Gotham2×14 This Ball Of Mud And Meanness

Gotham City continua con le sue tinte dark, trascinandoci direttamente nella psiche di Bruce Wayne, in una puntata introspettiva. Lungo il suo sentiero di vendetta, alla ricerca dell'assassino dei suoi genitori, ci viene mostrato come il futuro Cavaliere Oscuro diventerà tale; sono le scelte a dimostrare chi siamo, del resto. E Bruce ne è un ottimo esempio.

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Le puntate “psicologiche” sono sempre le più complesse da scrivere; basta una parola fuori posto, un’inquadratura troppo lunga sul primo piano di qualcuno per trasformare l’analisi della personalità di uno dei personaggi in qualcosa di piuttosto noioso. Il rischio c’è sempre, del resto, poiché l’azione è molto più semplice da rappresentare dell’anima.
Gotham, questa settimana, ci regala un tuffo nei pensieri di un piccolo Bruce Wayne, il quale sembra voler seguire le orme di Jim Gordon: una discesa, inesorabile, verso l’oscurità. Le tinte dark di cui la serie non ha mai fatto mistero, tuttavia, si applicano diversamente al detective e al futuro Cavaliere Oscuro. Se Gordon ha dimostrato di servirsi dell’oscurità per vendicarsi, dando libero sfogo alla rabbia, Bruce è in grado di sfruttarla per tutt’altro.

2x14 Gotham Recensione

Giù nell’abisso

Il filone principale attorno a cui si articola tutto l’episodio è proprio la storia di Bruce, impegnato nella spasmodica ricerca dell’assassino dei suoi genitori. Dopo le informazioni ricevute da Alfred e la pistola che gli ha “donato” Selina, il giovane Wayne si accompagna al maggiordomo – nel più classico dei cliché – per rovistare nei bassifondi di Gotham e trovare qualsiasi informazione disponibile su Patrick “Matches” Malone.

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Dopo un incontro/scontro con Cupcake – che della dolce tortina non ha assolutamente nulla – che ha lasciato Alfred messo male ma vincitore delle preziose informazioni, Bruce inizia un viaggio in solitaria verso le viscere della sua voglia di vendetta. È un istinto davvero potente quello che lo spinge in un locale malfamato, rimbalzando da diceria a diceria, alla ricerca dell’indirizzo esatto che lo porti da Malone.
Ovviamente, come Dante all’Inferno – ma senza guida, se non quella di una pistola carica nascosta nella tasca del cappotto – Bruce si trova davanti a numerosi dannati, che in un modo o nell’altro gli insegnano preziose lezioni di vita; Jeri – l’equivalente sullo schermo di una Harley Quinn molto abbozzata – gli insegna che l’incentivo più forte non sono i soldi, ma la pistola. La violenza, quindi, impregna ogni fibra della società di Gotham, dal fondo ai piani alti; speculare rappresentazione della città stessa, costruita per l’appunto su più livelli.

Jeri gestisce un club undeground dove chi assiste a concerti chiassosi si veste in modo bizzarro e elogia la filosofia del defunto Jerome – mi domando, dati tutti questi occhiolini sparsi per le puntate, quando e se mai lo rivedremo in azione. È Jeri, comunque, che indirizza Bruce Wayne sulla via della vendetta, svelandogli l’indirizzo di Matches (che per la cronaca vuol dire “cerino”, quando si dice “un nome, un programma”).

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Malone si rivela essere un semplice uomo; il mostro delle fantasie di un bambino, l’assassino che ha ucciso i genitori di Bruce e ha sparpagliato le perle della collana della signora Wayne non è nient’altro che un sicario stanco della vita, di convivere ogni giorno con i fantasmi di tutti quelli che ha ucciso perché qualcuno l’aveva pagato.
In una dinamica che ricorda molto “Léon” (famoso film d’esordio di Natalie Portman, in cui il sicario Jean Reno finisce per addestrare la giovane figlioletta delle sue ultime vittime), Matches dà una perfetta definizione di chi è davvero Bruce Wayne, e di chi sarà in futuro: come sapientemente ricordato in qualche puntata fa, prima della pausa invernale, Bruce è un figlio di Gotham. Lo è perché la sua esperienza l’ha trasformato in quello che è, esattamente come la vita ha reso Malone un sicario.

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Gotham – e il fumetto di Batman è molto chiaro su questo – è una città talmente corrotta che ogni cosa che ci cresce dentro non può non venirne intaccata in qualche modo; nessuno è davvero senza macchia, nessuno è buono fino in fondo. I villains che brulicano nei bassifondi non sono altro che il prodotto della sua follia, perché è proprio il sonno della ragione che genera mostri. E mi si perdoni la colta citazione. Bruce Wayne, dunque, non può essere davvero un eroe nel senso canonico del termine; Batman è un Cavaliere, certo, ma è Oscuro e la genesi dell’uomo pipistrello non poteva che partire dal giovane Wayne che per la prima volta si trova ad affrontare la spinosa scelta: uccidere e soddisfare la sua sete di vendetta o non rispondere al male con altro male.

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Come chiunque conosca Batman sa, Bruce sceglie di non uccidere Malone – che comunque si toglie la vita poco dopo senza rivelare chi l’ha assoldato. Sceglie di opporsi alla stessa Gotham, rifiutando di lasciarsi fagocitare dalla violenza che inquina gli animi e, invece, scendere direttamente nelle strade per sperimentare in prima persona cosa vuol dire vivere nei bassifondi. Con l’aiuto di Selina, è iniziata una nuova fase della vita di Bruce Wayne, che lo porterà davvero a essere – come sappiamo – non ciò che Gotham vuole ma ciò di cui ha un disperato bisogno.

Di Pinguini ed Enigmisti

Il resto della puntata non fa troppi passi avanti nelle altre storyline: il Pinguino viene dichiarato sano di mente dal dottor Hugo Strange – dopo l’ennesima tranche di test assolutamente bizzarri – e liberato nuovamente per le strade di Gotham, senza avvisare la Polizia. Che Oswald sia davvero rinsavito oppure stia recitando una parte non è ancora chiaro. Saranno i prossimi episodi a chiarirci se il Pinguino è tornato o se al suo posto c’è solo l’innocente Oswald Cobblepot.

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Ed Nygma, invece, ha sempre meno venerdì e sempre più teorie complottistiche: Jim che indaga sulla sparizione di Miss Kringle, senza nemmeno sospettare che Ed sia il vero artefice della sua sparizione, suscita in Nygma la paranoia che invece il detective voglia spingerlo in chissà quale giochetto psicologico e costringerlo a crollare. L’Enigmista, del resto, è sempre stato preda della sua stessa paranoia per gli indovinelli, anche se in questo caso l’enigma che sta cercando di risolvere – la chicca del punto di domanda verde sulla foto di Gordon è l’ennesima strizzata d’occhio – è solo con se stesso.

Tre porcamiseria e mezzo, per una puntata che intriga ma che comunque non fa sostanziali passi avanti.
Non nella storia, per lo meno. Un tuffo nella psiche del futuro Batman, tuttavia, non fa mai male.

3.5

 

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