Gotham2×16 Prisoners

Gotham si prepara per la pausa con un episodio claustrofobico: Jim Gordon, in carcere, non sembra passarsela molto bene. Riuscirà a uscirne fuori illeso grazie all'aiuto di improbabili alleati. E mentre l'ex commissario ha i suoi problemi, per il Pinguino non sembra andare molto meglio. L'idillio paterno, con Claire nei paraggi, durerà a lungo? Non vi resta che scoprirlo nella recensione di SerialFreaks.

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La scorsa puntata di Gotham ci ha posto di fronte all’ennesimo capovolgimento di trama: dopo aver assistito alla discesa di Jim Gordon nell’oscurità della sua anima, questa volta lo vediamo nelle vesti ancora più bizzarre di carcerato. Il piano di Ed per incastrarlo è andato fin troppo bene, visto e considerato che Jim viene arrestato e decide di scontare la sua pena, rinunciando al vivere come un uomo in fuga per dare a Lee e al futuro bambino una vita per lo meno serena.
Ma ovviamente, le cose non possono essere così semplici.

2x16 Prisoners Gotham Recensione

Dietro le sbarre

I prigionieri del titolo si prestano a svariate interpretazioni, e non ci vuole certo una laurea in psicologia per capire che la condizione di Gordon è letterale e quella del Pinguino metaforica. Entrambi i personaggi paiono essere i veri protagonisti di questa seconda stagione, che mette parzialmente in secondo piano l’adolescenza di Bruce Wayne per concentrarsi su altro che la città di Gotham ha da offrire. La serie si conferma, quindi, come un alternative universe rispetto alle vere origini del Cavaliere Oscuro, e se nella prima stagione la linea di demarcazione non era così netta, l’aver spedito Jim Gordon dietro le sbarre è stata una vera e propria dichiarazione di intenti. Questo non è il vero passato di Bruce Wayne, né tanto meno quello del futuro commissario.

Ciò detto, questo non vieta ai non-puristi di apprezzare un prodotto ben fatto, che sa confezionare uno show sfuggito alla dinamica del procedurale – fortunatamente, visto che Bruno Heller ha portato a morire The Mentalist per aver allungato troppo il brodo – e calato sempre di più nel suo ruolo: cosa sarebbe successo se Gotham City avesse “corrotto” l’animo di Jim? È questa la vera domanda da porsi.

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La scena con cui si apre l’episodio è alienante al punto giusto, con lo scorrere sempre uguale – giorno dopo giorno, settimana dopo settimana – dei giorni di Gordon in carcere, che per il primo periodo ha la fortuna di restare in custodia cautelare; quando il direttore di Blackgate, l’ennesimo amico di Loeb, decide di spostarlo nell’ala denominata “World’s End” in compagnia di tutti i detenuti che lui stesso ha contribuito a sbatter dentro, diventa chiaro che lo scopo è farlo fuori. Alzi la mano chi non ha pensato subito che il nuovo amichetto di Jim, Puck, sarebbe morto malissimo non appena ha pronunciato la frase “Io non morirò qua dentro”.

Puck serve da deterrente per spingere Jim a ritrovare la voglia di vivere, evadere, essere l’eroe di cui tutti hanno sentito parlare – nel bene e nel male. Dopo la triste notizia riportata da Harvey sulla perdita del bambino di Lee e sul di lei trasferimento altrove, l’unico che riesce a tenere Gordon sulla retta via è una guardia carceraria, probabilmente una delle poche a non essere sul libro paga di Loeb; è grazie all’azione congiunta di lui, Harvey e un insospettabile alleato che l’ex detective riesce a evadere e provare a riconquistarsi un nome onesto in quel di Gotham.

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L’alleato improbabile in questione, e ulteriore prova che questo Jim Gordon ha poco a che spartire con il suo corrispettivo cartaceo, è nientepopòdimenoche Carmine Falcone. Sì, il boss mafioso che ha sempre avuto un rapporto di reciproco rispetto con Gordon – e che lo stesso detective ha fatto scappare tempo fa – torna in scena per orchestrare l’evasione del poliziotto. Lo scenario per l’ultima parte della stagione, quindi, ha assunto una forma ben precisa.

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Dall’altra parte, dietro delle sbarre metaforiche costruite da Hugo Strange, c’è Oswald Cobblepot, ancora ingabbiato nella sua versione redenta ma preda di incubi sul passato.
La storyline del Pinguino, a essere sincera, non l’ho ancora inquadrata del tutto. Melinda Clarke che fa l’avida donnaccia moglie trofeo alla ricerca di un’eredità per lei e per i suoi figli tonti è sempre meravigliosa; il fatto che le assegnino sempre parti simili significa o che è brava a fare una cosa sola o che c’è una clausola specifica sul suo contratto – altrimenti non si spiega il perché. Un po’ come la clausola che sono convinta esserci nel contratto di Sean Bean sulla morte sempre e comunque.

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Tolta la rimarchevole presenza di Claire – e anche qua, chi non ha pensato a O. C. in tempo zero? – a Oswald viene strappato il padre ritrovato in un episodio, proprio mentre il povero Pinguino sembrava aver davvero trovato la pace. Ma veder morire avvelenato il genitore così amorevole, l’ennesimo lutto dopo la madre, scommetto che non avrà implicazioni molto positive sulla sua ritrovata sanità mentale e bontà. E diciamolo, non vedevamo l’ora.

Un filler che svolge bene il suo compito, con un’ottima regia ma senza entusiasmare granché rispetto alla scorsa puntata. La chicca della movie night a Blackgate, con la messa in onda su proiettore di 7 Spose per 7 Fratelli è un raro gioiellino: guardare energumeni che guardano dolci fanciulline e ballerini canterini è un divertente mindfuck. Altro che sfondamento della quarta parete.
E con questo episodio, Gotham ci saluta fino all’undici aprile. Vi mancherà?

3.5

 

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