Fargo2×08 Loplop

Ogni settimana Fargo ci regala l’episodio migliore della stagione per poi smentirci clamorosamente la settimana successiva. La storia si ripete anche questa volta: Loplop, l’ottavo episodio, è un viaggio nella mente psicotica di Peggy e nella silenziosa furia di Hanzee, denominatore comune è Dodd Gerhardt, terzo grande protagonista dell’episodio. Come previsto andiamo ad occuparci dell’altro […]

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Ogni settimana Fargo ci regala l’episodio migliore della stagione per poi smentirci clamorosamente la settimana successiva. La storia si ripete anche questa volta: Loplop, l’ottavo episodio, è un viaggio nella mente psicotica di Peggy e nella silenziosa furia di Hanzee, denominatore comune è Dodd Gerhardt, terzo grande protagonista dell’episodio. Come previsto andiamo ad occuparci dell’altro lato della storia: se la scorsa settimana abbiamo assistito alle vicende dei Gerhardt, dei Solverson, e del temibile Mike Milligan, questa settimana ci focalizziamo sul nucleo familiare più divertente della stagione, i Blomquist, che con le loro sprovvedute decisioni si stanno sempre più mettendo nei guai.

“Think or be, you can’t do both”

Con questa perentoria affermazione entriamo nel mondo di Lifespring, o almeno di quello che Peggy crede sia Lifespring. John Hanley – fondatore del movimento – in persona pronuncia la frase nella testa di una confusa Peggy; la sua conclusione è che per essere la migliore persona che si può essere bisogna semplicemente… esserlo, non pensarci troppo, ché se si pensa si finisce a dimostrare che la vita non è altro che contraddizioni e nonsense. La teoria dell’assurdo è stata più volte esposta in questa stagione di Fargo per dare un’impronta surreale all’opera (o se vogliamo surrealista, visto il titolo dell’episodio che fa riferimento all’alter-ego in forma di uccello del pittore Max Ernst), ora viene affiancata ad una più diretta teoria dell’agire, che porta Peggy ad uno stato di esaltazione sintomo di un certo bipolarismo. I suoi comportamenti estremi sono finalmente spiegati e giustificati, ma quello che combinerà l’imprevedibile bionda durante l’episodio, nonostante ciò, continuerà inesorabile a sorprenderci.

Quasi tutto l’episodio si svolge all’interno della baita in cui si rifugiano i Blomquist in fuga, non a caso i titoli di testa si prolungano in quest’episodio molto più del solito, per far idealmente iniziare l’episodio con l’arrivo alla baita. Ciò che succede li dentro è un susseguirsi di follia e colpi di scena che non lasciano spazio alla distrazione dello spettatore, e difficilmente verranno dimenticati. L’accoltellamento improvvisato di Dodd è l’apice dell’insensatezza che Fargo sa proporre, un momento in cui viene scaricata tutta la paradossale tensione tra le parti nella maniera più illogica possibile. Ed che ripete a Peggy di non continuare ad accoltellare l’ostaggio, Dodd che cerca di convincere Ed della pazzia della moglie con un disperato senso di fratellanza maschile, e Peg che si preoccupa della convenzione di Ginevra dopo aver ferito Dodd, sono quanto di più divertente potessimo chiedere a Fargo in questo momento. Rimaniamo sbalorditi dalle solide interpretazioni di Jeffrey Donovan e Kirsten Dunst, che – insieme a Jesse Plemons– ci propongono un’alchimia tra le parti che raramente riesce con tale successo. I dialoghi sono quanto di più assurdo potesse uscire dalla mente di Noah Hawley, e ad assistere all’imprevedibile follia psicotica di Peggy quasi ci viene da tifare per Dodd, in un non troppo improbabile parallelismo con Misery di Stephen King.

“Honey, did you stab the hostage?”

Come nello scorso episodio, anche questa settimana si concretizza sullo schermo il fascino inspiegato di Noah Hawley e dei suoi collaboratori per la Francia della seconda guerra mondiale, questa volta in un finto film (come fu quello d’incipit del pilot) che rapisce l’attenzione di Peggy tanto da distrarla – alquanto inverosimilmente – dalla liberazione di Dodd. Quest’ultimo, altrettanto inverosimilmente, non si occupa subito di lei, lasciandole la possibilità di metterlo al tappeto una seconda volta prima dell’arrivo di Hanzee. A loro discolpa c’è da dire che Dodd deve esser stato abbastanza stordito per essere stato doppiamente accoltellato e legato per ore ed ore, e per quanto riguarda Peggy, si può facilmente immaginare che la sua capacità di focus sia un pochino diverse rispetto a quelle di tutti gli altri. Ciò che risulta all’apparenza inverosimile è in realtà volutamente esagerato in Fargo, che fa dell’insensatezza il suo punto di forza, ma sempre riuscendo a giustificare l’impossibile.

Hanzee conclude la sua lenta ma non troppo tranquilla ricerca arrivando ancora una volta indisturbato a destinazione. La sequenza del bar getta le basi per l’inaspettato sviluppo finale dell’episodio. Il tema del rapporto degli Stati Uniti con i nativi americani era stato solamente accennato in precedenza, pensiamo al già citato incipit del pilot, qui invece irrompe prepotente nelle parole di disprezzo rivolte ad Hanzee da un gruppo di buzzurri e dal loro barista. Ovviamente lui risponde a suon di fucilate, neanche c’è da chiederlo, ma qualcosa cambia nel suo comportamento: forse mette in discussione le motivazioni della sua fedeltà a Dodd, forse rinasce in lui un sentimento di compassione verso gli oppressi, o forse semplicemente si rende conto di averne abbastanza di una vita violenta. La sua richiesta di farsi tagliare i capelli da Peggy è quanto meno inaspettata, e corre parallela al riferimento di Dodd su Sansone di pochi secondi prima. “Tired of this life”, si dichiara dopo aver improvvisamente ucciso l’irrispettoso e arrogante Dodd. Colpo di scena si, ma anche questa volta totalmente giustificato: se chiami un sicario indiano “half-breed” o “mongrel” (meticcio), è tutto sommato probabile che questo risponda così bruscamente, per usare un eufemismo.

I riferimenti all’universo letterario e cinematografico in Fargo sono una costante, abbiamo imparato ad amarli ma non smettono mai di stupirci. Dopo il titolo dell’episodio, il parallelismo tra Hanzee e Sansone, segnaliamo la sequenza in cui il silenzioso indiano fa visita all’emporio della stazione di servizio usata da Ed per le chiamate ai Gerhardt, che ricalca lo stile di Non è un paese per vecchi e anzi ne imita gli elementi narrativi. Così come Dodd legato e incappucciato in casa ci ricorda l’originale Fargo del 1996. Questi riferimenti, veri e propri omaggi allo stile grottesco dei fratelli Coen, non risultano mai forzati o fastidiosi, a dimostrazione – o meglio, a conferma – che Noah Hawley ha saputo costruire con perizia e sapienza una serie tanto fedele al passato quanto originale.

Fargo 2x08 Loplop recensione

Sfidiamo chiunque a non essere entusiasta di questa stagione di Fargo, certo si può discutere all’infinito di quanto sia migliore o peggiore della precedente, ma la sua qualità non può essere messa in discussione. Le interpretazioni sono sempre più convincenti, e siamo certi che varranno più di qualche riconoscimento agli attori, senza contare che la struttura narrativa non crolla neanche per un secondo: i fatti sono perfettamente integrati con il fascino per l’assurdo che gli autori ci propongono, la sceneggiatura premia il lato comico e quello tragico in egual misura. Anche questa settimana il massimo del punteggio per la migliore puntata fino ad ora, 5 Porcamiseria, sperando di continuare ad essere smentiti con il prossimo episodio.

5

 

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