HumansSeason 1 Recap

Su SerialFreaks oggi parliamo nuovamente di una delle novità da annoverare tra le più riuscite di questa estate televisiva: Humans, remake in salsa britannica di una serie svedese del 2012, chiamata Äkta människor (Real Humans). Partita un po’ in sordina – vi abbiamo recensito nel dettaglio il pilot e il secondo episodio – come un’ordinaria storia sci-fi in cui […]

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Su SerialFreaks oggi parliamo nuovamente di una delle novità da annoverare tra le più riuscite di questa estate televisiva: Humans, remake in salsa britannica di una serie svedese del 2012, chiamata Äkta människor (Real Humans). Partita un po’ in sordina – vi abbiamo recensito nel dettaglio il pilot e il secondo episodio – come un’ordinaria storia sci-fi in cui degli androidi dalle fattezze umane estremamente realistiche (i “Synth“) vengono utilizzati come badanti o collaboratori domestici, la serie è riuscita pian piano a ritagliarsi uno spazio tutto suo all’interno del panorama televisivo di questa annata, grazie ad una trama lineare ma ben congegnata e ad alcune interpretazioni del cast decisamente degne di nota.

Humans si ripropone (al pari della più celebre Black Mirror, piccolo gioiellino sempre di produzione britannica) di analizzare gli effetti del superamento di certe barriere “etiche” della tecnologia, in questo caso la creazione di un numero ristretto di androidi dotati di una vera e propria coscienza e della capacità di provare sentimenti del tutto genuini.
La vicenda segue infatti la famiglia Hawkins, tipica famiglia inglese mediamente benestante che un giorno decide – piuttosto impulsivamente – di acquistare un synth per ricevere aiuto nelle faccende domestiche, in modo da poter passare un po’ più di tempo insieme.

Could you use some extra help around the house?

Questa decisione, però, contribuisce ad accentuare i problemi della famiglia Hawkins, in considerazione del fatto che Anita (questo il nome che hanno dato al loro Synth) sembra assumere sporadicamente dei comportamenti “strani”, più tipici di un essere senziente che di una semplice macchina per gli aiuti domestici.

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Il comportamento di Anita (interpretato dalla bellissima Gemma Chan) contribuisce a sollevare i già accennati interrogativi di natura morale: quali conseguenze può avere, sull’umanità, la creazione di una serie di macchine in tutto e per tutto simili ad esseri umani? È eticamente giusto dotare questi Synth di una coscienza vera e propria, rendendo la differenza tra umani e androidi sempre più sfumata e sottile?
La famiglia Hawkins, con le sue divisioni e i suoi problemi, rappresenta un perfetto spaccato della società descritta nella serie: i Synth sono sulla bocca di tutti, rappresentando per alcuni un aiuto inestimabile – grazie alla capacità di sostituire gli umani in qualsiasi lavoro anche specializzato – e per altri una seria minaccia alla società.

Con il susseguirsi degli episodi, le relazioni interpersonali tra i protagonisti (umani e Synth) evolvono costantemente, concorrendo a creare un intreccio estremamente riuscito: se inizialmente la diffidenza nei confronti dei Synth da parte della famiglia Hawkins è ben tangibile – soprattutto da parte di Laura  nel corso degli episodi l’empatia nei confronti di queste macchine artificiali ma allo stesso tempo così umane si espande a macchia d’olio, fino ad evolversi, nelle battute finali di questa prima stagione, in un vero e proprio istinto di protezione verso tutta la “famiglia” di Synth, desiderosa di riunirsi e ritrovare la stabilità affettiva di un tempo.

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L’unico grande colpo di scena della stagione è in realtà la scoperta del legame che unisce tutti i Synth coscienti che abbiamo avuto modo di conoscere, estremamente eterogenei sia caratterialmente che fisicamente: gli stessi sono, nei fatti, una vera e propria famiglia creata artificialmente con un unico punto fermo rappresentato dall’affetto provato nei confronti di Leo, unico ibrido umano-Synth esistente al mondo, nonchè figlio dell’ideatore di questi ultimi.

Leo (Colin Morgan) holding Anita (Gemma Chan) and Mattie (Lucy Carless) in the background.

Alla luce di questo, si può dire che la serie affronta parallelamente due temi principali: l’etica nel rapporto tra uomo e tecnologia e il valore della famiglia. E lo fa in modo dannatamente riuscito.
Impietoso è, in questo senso, il confronto tra le due famiglie rappresentate nella prima stagione; gli Hawkins vivono sotto lo stesso tetto, ma nei fatti si comportano come degli estranei, quando non si fanno addirittura del male (salta alla mente la scena di sesso tra Joe e Anita, davvero raccapricciante considerando che all’interno di Anita si trovava la coscienza sopita di Mia); i Synth, viceversa, non hanno alcun modo di mettersi in contatto l’uno con l’altro, ma nonostante la sofferenza che tale situazione comporta si dimostrano più uniti che mai, arrivando nel finale di stagione al definitivo ricongiungimento.

Decisamente meno approfondito, perlomeno nella prima stagione, è il legame di natura più banalmente “software” che caratterizza gli umanoidi: ciò che non è chiaro è soprattutto lo scopo ultimo della ricostruzione dell’intero programma che consente di “impiantare” in tutti i Synth una coscienza e di sentimenti propri.
Questa eventualità spalanca la porta ad ulteriori interrogativi di natura morale sull’utilizzo della tecnologia, qui senza dubbio esasperato ma riconducibile in modo sostanziale anche al rapporto uomo-macchina ai giorni nostri: laddove un numero limitato di androidi coscienti è ben lontano dal rappresentare una minaccia, la possibilità di instillare una coscienza in ogni Synth può potenzialmente dare il via ad una serie di scenari decisamente più inquietanti.

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Il cliffhanger finale – con Niska che decide di separarsi dal resto del gruppo portandosi segretamente con sè una copia del software – rende tale ipotesi sempre più concreta, in vista dell’inizio della prossima stagione. Tra tutti i Synth, lei è stata fin dall’inizio quella più consapevole della superiorità della loro “razza” e un utilizzo sconsiderato del programma da parte sua non mi stupirebbe affatto.

Humans riesce, in definitiva, a mantenere l’attenzione viva e costante per tutti gli otto episodi, senza grossi colpi di scena a sostenere la trama ma grazie soprattutto ad un intreccio ben elaborato, un’interpretazione decisamente riuscita da parte di tutto il cast e, soprattutto, alla trama congegnata per far riflettere. E, di questi tempi, non è di sicuro una cosa che si possa dire di molte serie tv.
Unica pecca, a mio avviso, è il season finale che manca del pathos necessario a traghettare lo spettatore verso la prossima stagione con la voglia di sapere come la vicenda si evolverà.
Il voto alla serie, nel complesso, è di quattro PorcaMiseria su cinque.

4

 

CURIOSITÀ

  • L’incipit dell’intera serie ricorda parecchio l’episodio Be Right Back di Black Mirror, in cui una ragazza, per elaborare il lutto del fidanzato morto in circostanze tragiche si fa inviare a casa un androide a sua immagine e somiglianza, impiantandogli i ricordi ricavati dalle chat sui social network; se non l’avete guardato, fatelo perchè è davvero stupendo;
  • Gemma Chan e gli altri compagni Synth hanno dovuto seguire, per la preparazione, un vero e proprio “corso di recitazione per androidi”; la stessa Chan ha dichiarato che quella di Mia/Anita è stata un’interpretazione estremamente difficile, e che i sei mesi di riprese sono stati sfiancanti;
  • La serie è stata fortunatamente rinnovata per una seconda stagione, in onda presumibilmente a partire dall’estate dell’anno prossimo; stando alle dichiarazioni rilasciate dagli autori, ci sarà un breve salto temporale e la storia sarà più focalizzata sull’impatto dei Synth nella società.

 

https://twitter.com/MonicaHoranTMPS/status/637252002448343040

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