Fargo2×03 The Myth of Sisyphus

Sisifo è un astuto e scaltro personaggio della mitologia greca, che per aver osato sfidare gli dèi viene condannato a trasportare un masso verso la cima di un monte per l’eternità. La terza puntata di Fargo si intitola per l’appunto “The myth of Sisyphus”, e come spesso capita il titolo lascia ampio spazio alle interpretazioni: stiamo parlando […]

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Sisifo è un astuto e scaltro personaggio della mitologia greca, che per aver osato sfidare gli dèi viene condannato a trasportare un masso verso la cima di un monte per l’eternità. La terza puntata di Fargo si intitola per l’appunto “The myth of Sisyphus”, e come spesso capita il titolo lascia ampio spazio alle interpretazioni: stiamo parlando del coraggioso Lou? Del beffardo Mike? Di Dodd il duro, o del crudele destino del venditore Skip? Niente di tutto ciò.

La trama fa un balzo in avanti non da poco in quest’episodio, soprattutto per quanto riguarda le indagini e le connessioni tra i personaggi. L’impronta di Rye sulla pistola conduce le ricerche della polizia verso la famiglia Gerhardt, sempre più vicina allo scontro con la mafia di Kansas city. Mike Milligan e i Kitchen brothers continuano a destare parecchi sospetti, e i Blomquist sono costretti a inscenare un falso incidente con l’automobile per mascherare quello vero e sviare così le indagini. La chiave dell’episodio è però Skip Sprang, il venditore di macchine da scrivere in “affari” con Rye. Già nella scorsa puntata era stato interrogato da Mike, nella riuscita scena della cravatta nella macchina da scrivere, che costringeva il povero Skip a subire fisicamente il colpo di ogni lettera digitata da Mike nel suo fantasioso monologo. Ora, dopo essersela cavata in maniera non troppo convincente di fronte alle domande di Lou e del collega Ben Schmidt (altro personaggio comune alle due stagioni), casca nella trappola della figlia di Dodd, appostata insieme al silenzioso sicario indiano Hanzee nell’appartamento di Rye. Di nuovo la cravatta lo tradisce, e senza opporre alcuna resistenza si ritrova sepolto vivo da una montagna di asfalto in un finale crudele e senza scampo.

Fargo 2x03 The Myth of Sisyphus

Il personaggio che più di tutti esce rafforzato da questo episodio è senza dubbio Lou Solverson, che dimostra una inaspettata risolutezza, in particolare in due momenti: nella visita alla famiglia tedesca e durante il confronto ad armi spianate con Mike e i due Fratelli dal mutismo un po’ forzato. Sappiamo già dalla stagione passata che Lou non morirà, ed il fatto che questi “incontri” ci tengano col fiato sospeso è già un piccolo miracolo. I dialoghi poi non sono mai banali, anche nel classico scontro buono vs. cattivo. Nota di merito agli attori, che iniziano ad ingranare grazie al maggiore minutaggio concesso dopo i primi due episodi più corali. In particolare spiccano Bokeem Woodbine, che interpreta Mike Milligan e Jeffrey Donovan, Dodd. Il primo è un maestro nel costruire un personaggio costantemente in bilico tra follia e genialità, caratterizzato da un’astuzia e da una dialettica proverbiali, sempre sicuro di cavarsela in qualche modo. Il secondo è un ben più classico cattivone buzzurro orgoglioso che maltratta la figlia, reso alla perfezione da un Donovan perennemente incazzato. C’è da dire poi che anche Patrick Wilson, nei due duelli sopracitati con Mike e Dodd, non sfigura affatto, e anzi regge il confronto restando credibile nel suo ruolo di buono ma cazzuto.

“Peace, with honor … I am not a Crook” – Mike –

Fargo 2x03 The Myth of Sisyphus

Noah Hawley non perde mai occasione per fare di Fargo un piccolo parco giochi per la sua scrittura, capace di destreggiarsi con disinvoltura tra dialoghi dalla stranezza quasi innaturale e altri più classici del genere, come nella scena in cui Joe Bulo prima ci parla del suo shampoo preferito e il secondo dopo dell’importanza del mercato nell’affare Gerhardt. Tra i momenti più riusciti ricordiamo anche il tenero dialogo tra Peggy e Ed Blomquist, sul bus di ritorno dal finto incidente: vediamo i due guardarsi e non aprire bocca, ma sentiamo le loro parole. Sentiamo un Ed colmo di insicurezze come un bambino al primo giorno di scuola, che cerca conferme da una Peggy piena di quella speranza incerta delle madri in difficoltà. Un dialogo interno, forse immaginato, o forse appena concluso, che riesce in pochi secondi a rendere appieno le angosce della sfortunata coppia. Tutto è poi perfettamente confezionato da una colonna sonora sempre sorprendente e da una fotografia che rappresenta lo stato dell’arte del settore, ma questo per Fargo non fa neanche più notizia.

Fargo 2x03 The Myth of Sisyphus

Chi è dunque questo Sisifo? Nessuno in particolare. Così come il senso di tutto ciò che accade in Fargo: nessuno. “Il mito di Sisifo” infatti è anche il titolo di un saggio di Albert Camus del 1942, in cui si riconosce come assurda l’esistenza e si nega qualsiasi significato e valore alla vita e al mondo. Un po’ come nella conclusione dello scorso episodio Hawley ci vuole suggerire di non cercare un senso in ciò che vediamo; le nostre vite, come quelle dei personaggi di Fargo scorrono casualmente tra coincidenze prive di significato, e commetteremmo un errore a giudicarle importanti. Ecco allora che se il figlio di Bear ci ricorda troppo chiaramente il figlio di Walter White in Breaking Bad, o se Mike Milligan and the Kitchen Brothers ricorda il nome di un gruppo prog-rock, non dobbiamo stupirci troppo, perché a quanto pare tutto è completamente aleatorio. In questo senso potremmo prendere come modello la ragazza della macelleria, lei, che in una scena vediamo leggere proprio il saggio di Albert Camus. Il suo “ok then” diventato già cult questa volta è sostituito da un “whatever” altrettanto disinteressato, e con questo disinteresse noi continuiamo a goderci questo secondo piccolo gioiello che è Fargo.

La narrazione è molto più vicina a quella della forma romanzo, l’indagine procede in modo plausibile, le tensione non manca, le risate neanche (la faccia di Kirsten Dunst, quando lo sceriffo dice che non si può semplicemente investire un Gerhardt e tornare a casa a preparare la cena, vale da sola l’intera puntata). Assegniamo 4 porcamisera e mezzo, solo perché sentiamo che è ormai passato il momento degli standoff che si concludono in un nulla di fatto, più concretezza (non necessariamente più morti) e si può tornare alla perfezione del pilot.

4.5

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