Marvel's Daredevil2×04 Penny And Dime – 2×05 Kinbaku

Chiuso un ciclo, se ne fa un altro. In questa doppietta, capiamo meglio chi è davvero Frank Castle e lo salutiamo - per il momento - per accogliere una vecchia e famosa conoscenza del Diavolo Rosso: Elektra Natchios. E già, è proprio vero quando si dice che le ex ragazze portano solo guai.

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Quando uno spettatore si approccia a Daredevil per la prima volta, è inevitabile pensare di aver davanti un quadro. E non si parla solo dell’eccellente fotografia o della regia sempre puntuale, ma proprio delle sensazioni pressoché fisiche – colorate – che quasi ogni scena trasmette. È una sensazione viscerale guardare la tela che sta lentamente prendendo forma un personaggio dopo l’altro, uno scorcio dopo l’altro, mettendoci piano piano di fronte alla trama orizzontale della seconda stagione, che in queste prime puntate inizia a mostrarsi.
Ci hanno illuso, nella season prémiere, che The Punisher fosse il nuovo mostro di Hell’s Kitchen, dove c’è il Diavolo a combattere il crimine; e se già nello scorso episodio Frank ha iniziato a smentirci, in questa doppietta successiva la visione di chi sia lui e di cosa stia davvero succedendo nel quartiere si ribalta completamente.

2x04 Penny and Dime 2x05 Kinbaku Daredevil Recensione

“Take me home.”

Si scava sempre più a fondo, dunque. Dopo la scorsa puntata, in cui è stato Matt a portarci a spasso nella testa del Punitore, questa volta la nostra guida è Karen, che ci trascina letteralmente nella sua vita. Spinta dalla curiosità di scoprire davvero cosa si nasconda dietro quella radiografia misteriosa, segue sentieri di indizi come Pollicino da uffici a ospedali, quasi collegasse i puntini di un disegno molto più grande; non è ancora chiaro, in realtà, chi abbia reso tale il Punitore, ma sicuramente capiamo chi era in passato – una quotidianità fatta di foto e giocattoli che ci viene mostrata proprio da una Karen intrufolatasi nella casa di Frank, dopo aver scoperto l’indirizzo da un infermiere licenziato che sapeva troppo.

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Frank Castle era un uomo tutto sommato normale. Un ex militare, un marito, un padre affettuoso. Lo stridente alternarsi della silenziosa indagine di Miss Page in casa Castle con il combattimento tra Daredevil, Punisher e gli irlandesi stordisce e lascia spiazzati; la violenza non ci viene certo risparmiata – in quanto cifra stilistica di questa serie – ma ciò che davvero colpisce è un altro tipo di violenza. Scoprire che il Punitore è spinto dalla più semplice delle vendette è un pugno nello stomaco: non è un eroe, non è un vigilante o un giustiziere “sopra le righe”. Frank Castle è una feroce pennellata di rosso su una Hell’s Kitchen gialla e sporca, come tutti i suoi abitanti; la soluzione radicale, per estirpare il problema del crimine alla radice, è semplicemente uccidere tutti coloro che hanno commesso crimini e potrebbero farlo ancora. Nessuna seconda possibilità, del resto alla famiglia Castle – sterminata da mano ignota, forse irlandese o chi lo sa – non è stata concessa.

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Il contrasto tra il malinconico funerale di Elliot Grote a inizio puntata e l’elegia finale per la famiglia spazzata via, recitata da Punisher in un monologo a dir poco toccante – guarda caso in un cimitero – fa davvero riflettere su uno dei temi che sembra predominante questa stagione: la redenzione. Sia che si tratti del goffo e triste tentativo di Grotto di comprarsi il perdono, riempiendo la cassetta delle offerte in Chiesa con il bottino rubato, o l’accenno di sindrome post-traumatica di Frank per le atrocità commesse in guerra, “curata” dalla sua bambina. Lo stesso Matt Murdock è perennemente tormentato dalla colpa di non fare mai abbastanza per la sua città, dal desiderio di uccidere ma dalla volontà cristiana di non farlo perché tutti meritano la possibilità di riprovare.

One batch, two batch, penny and dime.

Ammirevole il rincorrersi nelle scene dei continui rimandi al passato del Punitore – nella scena della giostra o nella filastrocca che recita prima di premere il grilletto – che ci viene svelato poco a poco, senza fastidiosi spiegoni: è lui stesso a rivelare a Matt che le parole che recita come un mantra sono del libro preferito di sua figlia e che gli sono rimaste incastrate tra i pensieri perché non ha più avuto occasione di leggerle. Un eterno monito del suo rimpianto, una profonda sete di sangue che probabilmente non si placherà mai. La banda di irlandesi che affronta in questo episodio – dopo il ritorno in città nel capo, Finn – non è in grado di rispondere alle sue domande; Daredevil consegna alla polizia un uomo svuotato, di cui si è scalfita solo la superficie. Di certo, non abbiamo ancora visto la fine di Frank Castle.

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Plauso d’onore a una delle ultime scene dell’episodio, in cui Matt e Karen finalmente limonano consumano la miccia di quella tensione avvertita sin dalla prémiere. Se The Punisher è rosso, Karen è un sinuoso sbaffo di acquerello azzurro; complice un montaggio audio magistrale, la sequenza sotto la pioggia è di rara e sensuale bellezza, dove il tatto e l’udito soppiantano di prepotenza qualsiasi altro senso e ci ricordano che comunque Matt Murdock è cieco: lui, le cose, le percepisce in maniera completamente diversa.

5

 

“I said get me.”

L’introduzione di Elektra Natchios arriva come un’ombra, una macchia nera che si allarga lentamente su Hell’s Kitchen e, soprattutto, sull’animo di Matt – che già in passato ha subito il suo fascino oscuro.
La quinta puntata intreccia presente e passato, mostrandoci come il Diavolo abbia conosciuto la sua vecchia fiamma greca e ne sia stato attratto a livello quasi viscerale: Elektra sembra morbosamente sedotta dalla trasgressione – ragazza ricca e annoiata – e trova nel giovane Murdock di dieci anni prima il compagno ideale per scacciare la noia.

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Il loro rapporto rispecchia alla perfezione il titolo: il kinbaku è una pratica sessuale giapponese assimilabile al bondage, che consiste nel dare piacere al partner tramite una studiata costrizione fisica. Miss Natchios dimostra di essere una donna che sa quello che vuole e che non ha paura di passare sopra qualsiasi ostacolo per prenderselo; l’influenza che esercita su Matt è qualcosa difficile da cancellare, e questa metà stagione ci dimostra che i giochi sono appena iniziati.

La presenza di Elektra e il suo intromettersi in alcuni affari della Yakuza, coinvolgendo con uno stratagemma manipolatorio anche Daredevil, è lo specchio di una notte di dieci anni fa, in cui ha cercato di costringere Matt a uccidere Roscoe Sweeney – l’assassino del padre.
Questi due, sullo schermo, fanno letteralmente scintille: il contrasto con l’appena sbocciata relazione con Karen, così dolce e innocente, è netto e voluto – la fotografia della prima notte di passione tra Matt e Elektra è talmente azzeccata da poter percepire la lussuria ad ogni inquadratura.

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E se la puntata precedente era dedicata a “chiudere” il primo ciclo introduttivo di Frank Castle, Kinbaku fa un notevole balzo avanti nel mistero di quale sia il filo conduttore dell’intera stagione. Miss Page resta la vera anima investigativa della serie, e non si smentisce neanche stavolta; non solo ha trovato la “vita” di The Punisher, ma chiedendo aiuto al direttore del New York Bulletin – il giornale per cui lavorava il defunto Ben Urich – inizia a scavare nella domanda che ci stiamo facendo tutti: perché tre bande hanno deciso di ammazzarsi davanti a una giostra, sterminando la famiglia di Frank? E soprattutto, cosa nasconde l’ufficio del procuratore?

4

 

La corsa è appena iniziata.
Questa seconda stagione di Daredevil, per il momento, non ha la stessa organicità della prima – che, com’è giusto, mostrava la nascita dell’eroe, in un unico arco narrativo. La sperimentazione di nuovi personaggi e nuove storie, con un Diavolo più maturo e consapevole del suo ruolo, ha ancora tanta strada da fare. I piccoli riferimenti a Marvel’s Jessica Jones contribuiscono a far comprendere allo spettatore che la storia di Matt Murdock è inserita in un universo ben preciso, il che porta il livello da raggiungere ancora più in alto. Ma date le premesse – registiche, tanto per lodare un aspetto su tutti – si prospetta una hell of a ride.

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