Tante parole d’astio sono state spese per Suits in questi mesi: dal taglio di capelli da paggetto di Mike, passando a quella frignona di Rachel, fino ad arrivare alla noia assoluta della prima metà di stagione. Ma proprio dal mid-season finale avevamo intuito che tutto sarebbe cambiato: dopo l’arresto di Mike gli showrunner avevano davanti a loro solo due possibilità e hanno sicuramente scelto la più difficile, mettendo in scena uno dei finali più coraggiosi visti nella storia di Suits.
Fino alla fine abbiamo atteso SuperHarvey, l’unico capace di mettere tutto a posto e darci i tanti attesi “tarallucci e vino” a cui siamo stati abituati per cinque stagioni. Ogni strada però finiva in un vicolo cieco, ogni strategia falliva miseramente, una corsa contro il tempo fatta di ostacoli di speranze disilluse: “Tick Tock”, come titola appunto il penultimo episodio.
Fra il ticchettio inesorabile di un orologio che si avvicinava pericolosamente all’ora X abbiamo appreso quale fosse la scelta di Mike: accettare 2 anni di prigione in cambio dell’immunità dei suoi colleghi.
Tralasciando momentaneamente i risvolti caratteriali per i personaggio, con questo evento Suits riscrive completamente il proprio show. Implicitamente con i 2 anni di carcere, Mike rinuncia al suo futuro di avvocato, alla collaborazione presso la Pearson Specter Litt e di conseguenza a quello che era il pilastro della serie, la trama cruda.
Le domande dopo il finale sono tante, cosa succederà ora? Troveranno un mezzo per far tornare Mike a collaborare con Harvey? Assisteremo a dei salti temporali? Quanto vedremo di Mike dietro le sbarre? Quanto realismo verrà sacrificato per poter tornare ad avere la simbiosi fra Harvey e Mike che da sempre ha reso lo show quello che è?
Riscrivere tutto da zero non è semplice, il “tarallucci e vino” è sempre dietro l’angolo ma Suits, per una volta, si è distinto in modo netto dagli altri show, osando e non temporeggiando. Basti pensare a tutti quei telefilm che hanno un “segreto” come parte portante della trama, che si sono trascinati per stagioni per poi essere costretti a chiudere la baracca in fretta e furia per evitare il disastro, commettendo errori grossolani e plot twist che neanche la peggior telenovela brasiliana.
Cambiamenti epocali non solo nella scaletta dello show ma anche per quanto riguarda l’evoluzione dei personaggi.
L’epifania di Mike consiste nell’aver realizzato che l’accordo era effettivamente l’unica strada possibile, a prescindere dal voto della giuria, non solo per poter salvare i propri amici ma soprattutto per se stesso. Per poter chiudere quel capitolo della sua vita doveva fare un nodo emotivamente vincolante, doveva trovare un modo per chiudere la faccenda in modo definitivo, così da non ricadere nella trappola (così come accadde con Sidwell). Il “25th hour” del titolo è un chiaro riferimento alla pellicola del 2002 di Spike Lee, così come i 7 anni di prigione (scampati da Mike ma subiti da Monty).
Nel finale è però Harvey a farla da principe, con un sorriso beffardo e affascinante; nonostante abbia fatto di tutto per salvere Mike, anche ricorrendo a mezzi illegali, sembra essere l’unico ad aver compreso ed accettato serenamente le scelte del proprio partner, senza rinnegare la propria complicità e i propri errori.
Harvey è riuscito in quello che Rachel ha fallito: pensare a Mike. La “sposa mancata” non ha fatto altro che pensare a se stessa, a quanto avrebbe sofferto, a come la “loro” vita sarebbe stata rovinata, al suo matrimonio da principessina, addirittura negando 1 giorno dei 3 rimasti, per stare insieme a Mike. Una ripicca infantile, in perfetta linea con questo personaggio scialbo a cui ci hanno abituato. Differendo dall’opera di Lee, qui è Rachel a vivere la “venticinquesima ora” prima di cadere nella realizzazione nel momento in cui viene lasciata sull’altare.
Rachel risulta irritante, sciocca ed egoista; la sua evoluzione all’interno dello show rimane una grossa macchia nera. Un’onta insormontabile soprattutto per uno show che si è sempre distinto e per la rappresentazione del ruolo della donna moderna. Con Rachel si ha sempre il dubbio che gli showrunner abbiano cercato in modo goffo di presentare un modello femminile più dolce e meno aggressivo di Donna e Jessica; il problema è che non funziona, non in quell’universo da loro stessi creato dove il punto di incontro comune è il successo self made. Il personaggio di Rachel non manca solamente di un carattere forte ma anche di un background “sofferto” in cui immedesimarsi, rendendola quindi incomprensibile agli occhi dello spettatore.
La fierezza, la tenacia e la forza caratterizzano invece Jessica, capace di scendere a compromessi per poter salvare quello che ha duramente costruito, un’azienda che per anni ha difeso da minacce esterne e che rischia invece di affondare per cause interne, cause di cui lei stessa si rende complice. La scena finale con lei, Louis e Donna che vagano per le stanze vuote della Pearson Specter Litt sono strazianti, che sia davvero questa la fine dopotutto? Neppure aprire le porte a praticanti di altre università che non fossero Harvard ha aiutato un’azienda ormai percepita come morente, uno smacco morale enorme sia per Jessica che per Louis (che ci ha sorprendentemente evitato colpi di scena clamorosi).
La conclusione è forse una sorta di metafora di come tradizionalmente il capitano non abbandoni mai la propria nave e stoici sono rimasti i nostri capitani: Harvey, Mike, Louis, Donna e Rachel. Tutti ormai certi di essere gli unici colpevoli di una tragedia annunciata fin dall’inzio.
Concluso l’entusiamo post-finale, Suits non riesce a soddisfare a pieno, cadendo facilmente in errori nella costruzione dei personaggi che impediscono allo show di raggiungere un livello superiore
Vota l'episodio!
Sei d'accordo con noi o avresti dato un voto diverso? Dai i tuoi porcamiseria all'episodio e dicci che ne pensi nei commenti!
Hanno votato questo episodio 11 lettori, con una media di 4,45 porcamiseria su 5.
Loading...
Ti è piaciuto l'episodio?
