The Handmaid’s Tale2×03 Baggage

Continua la fuga di June fuori dagli Stati Uniti. Intanto, altri flashback raccontano la vita prima della dittatura, e di quanto molte, troppe persone non si siano accorte della discesa nell'abisso.

9.2

Nell’esplorazione minuziosa del mondo pre e post Gilead, The Handmaid’s Tale porta a galla diverse riflessioni: la prima, quella che risuona più chiaramente durante i flashback di Baggage, riguarda l’inconsapevolezza delle persone di avere sotto ai piedi un terreno cedevole, una situazione politica effettivamente sull’orlo della dittatura teocratica.

Il percorso di June verso la salvezza fuori dagli USA è l’elemento di tensione, importante ma meno centrale rispetto a dei flashback che fanno venire la pelle d’oca. Non è tuttavia come per i primi due episodi, in cui la spietatezza del sistema di Gilead era ciò che ci faceva stringere lo stomaco: ora a impressionare è come ciò che vediamo sullo schermo sia estremamente vicino alla nostra realtà.

La riflessione, soprattutto confrontando la lenta discesa nell’abisso dell’ultima ora di The Handmaid’s Tale con gli aeroporti affollati in Unwomen, è su quanto potremmo essere disposti a sopportare prima che i campanelli d’allarme suonino, forse troppo tardi per riuscire a scappare. June inizia a ritagliare pagine di giornale, mettendo nero su bianco l’irrimediabile: censure, privazione di diritti civili, progressiva militarizzazione.

You were there all the time, but no one noticed you.

La figura della madre di June, Holly, entra prepotentemente nella narrazione andando a dettagliare un quadro che pensavamo fosse completo. Antipodica rispetto a ciò che sarebbero poi diventati gli USA, vediamo una donna conscia della situazione politica, femminista e socialmente più attenta della figlia. Il rapporto tra le due è problematico, con June che preferisce una vita meno incline all’attivismo – nonostante la madre abbia fatto da ottima maestra – e una Holly che non ha perso la grinta negli anni, ma che critica il basso profilo della figlia.

A posteriori, il risveglio di June contro il sistema si riallaccia alla tenacia di Holly, nonostante il ritardo nella reazione; è quella caratteristica latente, quell’imprinting educativo che nel momento del bisogno sa emergere con dirompenza. Forse, questa ribellione tardiva è un riflesso di una situazione sociale molto attuale in cui il genere femminile, continuamente schernito e appiattito, riesce suo malgrado ad adattarsi alle ulteriori ristrettezze sociali che porteranno alla nascita di Gilead. Holly sa andare contro la corrente che la società segue, cerca di avvertire la figlia, ma lei, come molti, non ha prestato abbastanza attenzione.

ora a impressionare è come ciò che vediamo sullo schermo sia estremamente vicino alla nostra realtà

Nella fuga di June, scopriamo altri scorci della società dopo l’insediamento della dittatura. Tutto ciò che non è ad appannaggio dei comandanti e delle loro mogli, il ceto più abbiente della società, è relegato in anonimi borghi guidati da una teocrazia ferrea, in cui il ruolo della donna (Economoglie) è di casalinga devota e servizievole. Fotograficamente, impressiona il netto distacco cromatico tra il rosso delle Ancelle, scelte a causa della loro peccaminosa vita precedente, e il grigio delle Economogli; le prime hanno la lettera scarlatta, devono essere notate e disprezzate, le seconde devono semplicemente scomparire sullo sfondo, anonime e inosservate.

La bellezza di questo segmento di Baggage sta nelle brevi interazioni tra i personaggi, nel commento al vetriolo della Economoglie che ospita June, nella supponenza con la quale sostiene che si ucciderebbe piuttosto di dare il proprio figlio a qualcun altro; la laconica risposta di June testimonia come spesso chi non ha la reale percezione della situazione altrui non possa azzardare giudizi dall’alto di un piedistallo. Più sottilmente, dimostra come l’oppressione non derivi solo dall’uomo, ma anche dalle stesse donne, impegnate all’attacco reciproco a sfavore di un’alleanza più proficua.

La scrittura è sempre brillante, il talento dei protagonisti innegabile, la fotografia attenta ai dettagli e a comunicare angosce e turbamenti. Il finale chiude implacabilmente un episodio di The Handmaid’s Tale in cui la speranza di June viene distrutta all’ultimo secondo; rimane solo quella nei gesti delle persone che ha incontrato, in quel Corano nascosto sotto al letto di Omar, e in quel desiderio di ribellione soffocato sotto abiti tutti uguali.

Porcamiseria
  • 9/10
    Storia - 9/10
  • 9/10
    Tecnica - 9/10
  • 9.5/10
    Emozione - 9.5/10
9.2/10

In Breve

Un altro brillante episodio di The Handmaid’s Tale, che ci racconta l’apocalisse quando ancora si poteva avvertire e che troppi hanno lasciato correre. La fuga di June svela altri dettagli della società di Gilead, fornendoci ulteriori spunti di riflessione sulla transizione degli Stati Uniti da democrazia a dittatura teocratica.

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Porcamiseria

9.2

Un altro brillante episodio di The Handmaid's Tale, che ci racconta l'apocalisse quando ancora si poteva avvertire e che troppi hanno lasciato correre. La fuga di June svela altri dettagli della società di Gilead, fornendoci ulteriori spunti di riflessione sulla transizione degli Stati Uniti da democrazia a dittatura teocratica.

Storia 9 Tecnica 9 Emozione 9.5
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