrovarsi al punto di partenza, se non più indietro.

Ogni azione eseguita dai protagonisti è vera, realistica, anche e soprattutto nei momenti più complessi non si strizza mai l’occhio allo spettatore, ma anzi, lo si mette davanti ad un qualcosa che provoca fastidio

Bojack e gli altri sono come degli elastici che si tendono per uscire dalle sabbie mobili in cui sono intrappolati da sempre e nel momento in cui pensano di aver trovato un appiglio, il sostegno si rivela marcio, si rompe e così i personaggi sono costretti a sprofondare nuovamente, ancora più in basso di quando erano partiti. Allora il mid-season finale di questa prima parte di stagione è anche più calzante, ritrovando Bojack per l’ennesima volta intento a costruirsi il solito castello di carte di buonumore che al primo soffio di vento crollerà rovinosamente.

In attesa degli ultimi 8 episodi, non possiamo che promuovere a pieni voti questa “prima portata” che introduce perfettamente il finale di un prodotto eccezionale.

  • 9/10
    Storia - 9/10
  • 9/10
    Tecnica - 9/10
  • 10/10
    Emozione - 10/10
9.3/10

Summary

Bojack Horseman dopo quasi 70 episodi si dimostra come il prodotto che è stato in grado di ricollocare l’animazione tra i generi d’elite del mondo seriale. La vera gallina dalle uova d’oro di Netflix.

Porcamiseria

9.3

Bojack Horseman dopo quasi 70 episodi si dimostra come il prodotto che è stato in grado di ricollocare l'animazione tra i generi d'elite del mondo seriale. La vera gallina dalle uova d'oro di Netflix.

Storia 9 Tecnica 9 Emozione 10
Scopri di più sui Porcamiseria

Ti è piaciuta la serie?

like
0
Mi è piaciuto
love
0
Tutto!
haha
0
Divertente
wow
0
Porcamiseria!
sad
0
Meh...
angry
0
Che schifo

Commenta l'articolo

Simili a BoJack Horseman