Mozzafiato. Questo è l’aggettivo che descrive perfettamente il finale di stagione per The Affair: finale che non solo ci fornisce le tanto bramate risposte sulla parte squisitamente crime, ma che ha saputo anche ridare lustro ai due protagonisti, glorificando la meravigliosa scrittura della serie. Una menzione poi va sicuramente all’interpretazione di Colin Donnell nel ruolo di Scotty Lockhart, a cui dedichiamo anche la cover di questo articolo.
Cole / Noah
In un inedito episodio tutto al maschile si gettano le basi per il gran finale, preludio ai fatti che portano alla morte di Scotty. Ad una più attenta analisi però, questo undicesimo episodio continua il lavoro di “smascheramento” dei personaggi iniziato con il precedente, ad eccezione di Helen, ancora una volta assente.
Noah cerca di bilanciare ancora una volta la sua dicotomia interiore tra l’essere un grand’uomo e un buon uomo: organizzare il bagno come studio per scrivere il suo capolavoro ora che lo studio è diventato una nursery è l’emblema dei suoi sforzi a voler essere a tutti i costi ciò che forse non è. Non a caso anche il suo editore cerca di convincerlo a scrivere un più rassicurante sequel di The Descent, a fargli accettare la sua mediocrità di scrittore. Quella di uomo è ormai quasi innegabile.
Anche Cole non riesce a tradire la sua vera natura, e l’entrare in affari con Alison è l’ennesimo atto di responsabilità e altruismo nei confronti della famiglia, di Scotty e di Luisa. La prima delle sequenze con la madre Cherry, finita a lavorare come donna delle pulizie in un motel, è toccante per certi versi, ed è probabilmente il motore di questa svolta per un Cole finalmente pronto ad essere felice al fianco di una donna che ama, sicuro dei suoi sentimenti per lei.
Ma i punti di vista di Noah e Cole sono mirati soprattutto a smascherare Alison e la sua rete di bugie e segreti, la sua incapacità di essere felice o soddisfatta della sua vita, il suo egoismo, la sua volubilità. Il personaggio della problematica rossa ne esce sicuramente demolito, più nei fatti che nelle spietate parole di Oscar:
You know what you are, Solloway? You’re a tourist. […] You think, “Oh, she’s so beautiful. She’s so sad, though. […] It’s an act. Wasn’t Gabriel’s death that broke her heart. She never f*cking had one.
Di questo episodio, oltre ai ritratti psicologici e l’eccellente fotografia, ricorderemo senza dubbio l’alterco tra Max e Noah e l’eccellente interpretazione di Colin Donnell di un delirante e strafatto Scotty Lockhart, nel drammatico confronto con Cole e Alison. Quanta strada dalla prima stagione di Arrow, Colin.
The End – Noah / Alison
Com’era prevedibile, le nozze di Cole sono teatro dell’atto conclusivo di questa seconda stagione di The Affair, narrato attraverso i punti di vista dei due protagonisti nettamente divergenti l’uno dall’altra, come non accadeva forse dalla prima stagione. Stranamente però, le verità raccontate nei due segmenti dell’episodio tracciano una sconfitta dei rispettivi protagonisti, privi di attenuanti. Le differenze sono pesanti e non interessano unicamente i dettagli, ma sono quasi due storie diverse che convergono nell’unico e inevitabile modo: la morte di Scotty nei pressi di The End, un motel nei dintorni di Montauk. The End è un simbolo: è il luogo in cui si conclude il libro di Noah, come anche il punto di non ritorno per i quattro protagonisti di The Affair, la fine della vita così come la conoscono.
Nel punto di visto di Noah, la bomba sganciata da Alison sulla paternità di Joanie incrina quasi irreparabilmente il rapporto tra i due ma è soprattutto un sollievo per l’uomo, sentitosi fin da subito intrappolato da nuovi doveri familiari, che certamente non aveva desiderato e che adesso è legittimato a non ottemperare. C’è un riavvicinamento – di convenienza – con Helen, non del tutto sicura del suo rapporto con Vik, che culmina in un bagno nell’oceano e una sbronza. Nei momenti successivi, il viaggio in auto tra la nebbia, i continui riferimenti al sogno ricorrente di Noah, l’urto di qualcosa/qualcuno – con Helen alla guida – proprio nel momento in cui lo sguardo tra i due ex-coniugi si incrocia in qualcosa che sottende ad una nuova svolta nel loro rapporto. Da qui, la storia è facilmente ricostruibile: il corpo esanime di Scotty sul ciglio della strada, la disperazione di Helen e Noah, che prende in mano la situazione, la storia del cervo come alibi, la pulizia dell’auto. La risolutezza finale dello scrittore, seppur espressa nella codardia di una fuga e di un’omissione di soccorso, e il suo voler proteggere Helen, attenuano la sua sconfitta come marito e come uomo: il suo rifugiarsi subito tra le braccia dell’ex moglie è l’ennesima scelta di convenienza dettata dalla contingenza degli eventi, l’ennesima decisione mossa dai sensi più che da un lucido ragionamento.
Se finora i fatti raccontati collimano con quanto lo spettatore poteva immaginare, è nella verità di Alison che tutto viene stravolto.
Inizialmente questa seconda parte sembra in qualche modo raccontarci la realizzazione di Alison nella sua nuova dimensione professionale in quel di Montauk: una dignitosa e confortevole sistemazione, un buon equilibrio con Luisa e Cole, un inaspettato spirito imprenditoriale. Nel prosieguo degli eventi però i riflettori si spostano nuovamente su Colin Donnell e il suo Scotty, il cui cammino verso una completa riabilitazione sembra dapprima quasi completo. L’accondiscendenza e l’inganno del fratello lo spingono però a cedere immediatamente alla tentazione del bicchiere: da qui i deliri di Scotty diventano un vero e proprio show culminato in una brillante e malinconica performance canora. Alison diventa il capro espiatorio del giovane Lockhart: le accuse, l’ultimatum, la confessione a denti stretti e con le mani legate di Alison, il tentativo di violenza sulla strada nei pressi di The End e la difesa disperata della donna che respinge il suo aggressore scaraventandolo lungo la strada proprio nello stesso istante in cui l’auto di Noah passa di lì. Nonostante tutto, l’egoismo e la convenienza appaiono gli unici motori delle azioni di Alison, difficile per lei trovare delle attenuanti.
Una – poco verosimile, diciamolo – coincidenza di eventi ci offre dunque la reale chiave di lettura di questa seconda stagione, e dobbiamo necessariamente rivedere l’opinione sui quattro protagonisti. Se Cole è il vincitore morale, il cui percorso è netto, senza zone d’ombra, Noah viene senz’altro riabilitato dalla scelta finale di dichiararsi colpevole per salvare le “sue donne”. Alla fine, forse, ha scelto di essere un uomo buono, di quelli che verranno ricordati con parole di stima negli elogi funebri.
Alison e Helen invece, affidano – ancora una volta – la loro vita nella mani di un uomo ed appaiono cristalline le motivazioni per cui la loro fedeltà a Noah, nella timeline del processo, era così totale. Nonostante tutto, Helen non riesce a percorrere lo stesso cammino di rivalsa di Cole, ma Maura Tierney, seppur con uno screentime limitato, si conferma comunque il faro di questa seconda stagione. Applausi a scena aperta per lei.
È dunque un season finale che ci lascia a bocca aperta questo, e che ci costringe a ritornare sui nostri passi e a riconsiderare davvero tutto, in cui i due protagonisti sanno riprendere in mano le redini della scena senza soccombere ai due comprimari nè all’eccellente Colin Donnell.
E adesso, non ci resta che attendere trepidanti la terza stagione.
Ecco alcuni tweet sul finale di stagione di The Affair tra il serio ed il faceto:
Questa è una grande, grandissima serie: seconda stagione ancor meglio della 1a. Una scrittura clamorosa. Personaggi meravigliosi.#TheAffair
— Loretta Blasi 🇪🇺 (@lablegia) December 22, 2015
#TheAffair unica serie dove non tifo nessuno nel senso che fottesega chi muore basta che salvaguardiate Pacey
— matteo (@festadimerda) December 22, 2015
Ruth, questa ce la teniamo per la pubblicità di una crema #TheAffair pic.twitter.com/HFMZTll3a7
— giovanni (@givagivaz) December 28, 2015
No però, il matrimonio in spiaggia solo se siete Brooke e Ridge #TheAffair
— pruckler (@pruckler) December 23, 2015
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