Tales of the CityTales of the City: un viaggio nei sentimenti

Mary Ann ritorna a San Francisco dopo ventitrè anni, e noi con lei riscopriamo l'atipica famiglia di Barbary Lane. Una serie che si propone come obiettivo il racconto di una comunità queer riesce invece anche ad indagare le sfumature più complesse e meravigliose dell'animo umano.

8.2

Nel Pride Month Netflix sfodera l’asso nella manica e Tales of the City si rivela essere una mossa vincente. Una miniserie in dieci episodi, sebbene quasi di un’ora l’uno, riprende le fila dell’originale Tales of the City prodotto nel lontano 1993, e a cui sono succeduti negli anni altri due fortunati capitoli. Anche senza conoscere i prequel – nei quali appaiono alcuni degli stessi attori che vediamo ancora oggi – l’attuale Tales of the City è un prodotto fortunatamente fruibile dall’intero pubblico, tant’è che (purtroppo) in Italia solo quest’ultima versione è stata doppiata e mandata in onda.

Non solo può, ma la comunità queer deve essere considerata normale – sempre che normale significhi qualcosa

Il racconto prende il via in medias res, con il ritorno di Mary Ann a Barbery Lane dopo ben ventitrè anni di assenza, e, inizialmente attraverso i suoi occhi, da un lato il pubblico di vecchia data ha la possibilità di vedere i cambiamenti apportati a Barbery Lane e di ricongiungersi con i suoi amati personaggi, mentre dall’altro la fetta più ampia di spettatori novelli può iniziare ad entrare negli strani meccanismi dell’atipica comunità famiglia di Anna Madrigal – interpretata dal premio Oscar Olympia Dukakis. Uno degli obiettivi principali dello show è infatti, forse oggi più che all’epoca, quello di rappresentare la comunità queer di San Francisco senza troppi fronzoli o preconcetti, mostrando che questa “altra” realtà esiste, e va bene così. E non solo può, ma soprattutto deve essere considerata una comunità normale – a patto che la parola normale significhi davvero qualcosa. Certo, vengono ancora rappresentati come un universo a parte e talvolta “nascosto” in una Villa di San Francisco al 28 di Barbary Lane, o tra qualche night club o locale a luci rosse, ma in fondo sono persone esattamente uguali a tante altre.

Passati gli iniziali episodi introduttivi infatti, in cui si cerca di conoscere le problematiche interiori legate ai membri della comunità queer, passando dal cambio di genere alla difficoltà del coming out, dopo qualche ora di visione ci si affeziona realmente ai personaggi. E proprio per questo motivo gli atipici protagonisti non sono, e non sono mai stati, il trasgender, la “vecchia fattona” o il gay, ma appaiono fin da subito, anche agli occhi del pubblico più inesperto e/o distante da queste tematiche, il confuso Jake, la misteriosa ma adorabile Anna, Michael, l’amico che tutti vorremmo, la scontrosa Shawna (Ellen Page), il buon Brian e la confusionaria Mary Ann (Laura Linney).

Tales of the City è un vero e proprio viaggio nei sentimenti umani

Ciascuno di loro ha una propria autonomia e dignità indipendente dagli altri personaggi e soprattutto dalle etichette di genere, che varcato lo scoglio dei primi episodi introduttivi dimentichiamo di esistere. E proprio in questo contesto la serie passa dall’essere un’indagine sul mondo queer ad un vero e proprio viaggio nei sentimenti umani; perché in fondo, come ricorda Anna, “siamo sempre persone: imperfette, narcisiste e facciamo del nostro meglio”.

Se il leitmotiv dei dieci episodi è l’improvvisa decisione di Anna di vendere Barbary Lane, quest’imprevisto si trasforma ben presto in un pretesto per analizzare le ripercussioni emotive che questa scelta avrà sugli altri componenti della famiglia, che si troveranno da un lato ancora più uniti, se possibile, e dall’altro costretti a maturare dall’oggi al domani. Come si può sopravvivere senza Anna? Ma soprattutto, chi avrebbe mai pensato di vivere senza di lei?

Un episodio in costume racconta la difficile situazione sociale e politica della comunità queer degli anni 60

Proprio su questi interrogativi prende il via un viaggio nell’interiorità dei personaggi di Tales of the City, che, dopo una lunga introduzione iniziale, dal sesto episodio scorre senza intoppi fino a raggiungere il suo culmine nell’ottavo, senza dubbio il più coinvolgente e stilisticamente meglio riuscito dell’intera serie. È un episodio in costume, nel complesso a sé stante e che arriva quando meno ce lo si aspetta per indagare l’arrivo di Anna a San Francisco e la sua storia pre-Barbary Lane, e con essa anche la difficile situazione sociale e politica in cui la comunità trans era costretta a vivere negli anni 60. Pressochè ogni aspetto, a partire dai costumi, passando per la recitazione e la colonna sonora – con quella canzone di Dirty Dancing che i più attenti avranno sicuramente notato – ha contribuito a rendere Days of Small Surrender un piccolo gioiellino, incastonato in una serie già di per sé di ottima qualità, ma che forse, senza di esso, dopo i titoli di coda sarebbe finita nel dimenticatoio perduta nel marasma dell’ampissimo catalogo Netflix.

Grazie Anna, per non esserti arresa con me.

– Mary Ann

  • 8/10
    Storia - 8/10
  • 8.5/10
    Tecnica - 8.5/10
  • 8/10
    Emozione - 8/10
8.2/10

Summary

Netflix sfodera l’asso nella manica nel mese dei Pride. Tales of the City si rivela una mossa vincente, oltre che un piccolo gioiellino della piattaforma streaming.

Porcamiseria

8.2

Netflix sfodera l'asso nella manica nel mese dei Pride. Tales of the City si rivela una mossa vincente, oltre che un piccolo gioiellino della piattaforma streaming.

Storia 8 Tecnica 8.5 Emozione 8
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