Heroes Reborn1×11 Send In The Clones

Dopo la tradizionale pausa natalizia, Heroes Reborn torna con un episodio che riprende direttamente da dove si era interrotto mesi fa, come se fossero passati solo pochi minuti dagli ultimi avvenimenti; a due puntate dalla fine, è chiaro che l’intento degli sceneggiatori è tirare le fila in previsione del gran finale di questa mini-serie, che […]

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Dopo la tradizionale pausa natalizia, Heroes Reborn torna con un episodio che riprende direttamente da dove si era interrotto mesi fa, come se fossero passati solo pochi minuti dagli ultimi avvenimenti; a due puntate dalla fine, è chiaro che l’intento degli sceneggiatori è tirare le fila in previsione del gran finale di questa mini-serie, che più che una diretta prosecuzione della serie originale – Heroes – sembra più un prequel ad altre, grandi gesta.
La sensazione che sia tutto affrettato è forte, e il rischio di confondersi con i piani temporali tra presente e futuro è grande, ma Heroes Reborn riesce nell’intento per il rotto della cuffia, proponendoci quaranta minuti di pura azione.

Le storyline dei vari personaggi si sono intrecciate sempre più a doppio filo, nel corso degli episodi; il racconto ha ormai raggiunto una dimensione corale, dandoci la classica sensazione de “il mondo è troppo piccolo”, ma il tutto è smorzato dal fatto che i protagonisti non formano mai una coppia o un gruppo fisso: la varietà di combinazioni aiuta la dinamicità della storia.

1x11 Send In The Clones Recensione Heroes Reborn

Concretamente, nell’undicesimo episodio possiamo identificare tre gruppi, tutti diretti verso il nucleo centrale, rappresentato da Erica e Tommy. La Kravid sembra aver fatto della manipolazione mentale la sua vocazione primaria e il nostro teleporta preferito non è esattamente una cima nel capire le persone; il tour nel futuro nella città di Gateway, quello stesso futuro dove Katana Girl si è magicamente ritrovata, sembra convincere Tommy che l’idea della Renautas di ricostruire la razza umana da zero – senza impedire l’apocalisse – non è poi così malvagia; soprattutto se Erica promette al ragazzo di portare con lui nel nuovo e perfetto futuro sia la fidanzatina sia la mamma adottiva. Ogni eroe si trova davanti alla tentazione, prima o poi, e Tommy ha dimenticato – grazie a Caspar – tutto ciò che Hiro gli ha insegnato.

L’equazione variabile in tutti questi gruppi, che saltella dal futuro al passato, da un posto all’altro, è proprio Miko: è stata costruita – letteralmente – per svolgere una missione precisa; è l’unica che non si lascia corrompere, convincere o distrarre. È l’unica che prosegue dritta per la sua strada, confondendoci un po’ le idee nei continui balzi temporali e spaziali che fa grazie a Nathan/Tommy (dopo averlo “salvato” da Erica), sistemando la situazione ovunque vada.

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Miko è anche il collegamento tra il nucleo centrale e il secondo gruppo, che poi si spezzerà in due: Taylor, accompagnata dagli Hero Truther nell’irruzione a Sunstone per ritrovare Micah Sanders (sì, è proprio Noah Grey Cabey, ed è cresciuto parecchio), incontra Farah e Carlos, riusciti a fuggire dall’interrogatorio particolarmente aggressivo di Matt Parkman. L’ex bonaccione di Heroes, che per questa serie gioca dalla parte dei villains, ci mostra cosa la “disperazione” possa fare a un uomo che è stato lasciato dalla sua famiglia e che è costretto, notte e giorno, a sentire tutti i pensieri di illustri sconosciuti; l’opportunismo di fare soldi, unito alla possibilità di creare un posto artificialmente felice dove nessun pensiero lo possa turbare – di sicuro, non quello dei lobotomizzati ospiti di Sunstone –, hanno trasformato Parkman in un cattivo piuttosto mediocre. Servono anche personaggi così, in una storia.
È a causa sua, del resto, se Taylor viene separata da Carlos e Farah: dopo aver scoperto che la figlia di Erica è in attesa di un nipotino mezzo Evo, la rapisce e fugge verso Odessa, per usarla come lasciapassare per Gateway.

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I due ex militari non se ne restano certo con le mani in mano, e oltre a lasciarsi andare a sbaciucchiamenti nei corridoi – che come al solito, quando il tempo stringe sembrano diventare la priorità – riescono a salvare il nipote di Carlos, il prete (che si sacrifica per aiutarli) e Micah. L’Evo tecnologico, che veniva usato come mero software umano, si risveglia dal torpore e regala al mondo intero la verità su quanto accadde davvero il 13 giugno a Odessa: dopo essersi connesso a tutti i canali media del pianeta, rivela un filmato che ritrae Erica e il dottor Suresh, un mutaforma indottrinato a mostrare lui e gli Evo come unici artefici del massacro. E anche loro si dirigono infine a Odessa, grazie proprio alla succitata Miko: da perfetta samurai, si sacrifica e con un eroico seppuku dopo un lungo combattimento riesce finalmente a uccidere Harris e, di conseguenza, tutti i suoi cloni; lei svanisce così, in mille pixel disgregati. La sua storia, del resto, era immortalata nel fumetto di Tommy: non si sfugge al destino.

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Il terzo e ultimo gruppo è quello composto da Malina, Noah e un Luke versione stalker, che li segue ovunque finché non accetteranno il suo aiuto; è durante una delle varie catastrofi naturali che precedono l’apocalisse che Malina, intervenuta per salvare tutti, perde di vista il nonno – che sparisce teletrasportato da una misteriosa mano – e si ricongiunge al piromante. I due guadagnano altri due bizzarri compagni di viaggio, recuperati sulla strada dopo aver sventato una loro imboscata: Quentin e sua sorella Phoebe, messa prontamente “fuori uso”. Quentin sarà anche la farfalla calpestata da Bennett nel suo viaggio passato, e avrà cambiato fazione ma gli scrupoli di coscienza se li fa venire eccome, ed è grazie a lui se Malina e Luke scoprono dove si trova Tommy. Odessa, per l’appunto, ed è lì che si dirigono anche loro.
Nel frattempo, una Erica diffamata a livello mondiale si rivolge al suo ultimo asso nella manica: la vendicativa ex moglie di Luke, Joanne, può rivelarsi il sicario perfetto per togliere di mezzo Malina una volta per tutte.

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Così si conclude la puntata, con un viaggio alle origini – letteralmente, dove tutto ebbe inizio.
Noah Bennett ancora non si sa dove sia finito, e neanche la serie si capisce appieno dove voglia andare a parare; spero che il trionfo del bene ci venga raccontato senza stratagemmi dell’ultimo minuto. Ad abbassare la media si aggiunge anche una performance di Rya Kihlstedt assolutamente dimenticabile, soprattutto nel dialogo con Otomo, con tempi e pause assolutamente sbagliate in un dialogo disastrosamente farraginoso. Gli effetti speciali caserecci ormai sono consuetudine, non ci stupiscono più.
Tre porca miseria, per un episodio che avrebbe potuto dare di più.

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