Gotham2×01 Damned if you do…

La prima stagione di Gotham aveva risentito di una produzione insicura e a tratti raffazzonata, il tutto coadiuvato dallo stile procedurale che rallentava e confondeva la linearità della trama. Ma, come direbbe Jim Gordon, “it’s a new day” e dalla première della seconda stagione già possiamo intuire che il cambio di rotta tanto chiacchierato da […]

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La prima stagione di Gotham aveva risentito di una produzione insicura e a tratti raffazzonata, il tutto coadiuvato dallo stile procedurale che rallentava e confondeva la linearità della trama. Ma, come direbbe Jim Gordon, “it’s a new day” e dalla première della seconda stagione già possiamo intuire che il cambio di rotta tanto chiacchierato da cast e autori è avvenuto. Damned If You Do… mette tutte le carte in tavola fin da subito e mantiene fede alla promessa di dare più spazio al dark side non solo dei villains ma anche degli eroi.
Le variazioni apportate allo show sono minime, vi è sempre una storia che si auto-conclude, un cattivo della settimana e intorno le storyline dei protagonisti, questa volta però vediamo come questi riescano ad incastrarsi gli uni con gli altri rendendo l’episodio realmente godibile e una spanna sopra i precedenti 22 episodi.


Harvey Bullock, abbandonata la divisa, ha lasciato solo Gordon che ora è relegato a dirigere il traffico; la frustrazione derivante dal nuovo ruolo è alle stelle e non passa molto prima che Loeb trovi un pretesto per strappargli pistola e distintivo. Jim sembra rassegnato non trovando soluzioni e si avvia a casa Wayne deciso a riferire al piccolo erede che non potrà mantenere la promessa di scoprire chi ha ucciso i suoi genitori.
Proprio Bruce invece riuscirà a convincere Jim a lottare per la sua posizione facendogli capire che non si può essere sempre irreprensibili, spesso azioni cattive sono funzionali ad un bene superiore. L’erede dei Wayne esplica in modo più poetico ciò che Carmine Falcone cercava di far capire a Jim nel finale di stagione, quando insieme al coltello dona “le chiavi della città”.
Il commissario Gordon è conosciuto dal mondo come una figura moralmente solida ma non sarebbe sciocco pensare che sia sempre stato così? In fondo Gotham è uno show sulla nascita e la discesa nel male della città che fra un paio di decenni darà vita a Batman, e purtroppo spesso ce ne dimentichiamo troppo presi dalla foga di vedere ciò che già conosciamo.

Sotto quest’ottica dovremmo vedere i Maniax, il nuovo gruppo di aspiranti super cattivi messi insieme da Theo Galavan, misterioso e ricco filantropo, figlio di un’antica famiglia di Gotham (sento puzza di Corte dei Gufi), il quale usando come diversivo Zaardon, un criminale un po’ spostato a cui ha somministrato una fiala magica, inaugura il ciclo delle fughe da Arkham. Con l’aiuto di sua sorella Tabitha, aka Tigress, riesce a far evadere sei detenuti compresi la neo reclusa Barbara e Jerome.
Ognuno di loro è stato scelto per una particolare caratteristica e saranno destinati a seminare il terrore su Gotham. Spiccano nel team Aaron Helzinger aka Amygdala, Richard Sionis già visto nella prima stagione e supposto padre di Maschera Nera, e Robert Greenwood. Quest’ultimo è un personaggio introdotto dallo show e non esistente nei fumetti, l’unica cosa che sappiamo di lui è che ama cibarsi di altri esseri umani.
Rimane un mistero il futuro di Barbara Kean: inizialmente odiata da quasi tutti, con la sua discesa nella follia gli autori sono riusciti a salvare per il rotto della cuffia il suo personaggio, che fra un “I hope you die screaming, bitch!” e atteggiamenti che ammiccano ad Harley Quinn, senza esserlo, riesce a risultare quasi interessante.
Sono proprio gli ammiccamenti che forse innervosiscono il pubblico che non attende altro di poter dire “Nel libro/fumetto/vecchio papiro non è così!”. Vedendo però il tutto nell’ottica di uno show con più stagioni, ricoprendo dunque un arco temporale di più anni, potrebbe essere una scelta molto accattivante.
Personaggi che si ispirano a quelli dei fumetti, senza esserlo, gettano le basi per un tipo di follia e relazioni interpersonali che porteranno poi alla nascita del mito del villain conosciuto ai più. Jerome è l’esempio perfetto, più volte i produttori e il cast hanno lasciato intendere che il personaggio di Monaghan potrebbe essere solo uno dei tanti Joker. Una possibilità che, almeno sulla carta, intriga parecchio ed è affine alla figura del fumetto dove la più nota nemesi di Batman è un personaggio senza radici che cambia continuamente versione sul suo passato.

Un personaggio fedele alla sua controparte disegnata è invece Pinguino, ormai senza rivali può spadroneggiare su Gotham e seminare il terrore grazie ad un insolito alleato: Zsasz. Quando i due si recano a casa di Loeb per intimargli di dimettersi, e così far riavere a Jim il suo lavoro, è tanto semplicemente spassoso quanto terribilmente grottesco con Pinguino che insiste nel sapere se il padrone di casa ha per caso del burro d’arachidi e Victor che si diverte a far parlare la testa mozzata dell’uomo della sicurezza. Una coppia follemente ben assortita e che riesce, finalmente, a rendere bene la malvagità ironica tipica dello stile cartoon da cui attinge.

Se i villains sono avvolti da una patina di goliardia, per i buoni non tira la stessa aria. Gordon ha dovuto superare il proprio orgoglio andando da Pinguino in cerca dell’ennesimo favore, questa volta però Jim non riesce ad approfittare della disponibilità del nuovo re di Gotham il quale chiede in cambio qualcosa. Il futuro commissario si trova dunque a dover riscuotere un debito e le sue mani inevitabilmente si macchieranno di sangue. Certo, alla fine pistola e distintivo sono tornati a far parte della sua divisa, ma a che prezzo?

Dall’altra parte il piccolo chimico Bruce preso dalla frustrazione costruisce insieme ad Alfred una bomba per far saltare in aria la porta d’ingresso all’ufficio segreto del padre, ad attenderlo lì una commovente lettera del padre.

“You can’t have both happiness and the truth.”

Creando lentamente un parallelismo fra il personaggio di Bruce e Jim tocca questa volta all’erede dei Wayne scoprire che anche i migliori genitori hanno un lato segreto. Scosso dalle parole del padre il ragazzino di fronte a se ha una scelta enorme da affrontare: la felicità o la verità. Chiaramente suo padre aveva scelto la seconda via, una letterale condanna a morte, e spera che il figlio non pecchi della stessa naïveté e scelga la felicità a meno che non senta una chiamata, “A tru calling”.

Una scena da brividi che rende interessante la storyline del marmocchio-pipistrello fino ad ora tenuta in piedi solo dagli intermezzi con Selina Kyle (intravista fra le schiere di Pinguino in questo episodio) e dal personaggio di Alfred che, oltre al danno la beffa, deve sorbirsi pure Bruce che lo supercazzola in francese e, con spocchia mai vista, dice che lui ha letto un libro su Marco Aurelio quando in tutto ciò la password per la porta era Bruce. BRUCE.

In ultimo abbiamo Edward Nygma, che dopo il suo personale “one bad day” della scorsa stagione deve fronteggiare i due estremi della sua personalità in tumulto che lottano fra di loro. L’espediente dello specchio per ora non convince appieno ma rende perfettamente l’idea del subbuglio interiore in atto che nessuno sembra notare, se non vagamente Jim.

Seppur ancora lontano dalla perfezione mi sento di dare un voto in più rispetto alla media della scorsa stagione, se non altro per premiare la volontà di rimediare agli errori commessi. Certo lo show ha ancora delle difficoltà evidenti, notabili sopratutto nella sceneggiatura con battute leggermente forzate e una visione di insieme ancora un po’ sconnessa e poco omogenea, e al tutto si aggiungono scelte di montaggio molto discutibili (la scena finale che salta fra una storyline e l’altra ne è l’esempio). E basta GoPro, abbiamo capito che volevate fare il parallelo, usando la stessa tecnica, fra il Jim che rincorre i criminali della prima stagione e l’attuale Jim rincorso dal criminale, a noi però viene il mal di mare ed una insana voglia di estrarsi i bulbi oculari con un cucchiaino.

4

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