SpecialiLa vergogna delle parole

Le polemiche all'ultima puntata del commissario Montalbano evidenziano che la politicizzazione dei contenuti mediali è sempre più frequente e pericolosa, mettendo a rischio molto seriamente la nostra percezione.

Ancora con questa storia che i terroristi dell’Isis arrivano con i barconi?

Tanto basta a infiammare una parte di pubblico televisivo italiano che sta asciugandosi col gomito il rivolo di schiuma alla bocca che ancora resta dopo l’ennesima, stupida, polemica sulla nazionalità del vincitore di Sanremo. Così a finire tra le ringhiose fauci degli incattiviti seriali è il commissario più amato d’Italia, quel Montalbano che continua a macinare record di share e ascolti (anche a livello mondiale) e che adesso ha avuto l’ardire di sfiorare l’argomento migranti. Un personaggio che fin dalla sua prima apparizione (e negli stessi romanzi di riferimento) è stato umano e proprio per questo ha conquistato sempre maggiore interesse. Eppure, una frase di buon senso che in un altro momento storico probabilmente nessuno avrebbe appesantito, adesso, dopo la trasmissione dell’ultimo episodio L’altro capo del filo, viene interpretata come la prova di qualche assurdo complotto o arzigogolate manovre volte a destabilizzare il governo.

Abbiamo permesso alla politica di allargarsi e adesso ne vediamo lo spauracchio ad ogni angolo, dando bandiera persino all’umanità.

Montalbano non fa politica, il suo non è uno schierarsi contro questo o quel ministro, è semplicemente una battuta di un copione scritto per dare coerenza a un personaggio che è sempre stato così. Per cui quella che oggi viene interpretata come faziosità è semplicemente la conseguenza di una caratterizzazione che, evidentemente, è stata del tutto male interpretata da chi oggi imbraccia telecomando in una mano e forcone nell’altra. Non è un problema da poco e sta emergendo sempre più di frequente nelle cronache.

Si tratta di un particolare tipo di analfabetismo funzionale che non riguarda (solo) i testi scritti, ma coinvolge anche gli altri media. Recentemente una polemica simile a quella sollevata per Montalbano ha colpito il personaggio di Dylan Dog, altro esempio di originalità e qualità della scrittura italiana. A novembre la testata principale del fumetto ha inaugurato un arco narrativo seriale, che durerà un anno e ha una trama orizzontale che lega tutti i numeri (ci sarebbe molte considerazioni da fare su questo ennesimo sconfinamento della struttura seriale dalla TV al cinema prima e adesso al fumetto italiano, ma ci riserviamo di farlo altrove e in un altro momento).

Il primo numero di questo arco, Che regni il caos!, ha ricevuto numerose critiche da parte di millantati fan di lunga data, insoddisfatti della piega “buonista” assunta dal personaggio. Dylan Dog è in edicola da 33 anni. A memoria mia non esiste una storia in cui il protagonista non sia dilaniato da dilemmi morali che lo portano, sempre e in ogni caso, a propendere per la parte più debole.

C’è un preoccupante e pericoloso aumento di persone che non sono più capaci di andare oltre l’immediatezza del dato, oltre l’immagine davanti agli occhi in quel momento o il suono sentito in quell’istante.

Quando parliamo di educazione non dobbiamo sottovalutare l’alfabetizzazione visiva, mediale, perché volenti o nolenti la maggior parte dei dati passa da canali che stiamo terribilmente sottovalutando, con tutti i rischi che questo comporta: un prodotto d’eccellenza come Gomorra, ad esempio, diventa una mina mortale senza gli adeguati strumenti per capire la critica che c’è dietro, il messaggio che vuole veicolare, estrapolarne soltanto il valore artistico o permettersi addirittura il lusso di guardarlo con gli occhi dell’esclusivo e lecito divertissment.

Perseverare in questa miopia mediale, oltre a danneggiare un tessuto sociale in perenne ricucitura, ha l’effetto di far apparire meno pericoloso e vergognoso l’uso di parole e termini su cui prima avremmo rimuginato per giorni e che adesso digitiamo con facilità convinti della loro effimerità digitale. Queste parole senza vergogna si depositano in realtà come cenere sul nuovo pavimento sociale, costringendo a tornare indietro anziché andare avanti (dieci anni fa questo articolo sarebbe stato superfluo, così come la nazionalità del vincitore di Sanremo). I libri, il cinema, i fumetti, la televisione sono tutti strumenti per allietare il pensiero, non un pretesto per spegnerlo.