Fargo2×01 Waiting for Dutch

Solitamente la seconda stagione di una serie è quella che indica se il successo della prima stagione è stato un caso, un colpo di genio fortuito, oppure al contrario se la visione dei suoi autori è veramente meritevole. Il caso di Fargo è diverso. Quando venne annunciata la prima stagione infatti lo scetticismo era già tanto, […]

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Solitamente la seconda stagione di una serie è quella che indica se il successo della prima stagione è stato un caso, un colpo di genio fortuito, oppure al contrario se la visione dei suoi autori è veramente meritevole. Il caso di Fargo è diverso. Quando venne annunciata la prima stagione infatti lo scetticismo era già tanto, questo perché riproporre la formula dell’omonimo film cult dei fratelli Coen del 1996 sembrava operazione assai rischiosa, con un alto pericolo di trasformare, se non rovinare, un racconto ormai ritenuto perfetto. La prima stagione di Fargo invece, per intenti considerabile una sorta di secondo atto rispetto al film, si è è rivelata un piccolo capolavoro, costruito con una maestria inaspettata.

Noah Hawley, creatore della serie, deve aver avvertito che lo scoglio più importante poteva dirsi ormai superato: ciò che risulta chiaro da questo pilot è infatti la volontà di lasciarsi completamente andare, con un evidente orientamento al gioco, al divertimento fatto di virtuosismi di regia, un montaggio non convenzionale e una scrittura totalmente impregnata di quegli anni ’70 in cui è ambientata la nuova vicenda. Anche l’introduzione lo dimostra: la famigerata frase di apertura “This is a true story…” non è più l’elemento che crea tensione e angoscia, adagiato in dissolvenza su bui campi lunghi e musica misteriosa. Sarà che ormai tutti sanno che non si tratta affatto di una storia vera, ma la seconda stagione di Fargo decide di partire subito col botto: split screen da tutte la parti, riprese storiche e di finzione che si mescolano, musiche e colori accattivanti, con tutto che sembra dirci al diavolo i toni cupi, stavolta ci si diverte.

Il cambiamento di registro c’è e si vede, ma tanti sono anche gli elementi di continuità con la serie precedente (e inevitabilmente con il film dei Coen). L’ambientazione rimane quella fredda e nevosa del Midwest settentrionale, la vena tragicomica è sempre il punto chiave della visione di Hawley, con quell’umorismo presente tanto nei dialoghi più articolati quanto nelle scene più esplosive e violente. L’anello di congiunzione di questa seconda stagione con la precedente è la figura dell’agente Lou Solverson, padre di Molly, la protagonista assoluta del Fargo del 2014, interpretato da Patrick Wilson. Concludiamo l’immancabile confronto con la stagione passata notando che questa volta la vicenda si articola in modo più corale, andando a toccare ambienti e personaggi (per ora) tutti sullo stesso livello di importanza. Forse non ci sarà un Lorne Malvo capace di farci rabbrividire, ma le situazioni presentate sembrano sicuramente all’altezza delle aspettative.

Facciamo subito la conoscenza di Rye e della sua poco raccomandabile famiglia: i Gerhardt. Otto è il padre di famiglia, dal carattere duro e autoritario, che pensa bene di farsi prendere un ictus già alla sua prima scena; Floyd è sua moglie, interpretata da una Jean Smart dallo sguardo glaciale, Dodd il primogenito maschio alfa, e poi c’è Bear, che assomiglia veramente ad un orso. Rye è il più piccolo, quello un po’ sfigato, ma che se la cava sempre in qualche modo, al quale ci affezioniamo subito grazie anche alla riuscita interpretazione di Kieran Culkin. Per rimediare un po’ di soldi come suo contributo agli affari (sporchi) di famiglia, Rye pensa bene di mettere le mani sulla distribuzione di una nuovissima macchina da scrivere elettrica IBM; è il pretesto per l’inizio della storia, e che storia: c’è di mezzo un triplice omicidio, una finta rapina, un incidente stradale, un cervo che in realtà è un uomo e, perché no, anche un UFO.

L’omicidio al The Waffle Hut è una delle due scene portanti della puntata. La giudice che Rye deve corrompere si dimostra più cazzuta del previsto, uno di quei personaggi che in 5 minuti riesce a cancellare ogni altra entità senziente presente sulla scena, e come sappiamo Rye ha un animo troppo impulsivo per resistere alla violenza dello spray sugli occhi: metteteci anche una pistola e della cocaina in circolo, ed il gioco è fatto. L’uso del ralenti, dei suoni e delle grida, anch’esse rallentate, dilatano all’estremo l’evento, che in realtà sarebbe brevissimo perché si conclude nel tempo di chiusura della porta della cucina, come ci fa notare il montaggio. I personaggi sembrano far fatica a morire, prolungando l’ansia di Rye e dello spettatore. La conclusione della sequenza poi è quanto di più strano potessimo immaginare: l’apparizione dell’UFO e l’episodio della macchina che riparte con Rye incastrato nel parabrezza si riferiscono a due episodi reali: l’incontro ravvicinato di Val Johnson e la morte di Gregory Glen Biggs. Incredibile come in una serie di finzione gli episodi più assurdi siano ricollegabili ad eventi realmente accaduti. “This is a true story”, appunto.

L’altra scena chiave dell’episodio è quella del garage. I protagonisti sono Peggy e Ed Blomquist – interpretati da Jesse Plemons (Breaking Bad, Olive Kitteridge) e dalla sempre affascinante Kirsten Dunst, entrambi visibilmente ingrassati per il ruolo – due innamorati con il sogno di una vita normale. Lui, futuro proprietario di una macelleria, vorrebbe fare più spesso l’amore con lei, che invece pensa al suo salone di bellezza e al corso per l’autorealizzazione che le cambierà la vita. Anche loro piuttosto sfigati dunque, un po’ come lo era Lester Nygaard nella scorsa stagione. La situazione che si crea nel loro garage potrebbe essere la definizione di tragicomico. L’insistenza di Peggy nel negare l’evidenza e l’ingenuità di Ed nel crederle fanno sorridere, la violenza del combattimento e l’uccisione contrastano creando tensione, la disperazione di Ed, la speranza di Peggy, e la decisione di nascondere il delitto, danno vita al dramma. Fargo è racchiuso in questa incredibile scena, come l’anno scorso lo era nella sequenza dello scantinato di Lester.

Ma la fortuna di Fargo la creano anche i dettagli, e da quelle scelte stilistiche e registiche che prima confondono e poi affascinano. Dello split screen si parla e si parlerà molto, simbolo della ricerca visiva degli anni ’70, ma anche mezzo per tenere sotto controllo diversi elementi della narrazione: a volte utile ad inquadrare diversi personaggi nello stesso istante e altre a mostrare lo stesso personaggio su più livelli temporali. Il flashback che ci mostra la reazione di Peggy dopo l’incidente, che poco prima era stato nascosto, svela tutta la volontà di giocare con lo spettatore e con la sua percezione dello spazio, del tempo, di ciò che è vero e di ciò che non lo è, in relazione a ciò che si vede e ciò che non si vede, un po’ come la scena di Ed che armeggia con la torcia, mostrando solo dei flash di Rye creduto cervo e negando una visione chiara e completa (che ansia).

Come non parlare poi della ricerca sonora, mai così protagonista; riuscitissima è ad esempio la scelta di rivivere la scena del’ictus di Otto solo attraverso i suoni, sconnessi e intensi, mentre l’inquadratura ci mostra una silenziosissima veglia della moglie sofferente accanto al letto del consorte. Da registrare è inoltre la tendenza verso uno stile Tarantiniano della regia, che se da un lato può essere inconsapevole conseguenza dei virtuosismi registici, dall’altro appare mirata in alcune scelte, come l’inquadratura dal basso della cella frigorifera di Peggy e Ed, o i piccoli frammenti di scene da due secondi a spezzettare i dialoghi (Ok then!).

Varrebbe la pena soffermarsi su mille altri aspetti di questo nuovo Fargo, dal citazionismo dei Coen (la storia di Giobbe raccontata dal giudice è già presente in A Serious Man, il The Waffle Hut è in The Ladykillers, e la canzone dei titoli di coda presente anche in Fratello, dove sei?), fino ai piccoli misteri e curiosità che rendono la vicenda più intrigante (la scarpa sull’albero notata dallo sceriffo Hank), o il perché nella storia letta alla piccola Molly da Lou debba leggersi “Dear me! ejaculated Mrs. Pepper”. Varrebbe anche la pena approfondire il discorso di finzione storica, che vede una fittizia campagna presidenziale di Ronald Reagan mescolarsi coi veri complotti citati dallo spassoso personaggio interpretato da Nick Offerman, fino alla stramba introduzione con il finto film “Massacre at Sioux falls” di cui gustiamo una (finta) scena di pausa sul (finto) set, in cui proprio Reagan è il “Dutch” che si aspetta nel titolo dell’episodio.

Tutto in Fargo gira attorno alla percezione della realtà, quella che ci viene raccontata, a cui possiamo credere o non credere, come con i racconti sugli UFO, con i complotti, o con le improbabili bugie di mogli impaurite. I personaggi interessanti non mancano, le premesse per uno sviluppo intrigante della vicenda neanche. La vena macabra e ironica a cui siamo abituati è più forte che mai, e i reparti tecnici sono tutti eccellenti, a cominciare dal montaggio camaleontico e dalla fotografia che domina i contrasti, fino ad arrivare ad un reparto scenografia e costumi senza rivali. Insomma di carne al fuoco il nuovo Fargo ne ha messa fin troppa, non solo dal punto di vista tecnico, ma anche per un discorso metalinguistico, o più strettamente narrativo. Un ritorno in grande stile, innamorarsi di una serie non è mai stato così facile.

5

I vostri tweet sono ovviamente ricchi di entusiasmo per questa nuova stagione di Fargo, ecco i migliori:

https://twitter.com/AltieriNicola/status/654076281982713856

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