HomecomingHomecoming Season 1: dove c’è guerriglia, c’è casa

Season Recap In una clinica di riabilitazione per militari di ritorno dalla guerra, è appena cominciata l'intricata lotta per la sopravvivenza dietro le porte di Homecoming, in un drama finemente orchestrato tra battute ciniche e disilluse e una strabiliante regia che riporta in auge il passato cinematografico.

8.1

Casa è dove abbiamo il cuore, o almeno così dicono. È quel luogo dove possiamo spogliarci di ogni maschera e abbassare le armi per difenderci da un mondo spesso difficile. Vero è che alla luce del focolare domestico sempre corrisponde un’ombra, più o meno grande, più o meno oscura, un po’ come quelle che si estendono all’interno di Homecoming, una struttura a supporto della reintegrazione in società dei militari di ritorno dalla guerra. Un tramite posto fra gli orrori del sangue amico e nemico, misto a polvere e bombe, e la routinaria quotidianità che attende i combattenti per la madre patria.

Localizzato in Florida, almeno in apparenza, in un luogo luminoso, verdeggiante, moderno e ben arredato, cosa si potrà mai nascondere dietro le porte degli uffici in questa struttura tanto stilosa, quanto sterile? Tutto è possibile quando le trame e sottotrame ordite e sfilate in questa nuova serie tv escono dal vaso di Pandora creato da Sam Esmail. Già regista della fortunata serie Mr. Robot, tanto per citare un suo recente successo, coloro che sono stati spettatori delle vicende di hackeraggio in questa serie hanno ben presente il calibro della sceneggiatura, non smentita nemmeno stavolta. Il binge-watching è fisiologico, difficile trattenersi dal premere “play” e sbranare ciascuno dei dieci episodi su Amazon Prime Video, creati come piccoli diamanti del diametro medio di 25 minuti ciascuno.

 

Homecoming Season 1 Recap

In un’alternanza fra recente passato e presente, seguiamo le vicende di una “pretty woman” segnata dal tempo e un po’ meno sorridente, qui nei panni della psicologa, e in seguito cameriera, Heidi Bergman. Affamata di lavoro, umanamente appassionata e legata ai suoi pazienti, segue in modo specifico la riabilitazione di Walter Cruz, giovane ragazzo che non presenta particolari problemi di acclimatazione e recupero psichico. Una vera e propria ”acqua cheta”, forse un po’ troppo, che accetta di buon grado le cure e non mette in dubbio la veridicità di quanto viene raccontato ai pazienti, a differenza del compagno Shrier, totalmente diverso e incapace di adattarsi all’inquadramento ai limiti della lobotomia. Non a caso, i panni di quest’ultimo sono vestiti da Jeremy Allen White, uno dei Gallagher della celebre, cruda e voyeuristica serie tv Shameless. Avrà ragione a essere così diffidente? Complotti, secondi fini ed esperimenti chimici non potevano certo mancare e saranno la prova che, in fondo, Shrier potrebbe non avere tutti i torti.

Il contrasto tra i due, il cameratismo fittizio, la mansuetudine di Cruz resa un po’ stucchevole quel che basta per metterci la pulce nell’orecchio: è lui dopotutto il vero protagonista della storia, una copia nei modi e nelle fattezze di Rami Malek, il suo alter ego di colore che spicca intorno a un cast di nomi celebri, qui risaltanti più per la carriera alle spalle che per l’effettiva importanza sul set. Una Julia Roberts un po’ sottotono e spesso con le spalle al muro, uno sciapo e trasandato Dermot Mulroney, sembrano aver perso quella giovane freschezza che li contraddistingueva dai tempi de Il matrimonio del mio migliore amico, per lasciare il passo a una versione più cupa, stanca della vita e delle relazioni.

It’s that moment, that boredom, that’s when you really get to know a person, you know? You’re forced to be yourself, or as close to your real self as you can be.

Si raggiungono picchi di regia strepitosi e di scrittura del copione che ci fanno (s)cadere nel buio tunnel dell’effimerità umana, ricordandoci quanto sia monotona e stanca la vita di ogni giorno, quanto siano sempre gli istinti di predominio ad avere la meglio e, ancora una volta, quanto sia futile dopotutto lasciare che le nostre ossessioni ci portino via gli affetti che avremmo potuto tenerci stretti, forse in un’altra vita. Tra dialoghi arrabbiati, disincantati e ben costruiti, se la parola ci guida verso la logica della trama, l’occhio e l’orecchio sono naturalmente ammaliati dal montaggio ben orchestrato tra musica e geometrie visive, schermi tagliati ad hoc e scenari giustapposti che rendono ancora più fluida, interessante e originale l’intera storia.

Homecoming Season 1 Recap

Il tocco finale lo danno i diversi tagli di schermo tra passato e presente, le inquadrature e le musiche retrò che fanno riaffiorare alla memoria i ricordi di storia della cinematografia, tra un Metropolis e un qualsiasi film di Hitchcock, a testimonianza dell’incredibile gusto e ricerca nella costruzione scenica. La visione che accompagna la narrazione, due binari che si fondono in uno, raddoppiando la potenza strutturale e riportando sulla scena seriale una regia più unica che rara. È proprio questa rilettura artistica e cinematografica che rendono leggera e assolutamente appetibile una ricetta altrimenti tradizionale e a tratti poco digeribile. Di per sé, la narrazione non è nulla che non sia stato mai visto; il trucco sta proprio nella sceneggiatura, rielaborata con maestria grazie alle abilità di prestigiatore che Esmail dimostra ancora una volta di possedere.

Porcamiseria
  • 7.2/10
    Storia - 7.2/10
  • 9/10
    Tecnica - 9/10
  • 8/10
    Emozione - 8/10
8.1/10

Summary

Se la trama non è nulla di particolarmente originale, sono la regia e la scrittura del copione a fare la differenza, grazie a tecniche portatrici di freschezza e linguaggi riscoperti nella raffinata sceneggiatura di Sam Esmail.

Porcamiseria

8.1

Se la trama non è nulla di particolarmente originale, sono la regia e la scrittura del copione a fare la differenza, grazie a tecniche portatrici di freschezza e linguaggi riscoperti nella raffinata sceneggiatura di Sam Esmail.

Storia 7.2 Tecnica 9 Emozione 8
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