Gomorra2×05 Episodio Cinque – 2×06 Episodio Sei

Mentre Genny cerca di imporsi come unico Savastano nel teatro del potere, Ciro l'Immortale, peccando di ubris, viene meno alla parola data e, attraverso un'attenta demagogia, innesca una faida all'interno dello storico clan. Ma Pietro Savastano non abbandonerà il suo ruolo da protagonista, preparandosi ad uno scontro deleterio, per tutte le parti in causa.

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Episodio Cinque

Due amici. Anzi, un mentore e un bambino, un idolo e un fan. Due nemici.

Questo è il percorso esistenziale, fatto di mitra e pistole, di sangue e sudore, eseguito da Genny e Ciro, in Gomorra. Il quinto episodio della seconda stagione è incentrato, in una prospettiva centripeta, verso un’unica scena: il dialogo tra questi due ex-compagni. Il contesto referenziale, le dinamiche interpersonali raccontate sono solo una cornice pragmatica e preparatoria per il vero focal point: il loro incontro. Un incontro che avverrà in una terra neutrale, non Napoli, non Secondigliano e nemmeno Roma, bensì Trieste. Una città esterna al loro passato per un incontro inverosimile che viaggia sui binari dell’illogicità. Infatti, da una parte vige l’ubris di Ciro che, con le mani sporche del sangue di Donna Imma e dello stesso Genny, richiede una pace che sovverte ogni codice d’onore. Dall’altra parte Genny, profondamente scisso tra la voluntas di un padre/padrone e la chance per affermare se stesso.  Pietro Savastano, infatti, vuole che Genny uccida Ciro, per vendicare sua moglie, per punire e per disinnescare quel meccanismo del tradimento, di cui l’Immortale appare abile regista. Cosa fare? Uccidere Ciro e morire per mano dei suoi alleati? Non ucciderlo e divenire un subordinato? Ucciderlo in sordina? Questi interrogativi balenano nella psiche di Genny che, con un ritmo narrativo molto lento, seguiamo nella sua altalenante e, sorprendentemente, pacata capacità di scegliere.

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Anticamera del centro tematico di questo episodio, un po’ troppo flemmatico, è la passeggiata notturna di Ciro. Consapevole del pericolo imminente, vediamo la paura apparire nel suo portamento, nella sua andatura, nella sua voce. E poi il colpo di scena. Varcata la porta della sua camera d’albergo, in una scena sapientemente costruita, Genny e Ciro si ritrovano, di nuovo, dopo molto tempo e troppi cambiamenti, uno di fronte l’altro. Eppure, nonostante i precedenti, nonostante un rancore legittimo, ciò a cui assistiamo non è una resa dei conti : è una confessione. Non c’è vendetta nei loro volti, non c’è ferocia.

Infatti, alla confessione patetica di Ciro di aver ucciso Debora, di esser n’omm e merd, Genny appare scosso, ha una reazione genuina, spontanea che crea un parallelismo con il Gennarino dell’incipit. Chiede come Ciro ha spiegato a sua figlia di essere l’assassino della madre, si crea un canale empatico tra loro due e nel giro di pochi minuti tutte le sfumature del loro rapporto controverso, fatto d’idolatria e sangue, sono rese evidenti. Nei loro sguardi, nella loro spontaneità, nel loro confessarsi è insita tutta la complicità antitetica che li lega, in un ossimoro malsano e catartico, e che salva la vita a Ciro.

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Ora, ciò che ci chiediamo è se Ciro abbia messo in scena questo teatro dialettico per indurre Genny a non vendicarsi. Ci chiediamo se Ciro, da abile oratore, come si è sempre dimostrato, abbia sfruttato il suo rapporto con Genny, facendo leva sui suoi punti deboli. Perché una cosa è certa: Ciro l’avrebbe ucciso, non gli avrebbe ricambiato la cortesia di vivere. Ci piace pensare che ciò a cui abbiamo assistito sia stato un momento autentico . Ci piace pensare che Ciro sia davvero distrutto dai fantasmi delle sue azioni e dai rimorsi più reconditi. Ma l’Immortale è colui che, con le parole, le armi più potenti, ha distrutto famiglie, sciolto e creato alleanze, proclamato la pace di una guerra da lui creata. L’abbiamo imparato: è un congiurato, un cospiratore. Con l’ars dictandi, si salva. In maniera inverosimile e del tutto non sense, riesce a stringere un accordo con Genny in cui è lui a dettare le condizioni e a vincere. Seriously? Il principio della realtà, di cui Gomorra si fa tanto predicatore, appare, in questo episodio, fatalmente compromesso.

Ma… Pietro Savastano? Inizia, dopo questo ribelle accordo, quella faida di un padre contro un figlio che era stata preannunciata nel secondo episodio. O forse no…Staremo a vedere se la sua reazione da padre tradito avrà ulteriori risvolti.

L’episodio merita tre porcamiseria, per la presenza di un’unica scena portante in una miriade di tessere narrative accessorie che non hanno creato attesa, ma solo un fastidioso temporeggiamento.

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Episodio Sei

Lo scontro generazionale padre/figlio, in potenza negli atti precedenti, trova piena realizzazione in questo episodio, che presenta un’accurata struttura ad anello. Infatti, attraverso un percorso completo e circolare, le parole d’esordio e di chiusura di Pietro Savastano suggellano la futura direzione narrativa di Gomorra. Nella scena iniziale, attraverso il classico gioco dialettico e retorico della serie, fatto di suggestioni e suspense, don Pietro rimprovera Genny per non averlo ubbidito. Ma, in modo inatteso, sarà Genny a vincere il confronto dialogico, riuscendo, per la prima volta ad ottenere fiducia da un padre che non l’ha mai legittimato. Purtroppo, però, questa fiducia gli sarà subito sottratta, non sopravvivendo neanche a questo episodio.

A Napoli, Ciro, sempre più sovvertitore e cospiratore, non è contento dell’alleanza che è riuscito a legare con Genny, non è soddisfatto di essere il vincitore in una situazione in cui era condannato a morte. No, non gli basta aver confinato il potere dei Savastano in un unico quartiere. Non gli basta essere il regista del teatro della criminalità. Non si gode il successo, perché l’Immortale, di natura, è una serpe e come tale agirà. Non è riconoscente a Genny per avergli risparmiato la vita, non arresta il meccanismo del tradimento, non dimostrando nessuna umiltà, nessun onore, in quanto non rispetta la parola data (diktat del mondo malavitoso) . Ma arriverà un momento in cui il confine sarà talmente superato e oltraggiato che Ciro pagherà per questa ubris, di cui è la massima rappresentazione.

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Da perfetto congiurato, pone zizzania tra i Savastano, mettendo, di nuovo, i giovani contro gli anziani e inaugurando una faida, per lui molto conveniente. Una faida che porterà all’auto-eliminazione interna dello storico clan. Lo scontro tra le due fazioni si fa sempre più acceso e ha il suo culmine quando O’ Trak spara a Malamore. Nonostante l’infedeltà evidente, Genny, curandosi solo dei suoi affari e della prospettiva romana, decide di dimenticare l’accaduto. Genny, non Pietro. Infatti, il vecchio Savastano giudica per l’ennesima volta il figlio come un incompetente, si rende conto che questa alleanza è stato uno sbaglio. A causa dell’indifferenza che Genny ha mostrato per l’oltraggio subito, decide di reinventare il gioco. E così, dopo appena 40 minuti, Pietro toglie la fiducia a Genny, annulla l’alleanza. Il potere di Genny è durato pochissimo, i suoi progetti sono stati annullati in un percorso preparatorio che sancisce i veri avversari di questa faida: Pietro Savastano e Ciro di Marzio.

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A questo punto, è legittimo chiedersi quale fosse il senso del quinto episodio, dell’alleanza, del nuovo assetto creato da Ciro e Genny, se tutto questo doveva andare in frantumi nell’immediato futuro? Cinque episodi preparatori per il loro incontro e il sesto sancisce la distruzione di tutto ciò  che era stato creato. L’obiettivo di Ciro era uccidere Conte e limitare il potere dei Savastano. L’obiettivo è stato raggiunto, ma allo stesso tempo vanificato in un episodio lento e apatico con tempi narrativi morti, con storyline franche e non allineate al plot centrale, con personaggi da manuale e dialoghi stereotipati. La coerenza narrativa è stata distrutta, per un cambiamento del plot building, almeno per adesso, ingiustificato e contraddittorio.

L’episodio merita 2,5 porcamiseria, in quanto le linee narrative hanno intrapreso tendenze centrifughe, attraverso tecniche di dilazione e rinvio, che non creano nello spettatore attesa, ma solo un senso di irritante sospensione.

2.5

 

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