Game Of Thrones8×05 The Bells

L'assalto a King's Landing è finalmente arrivato. Siamo pronti a fuoco e sangue, ma dobbiamo convivere ancora con la delusione di un Game of Thrones che ha perso la sua storica caratura.

6.7

Forse più del finale di serie, questo episodio di Game of Thrones può servire a decretare se realmente in termini di qualità dello show è tutto da buttare, o dalle macerie di King’s Landing vi sia del salvabile. Ciò che ci rattrista è constatare che rimaniamo con un mucchio di cenere, rispetto a ciò che era il Trono di qualche anno fa, tanto potenziale inespresso buttato all’aria da scelte da becera fanfiction e strategie di guerra tuttalpiù risibili.

Iniziamo la disamina dagli sconfitti, i Lannister finiti sotto un cumulo di macerie ma uniti anche nella morte. Si apprezza la chiosa struggente che ci fa empatizzare con Cersei, quella paura della morte che fa esclamare anche a noi come non si possa morire in questo modo: è tutto anticlimatico, il leone non ruggisce fino all’ultimo, e non c’è spazio per un confronto fratricida – del resto, la profezia del valonqar è solo nei libri. Piccolo dettaglio insignificante: Cersei dovrebbe essere incinta, ma è snella e senza nemmeno un barlume di ritenzione idrica.

Jaime, tra i due, è quello più bistrattato da questo pasticcio di sceneggiatura: il confronto con Euron alza alle stelle i livelli di cringe, con il Greyjoy spavaldo che compare magicamente nello stesso punto in cui arriva Jaime; le ferite subite dovrebbero essere mortali, eppure il Lannister continua a camminare quasi come se niente fosse. Dulcis in fundo, l’arco narrativo di redenzione post Night King finisce in briciole, senza nulla di ponderato che agisca da giustificazione, ma solo con un personaggio sballottato da una parte all’altra del mondo senza più una reale gravitas nel corso degli eventi.

Arya e Sandor raccontano tra altri e bassi l’incursione a King’s Landing. Soprassedendo su come tre intrusi siano riusciti a passare la frontiera della capitale di Westeros – momento relegato offscreen come la maggior parte delle scelte convenienti di questo episodio e dei passati – stupisce vedere una redenzione così improvvisa da parte della giovane Stark, che cambia idea e abbandona la vendetta nel momento peggiore possibile. Il resto è plot armor nelle strade della città e un cavallo bianco in mezzo alla strada – un Uber medievale, si presume.

Registicamente nulla da eccepire, la confusione e la claustrofobia regnano durante la folle corsa di Arya, e il montaggio tra la folla che martoria la giovane Stark e i colpi ricevuti da Sandor crea un interessante parallelismo, assieme alle dissolvenze coadiuvate dal fumo e la cenere in città.

Sandor e il cleganebowl, a ben vedere, sono l’unica consolazione in questo mezzo disastro. La loro era l’unica fine possibile, sospendendo l’incredulità sull’assurda resistenza del cranio di entrambi i Clegane, ed ha un che di poetico. La nota di colore del cranio fracassato di Qyburn insegna invece come una creazione aberrante ci metta poco a rivoltarsi contro il proprio fautore.

La parte più delicata, quella di una Daenerys ormai Mad Queen, richiede uno sforzo gargantuesco da parte nostra per risultare digeribile. La Golden Company, prima del momento fatidico, è il più stupido investimento mai concepito, visto come viene incenerita in due nanosecondi – anche qui, tanto potenziale inespresso – al pari delle balestre scorpione, che mostrano tutta la loro debolezza quando non colgono di sorpresa il bersaglio. Rhaegal doveva soffrire di una forte miopia.

Le campane della resa suonano, e ci illudono che il piano di Tyrion abbia funzionato. Il consigliere della Regina ha effettivamente fatto quanto di più intelligente si potesse, portando la città alla resa, fino a quel momento con relativo spargimento di sangue. Il problema è il definitivo cedimento di Daenerys alla vista della Red Keep, per il quale non c’è supplica che tenga. Lo sappiamo, è da diverse stagioni che vedevamo avvisaglie di pazzia e malgoverno, scarsamente rimediate da dei consiglieri che tenevano Daenerys con i piedi per terra; tuttavia, così come nello scorso episodio, la narrazione frammentata e confusa della stagione non ci dà modo di assorbire pienamente la nozione di una Targaryen folle.

Tutto ciò che riguarda la battaglia finale e la caratterizzazione dei personaggi principali è in buona sostanza banalizzato

Daenerys non ha più niente da attaccare, ma odia così tanto il mondo costruito dai Baratheon e dai suoi successori, persino il castello fondato dai suoi avi, da preferire fuoco e sangue alla pietà verso i civili. Sarebbe stato molto più comodo volare fino alla balconata di Cersei e arrostirla sul posto, ma per ragioni ignote e per banalità di scrittura si preferisce giocare con il castello come fosse una costruzione di Lego, girandoci attorno demolendola un pezzetto alla volta.

In sintesi, tutto ciò che riguarda la battaglia finale e la caratterizzazione dei personaggi principali è brutalmente banalizzato, e un evento sulla carta epico e senza pari non arriva nemmeno lontanamente allo spettacolo che invece era Blackwater Bay, con una Cersei pronta ad avvelenare Tommen invece di rimanere immobile a fissare il panorama dalla sua balconata.

In Game of Thrones tutto va troppo di fretta, e l’epicità di un finale incendiario fa pari con una scrittura inconsistente e mal strutturata. A posteriori, si ha la quasi certezza che il buon Martin abbia dato delle linee guida sommarie sul finale della vicenda, ma che abbia lasciato Benioff e Weiss liberi di scegliere come far proseguire l’intreccio. Questo è l’imbarazzante risultato, contro cui poco può l’eccellente regia di Miguel Sapochnik. Rimane un solo appuntamento con le ultime, spinose questioni da risolvere, vediamo quanto Jon Snow sarà capace di starsene imbambolato mentre attorno a lui tutto va in polvere.

  • 4/10
    Storia - 4/10
  • 8.5/10
    Tecnica - 8.5/10
  • 7.5/10
    Emozione - 7.5/10
6.7/10

Summary

Buttando all’aria anni di costruzione e caratterizzazione complessa e sfaccettata, Game of Thrones si rifugia in un’epicità banale e raffazzonata. Pochissimi elementi brillano, sorretti da interpretazioni magistrali e una regia spettacolare, lasciandoci l’amaro in bocca e il lutto per quanto rimane della capitale di Westeros.

Porcamiseria

6.7

Buttando all'aria anni di costruzione e caratterizzazione complessa e sfaccettata, Game of Thrones si rifugia in un'epicità banale e raffazzonata. Pochissimi elementi brillano, sorretti da interpretazioni magistrali e una regia spettacolare, lasciandoci l'amaro in bocca e il lutto per quanto rimane della capitale di Westeros.

Storia 4 Tecnica 8.5 Emozione 7.5
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