Peaky BlindersSeries Recap

Peaky Blinders è un viaggio spericolato nella criminalità della Birmingham del primo Novecento, attraverso le personalità testarde della famiglia Shelby e dei loro drammi sentimentali e "professionali". Una serie che fa della qualità tecnica, della cura dei dettagli, e della riconoscibilità formale, i suoi punti forti, e che ricomincia il suo pericoloso viaggio con una terza imperdibile stagione.

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Sta per iniziare la terza stagione di Peaky Blinders, e molti di voi si chiederanno: “E cosa diavolo è Peaky Blinders?”. Non si può certo dire infatti che la suddetta serie TV goda di tanta popolarità in Italia, ma sicuramente si può dire che la meriterebbe. Birmingham, 1919, gli affari sporchi di una famiglia di criminali raccontati in 6 avvincenti episodi; 6 per stagione si intende, e forse basta questo per convincere chi non ha visto la serie ad iniziare a guardarla, ma noi di SerialFreaks vogliamo raccontarvi di più; ecco dunque tutto ciò che c’è da sapere, o quasi, su Peaky Blinders.

Peaky Blinders - series recap - recensione

La mente dietro tutta la baracca è quella di Steven Knight, autore e regista inglese che già si era fatto notare per l’eccellente sceneggiatura di “Piccoli affari sporchi” di Stephen Frears, e de “La promessa dell’assassino” portata sul grande schermo da David Cronenberg, ma lì la mafia era russa, e stavolta Steven decide di rimanere in patria e raccontare la storia della famiglia Shelby. Come già detto siamo nella Birmingham dell’immediato primo dopoguerra, più precisamente nel malfamatissimo quartiere di Small Heath, dove abbondano il degrado, la povertà e la violenza. Thomas Shelby è un allibratore dalle maniere forti, interpretato magistralmente da un Cillian Murphy che riesce a sopperire col talento, e con la combo berretto + sguardo basso, a dei lineamenti, i suoi, che Cesare Lombroso sicuramente non avrebbe associato ad un criminale. Con lui due fratelli, una sorella, molti compari, e una madre – Helen McCrory – a fare da padre un po’ per tutti.

Peaky Blinders - series recap - recensione

La premessa è classica, la vicenda pure: c’è Sam Neill che fa la parte del capo della polizia arrivato da fuori per risolvere un affare alquanto losco, c’è un cattivo più cattivo del protagonista, che in realtà è buono, da sconfiggere, e piccoli e costanti colpi di scena a mantenere vivo il gioco di rimandi tra la componente thriller e quella drammatica. Quello che convince in Peaky Blinders è la capacità di costruire un meccanismo perfettamente funzionante, e soprattutto affascinante, riprendendo elementi già visti e facendoli propri: il contrasto tra le fornaci di Small Heath e i canti tradizionali irlandesi pronunciati con voce angelica dalla cameriera del Garrison – pub di riferimento per i nostri -, gli accordi non scritti tra le gang – o mafie – della zona, la costante presenza della grande guerra, appena passata, nei riferimenti espliciti alle battaglie in trincea e nei traumi psicologici che ritornano tra raptus e incubi.

Peaky Blinders - series recap - recensione

Menzione speciale per la colonna sonora, che guarda al presente cogliendo appieno lo spirito sporco e crudo della vicenda. Red Right Hand, di Nick Cave & the Bad Seeds fa da sigla d’apertura, e lo stesso Nick Cave accompagna i protagonisti in gran parte degli episodi insieme a Jack White – in tutte le sue declinazioni/formazioni – con diversi brani. Nella seconda stagione si fanno apprezzare anche le “new entries” PJ Harvey e Arctic Monkeys. Capitolo a parte invece merita la regia, firmata per la prima stagione da Otto Bathurst – suo il primo splendido episodio di Black Mirror – e Tom HarperThis Is England ’86 e Misfits, altri due piccoli cult britannici -, che definire dinamica è riduttivo. La camera si muove in tutte le direzioni, inquadrature dal basso, dall’alto, di sbieco, fuori fuoco, slow-motion alternati a piani sequenza come se non ci fosse pericolo di esagerare. Un Guy Ritchie senza le genialità di Guy Ritchie insomma, o se vogliamo un Ryan Murphy che è andato a lezione da Scorsese.

Peaky Blinders - series recap - recensione

Con la seconda stagione la regia tanto spericolata si fa più matura, e con essa tutta la serie. Solo con le prime cruente scazzottate, vedendo scorrere il sangue, ci rendiamo conto che la prima stagione tanto dura poi non era. Solo vedendo Tom Hardy poi, nei panni dell’enigmatico Alfie Solomons, ci rendiamo conto che questa serie ha fatto il salto di qualità, non solo perché Tom Hardy è attualmente uno dei migliori attori in circolazione, ma in fondo come motivazione basta e avanza. La vicenda della seconda stagione, piena ancora di conflitti interiori e confronti testardi, ruota intorno alla tribolata espansione londinese della famiglia Shelby e alla conseguente diatriba con Ebrei e Italiani (Solomons e Sabini), ma rimane aperta verso il futuro della terza stagione tramite il complicato rapporto, che sa di gioco beffardo, tra Thomas e il maggiore Campbell (Neill), di cui Winston Churchill in persona costituisce una pedina fondamentale.

My name is Thomas Shelby and today I’m going to kill a man.

Peaky Blinders - series recap - recensione

Peaky Blinders non inventa nulla, ma riesce in tutto. Pensiamo a Boardwalk Empire – L’impero del crimine, premiatissimo corrispettivo a stelle e strisce dal sapore holliwoodiano e classicista, o allo splendido L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford, (con Nick Cave che fa da reale fil rouge) che traslava con estrema tensione la figura del criminale verso un’intimità complessa. Non c’è in Peaky Blinders neanche l’efferatezza dei gangster movies o una trama da intrecciarcisi il cervello; quello che c’è è però un’accuratezza formale e stilistica che fa paura, una fotografia che padroneggia i giochi di luci e ombre con estrema efficacia ed eleganza; c’è una voglia di sentirsi Inglesi – e Irlandesi – che traspare in ogni dialogo e che dona alla serie una sincerità sempre apprezzabile. Peaky Blinders riesce nell’intento di creare un nuovo punto di riferimento per le serie TV, non solo made in UK, facendo della qualità tecnica, della cura dei dettagli, e della riconoscibilità formale i suoi punti forti. 4 porcamiseria, nella speranza che la terza stagione in partenza confermi la tendenza al miglioramento e porti al riconoscimento che questa serie – più di altre – meriterebbe.

4

 

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