HannaSeason 1 Recap: la banalità del male

Season Recap Hanna è come Tarzan, ma contemporaneo e al femminile, in una giungla piena di nemici armati e con segreti oscuri celati nel profondo delle loro anime.

6.3

Per prodotti televisivi come Hanna, nuova seria originale di Prime Video, vi è alle spalle una cospicua eredità, che non può non avere il suo peso, soprattutto quando in ballo ci sono attrici dello spessore di Saoirse Ronan, che non era ancora la giovane donna di Maria, Regina di Scozia, ma aveva già il suo perché sullo schermo. Tocca adesso a una giovane e abbastanza ignota Esme Creed-Miles vestire le spoglie di Hanna, ragazza da un passato chiaramente anormale e protagonista di una storia che si fonda su basi difficili, che le fanno acquistare un’aura speciale e unica, specialmente considerando i precedenti adattamenti (romanzo e film).

In una sequela di scene d’azione e sparatorie che si protraggono per otto episodi, incontriamo Hanna, una giovane adolescente cresciuta in modo parecchio primitivo e anacronistico in una grotta nelle foreste polacche con suo padre, Erik Heller, che la addestra a combattere e uccidere senza alcuna pietà, oltre che ad apprendere solo dai suoi racconti e insegnamenti quanto esiste nel mondo, al di fuori delle cavità della terra in cui sono perennemente nascosti. Una conoscenza nozionistica della realtà e un impressionante destreggiarsi tra pistole e armi faranno di Hanna una macchina programmata per uccidere, come lei stessa si definisce; ma a che scopo? Prima ancora che venisse al mondo, era stato ideato un disegno per il suo futuro dallo stesso padre, che porta con sé una bugia segreta (ma non per molto tempo ancora), e da Marissa Wiegler, una fredda donna tedesca coinvolta nella Utrax, che ambisce alla ragazza per i suoi poteri soprannaturali, o quantomeno fuori dal comune.

“Anormale”: questa è infatti la diagnosi che risulta dai test eseguiti su Hanna dopo averla catturata, a quindici anni di distanza da un incidente d’auto che l’aveva strappata per sempre al grembo materno di Johanna Petrescu; una tragedia che ha segnato la corsa di Erik con la bambina per sfuggire a Marissa. In seguito al vano tentativo di cattura, segue una carrellata di sequenze che ci portano dalle nevi polacche al deserto del Nord Africa, per tornare a nord in territorio francese e fare tappa a Berlino. Qui si snoda infatti la maggior parte di una vicenda che si configura a metà tra la spy story e il thriller, un genere purtroppo poco rivitalizzato dalla trama che non sa sorprenderci più di tanto, dove anche i plot twist più importanti sembrano venire sminuiti e affrontati con leggerezza. Hanna è il vero elemento di rottura, o almeno dovrebbe esserlo: il personaggio protagonista che battezza la serie stessa diventa in realtà un’ombra, messa quasi in secondo piano dal terzo episodio, tornando a galla solo in alcuni momenti di bassa marea, quando l’ego poco costruito e abbastanza stereotipico degli altri personaggi riesce a retrocedere.

Il cuore è un piccolo muscolo egoista.

Sembra così perdere di senso il fatto che la ragazza abbia un potenziale di serial killer davvero notevole, una sorta di giovane Tarzan in gonnella che si destreggia nella giungla urbana, tra catapecchie da usare come rifugi temporanei e case da abitare solo per scappare dal nemico. Non assume uno spessore e una rilevanza maggiore la storia di amicizia e intesa cominciata in Marocco con Sophie, l’unica vera presenza adolescenziale “nella norma” che porta una ventata di freschezza e spensieratezza ad Hanna tra un filtro di Snapchat e una serata in discoteca. D’altro canto, per la ragazza si spengono troppo velocemente le luci chiare della città, tornando nel buio dei rifugi sporchi e nel fumo delle esplosioni che segnano un morto dopo l’altro questa serie che pecca di superficialità e di cliffhanger mal riusciti. Notiamo infatti tra un episodio e l’altro che si crea sì della suspense, ma si tratta solo di una piccola curva ascendente di attenzione in seguito a una sequela di momenti che si seguono a fatica, essendo troppo simili tra loro.

Un’ulteriore arma a doppio taglio è la frequente alternanza di doppiaggio e recitazione in lingua tedesca originale, che richiede una maggiore concentrazione nell’ascolto, ma che potrebbe dimostrarsi una fonte di interesse per chi apprezza le variazioni sul tema idiomatico. Questa doppia identità linguistica non turba affatto Hanna, la quale ovviamente conosce entrambe le lingue e non mostra alcun turbamento nemmeno in presenza di estranei che discutono in tedesco. A dire la verità, probabilmente tra le nozioni inculcate nella testa della ragazza, mancano proprio quelle relative ai sentimenti, concepiti come debolezze. Assistiamo a una ragazza monoespressiva, capace solo di esprimere rabbia e rancore nei confronti di un uomo che le ha mentito e che non le ha permesso di condurre una vita regolare, portandola così a crescere spiritualmente a poco a poco sia nella vita, che nella serie.

Hanna dimostra quello che avrebbe potuto essere, ma che rimane solo in potenza: una storia che non sa andare oltre la trama principale, poco approfondita e priva di vera e sana suspense, così come accenna solo brevemente a flashback aridamente utili a chiarire quanto basta il profilo della storia in senso ampio, non di un personaggio in particolare. Le possibilità di analisi erano numerose, spesso andate in fumo e troncate all’improvviso come una delle vittime della ragazzina. Non facilita il compito la presenza di un intero cast di volti ben poco noti ai più, che portano sui nostri schermi una recitazione non particolarmente coinvolgente, al pari di una sceneggiatura scritta seguendo i crismi del suo genere, ma senza stravolgerli in alcun modo. Ricorderemo Hanna per i suoi omicidi e per essere una dei tanti bambini speciali che, ancora una volta, come la letteratura insegna, non hanno mai vita facile, nemmeno quando hanno dalla loro una mira pressoché infallibile. Auf wiedersehen.

  • 6/10
    Storia - 6/10
  • 6/10
    Tecnica - 6/10
  • 7/10
    Emozione - 7/10
6.3/10

Summary

Hanna è un tentativo di reboot della storia proposta nell’omonimo film, con il rischio di snaturare in parte la vicenda e scadendo nello splatter e nell’incapacità di approfondire eventi e personaggi.

Porcamiseria

6.3

Hanna è un tentativo di reboot della storia proposta nell'omonimo film, con il rischio di snaturare in parte la vicenda e scadendo nello splatter e nell'incapacità di approfondire eventi e personaggi.

Storia 6 Tecnica 6 Emozione 7
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