The Handmaid’s Tale3×05 Unknown Caller

Alta emotività in questo quinto episodio di The Handmaid's Tale. Perché a volte devi essere crudele per essere gentile.

8.7

«Forse non è un miracolo. Un miracolo è oltre i poteri umani. Io ho fatto questo. Noi . La vittoria di uno è la vittoria di tutti. È un sogno, l’unico sogno per un’ancella di Gilead». A parlare è June mentre si trova al supermercato per fare le compere d’ordinanza riferendosi alla piccola Nichole.

Inizia così il quinto episodio di The Handmaid’s Tale dal titolo Unknown Caller. È la consapevolezza di una piccola vittoria in una guerra che sembra non avere via d’uscita. La neonata ora è salva in Canada, tra le braccia di Luke, in un mondo e in una società migliore di quella di Gilead dove il futuro sembra non esserci. La prospettiva di poter riuscire a salvare una persona a te cara, per molti sembra solo un miraggio, un qualcosa di impossibile: in Gilead sei rinchiuso in una gabbia di ferro, mentre migliaia di occhi ti guardano e una via di scampo sembra non esserci per nessuno. Ma poi ci riesci: pensi sia un miracolo, credi sia l’unica cosa possibile in quella gabbia dove la religione ne fa da possente padrona. Ma in fondo non è così: il libero arbitrio esiste ancora, le scelte sono pensabili. E quindi sogni: e poi vinci.

Pathos, drammaticità e tensione hanno costellato questo quinto capitolo

E mentre June si gode questo piccolo successo, i coniugi Waterford rivogliono indietro la loro bambina. Serena viene invitata dal marito ad unirsi ad una riunione per decidere il da farsi. C’è la possibilità di un incontro: loro sanno chi è Luke, dove vive, cosa fa. E la scelta è chiedere aiuto ancora una volta alla povera June. L’incontro avviene a casa del comandante Waterford, la discussione tra le parti è breve: si chiede all’ancella di chiamare il marito e chiedere un incontro. All’inizio June è restia, Serena la prega: qui la chiama per nome. Non Ofjoseph, ma June, il suo vero nome, la sua vera essenza. L’episodio sarà costellato da questi momenti, da un incessante gioco delle maschere alla pirandelliana maniera: Serena getta quella di moglie del comandante e indossa quella di una mamma provata che vuole solamente riabbracciare una piccola bambina che sente sua. June accetta.

Da questo momento in poi comincia il cuore di questo quinto episodio di The Handmaid’s Tale, un crescendo di pathos emotivo e drammatico. June è impassibile, ha lo sguardo fisso nel vuoto non appena sente la voce di Luke. Si sente persa, distrutta. E mentre lui vorrebbe avere una normale conversazione colma di amore, lei vuole solo chiudere al più presto la chiamata: gli dice cosa dovrebbe fare. Un incontro all’aeroporto di Toronto: Luke chiede che ci sia solo Serena, il patto viene concluso. June prova a dire ti amo al marito, ma i due minuti a disposizione terminano: e, come se avesse un grosso macigno sulle spalle, torna nella sua camera con gli occhi vuoti, spenti e con il cuore ancora più distrutto.

Dopo aver avuto una dolce chiacchierata con la moglie del comandante Lawrence in cui quest’ultima racconta di alcune cassette musicali del marito, June si rinchiude nel seminterrato. Prende una vecchia radio lì presente e sceglie un brano da ascoltare. E mentre in sottofondo suona You Make Me Feel Like Dancing , la scena si sposta ancora su Serena mentre Leo Sayer canta:

You’ve got a cute way of talking
You got the better of me
Just snap your fingers and I’m walking
Like a dog hanging on your lead
I’m in a spin, you know
Shaking on a string, you know

La signora Waterford è intenta a raccogliere dei regalini da portare alla piccola Nichole: sono sue vecchie foto di quando era bambina. Nella camera entra Rita che, portandole la colazione, lascia anche un piccolo pacchetto: il mittente è sconosciuto, si conosce solo il destinatario ovvero Luke.

Ci spostiamo in Canada, l’incontro è in procinto di iniziare. Ad accogliere Serena c’è Mr. Tuello, l’uomo con il quale aveva chiacchierato e bevuto un drink durante la precedente visita in Canada. La informa che Luke ha richiesto il meeting in un luogo pubblico: a Serena vengono dunque consegnati nuovi abiti affinché possa confondersi tra la folla. Il gioco delle maschere comincia nuovamente: un pullover a dolcevita bianco, dei jeans scuri, un paio di ballerine, un cappotto rosa salmone e la borsa nella quale sono conservati i regalini. Il momento sembra a tratti surreale rispetto alle solite atmosfere della serie: in sottofondo una stupenda melodia carica di tensione e drammaticità formata da un’unione di pianoforte e violino accompagna tutta la scena. L’aria è tesa.

L’episodio sarà costellato da un incessante gioco delle maschere alla pirandelliana maniera: Serena getta quella di moglie del comandante e indossa quella di una mamma provata che vuole solamente riabbracciare una piccola bambina che sente sua

«God bless you» dice Serena, «Fuck you» risponde Luke. Quest’ultimo vorrebbe solo risposte, sembra restio a farsi fare domande che riguardano la piccola che stringe tra le braccia: chiede come stia June e chi sia il suo comandante. Serena glielo rivela: Joseph Lawrence. La discussione continua senza freni: la Waterford dice che è qui per vedere la figlia, Luke risponde che non è sua figlia, Serena controbatte affermando che non è neanche la sua. «Tutto questo non riguarda la biologia, ma qualcosa di diverso»: esatto, qualcosa di diverso.

In una società come quella di Gilead dove il concetto di famiglia è completamente sovvertito e per certi versi annullato, capire cosa o chi si è esattamente è difficile: Serena chiede a Luke di spiegare alla piccola Nichole quando sarà grande da dove proviene, ma lui replica dicendo che non sarà mai grande abbastanza per poter capire. E qui abbiamo un primo momento interessante, almeno in prospettiva di trama: Luke chiede quale sia il ruolo del comandante Waterford in tutto questo, Serena non risponde. È ormai evidente che quest’ultima si trovi in un labirinto del quale non trova l’uscita, idea che ci viene nuovamente resa quando, mentre Mr. Tuello la accompagna a cambiarsi nuovamente d’abito per ripartire, lui le propone di restare lì, di salvarsi: ma lei non può, non vuole, il suo posto è a Gilead.

Torniamo però al duello tra Serena e Luke. Lei consegna una medaglietta che chiede venga data alla bambina: Luke risponde che Nichole saprà esattamente da dove viene e di come la madre, la vera madre, sia stata coraggiosa nel darle una vita migliore. Serena risponde che la piccola è stata il suo miracolo e che l’ha lasciata andare per darle un futuro e cambia nuovamente maschera, indossandone una da donna forte, a tratti crudele: «Devi capire che io ho protetto tua moglie». Luke non capisce, cerca spiegazioni, ma la conversazione viene interrotta da Tuello: Luke però concede un abbraccio a Serena nei confronti di Nichole.

La signora Waterford va quindi a cambiarsi e qui si getta in un pianto, distrutta, devastata: getta per terra la borsa dalla quale esce il pacchetto destinato a Luke. E mentre pianoforte e violino suonano ancora in sottofondo donando quel giusto senso drammatico alla scena, vediamo Serena in aereo sulla via del ritorno: la telecamera si sposta sulla borsa dove al suo interno è presente un cellulare e un fogliettino con su scritto if you need me. Non sappiamo esattamente chi lo abbia lasciato, ma è facile presumere sia stato Tuello.

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La scena si sposta su June che guarda i coniugi Lawrence: i due stanno ascoltando della musica. Ora a suonare è Cruel To Be Kind di Nick Lowe, in quello che potrebbe essere inteso come un foreshadowing per il finale di questo episodio di The Handmaid’s Tale. Lowe canta mentre Serena riabbraccia il marito: «Ora è finita» dice lei, «non deve necessariamente esserlo» risponde Fred.

Si ritorna quindi su June, mentre è al supermercato: scopriamo che OfMatthews è incinta, anche se il comandante non lo sa. Ad un certo punto entra un membro degli Occhi per prendere proprio June la quale viene portata su un furgone. Ed è qui che scopriamo che Luke aveva ricevuto il pacchetto: sulla cassetta di You Make Me Feel Like Dancing June ha registrato un messaggio. Gli rivela chi sia il vero padre di Nichole, oltre a dire che il nome della piccola è in realtà Holly. E ora June piange, in una commistione di dispiacere e felicità.

Sta per avere inizio la chiusura del cerchio di questo quinto episodio di The Handmaid’s Tale, dove il trittico formato da Elisabeth Moss, Yvonne Strahovski e O. T. Fagbenle è riuscito a dare il meglio di sé. Sono stati sicuramente loro i tre veri protagonisti di questi 50 minuti, dove pathos, drammaticità e tensione hanno costellato questo quinto capitolo, il tutto poi aiutato da una regia che si è voluta basare sui primi piani dei tre attori. Ma torniamo alla storia.

Ad accogliere l’ancella c’è Aunt Lydia. Inizia così l’ultimo maestoso quanto surreale gioco delle maschere. I Waterford sono lì per registrare un messaggio rivolto al Canada in cui chiedono aiuto per riprendersi la loro figlia. June è lì sullo sfondo, incredula con un nuovo abito rosso. “You’ve gotta be cruel to be kind” dice Nick Lowe nel brano del 1974: devi essere crudele per essere gentile. Lo ha capito Serena e ora lo ha capito anche June con la telecamera che chiude su di lei e sul suo sguardo colmo di rabbia e vendetta: ma ora a suonare sono gli U2 e la loro Sunday Bloody Sunday. Perché il momento di agire è adesso.

  • 8.5/10
    Storia - 8.5/10
  • 8.5/10
    Tecnica - 8.5/10
  • 9/10
    Emozione - 9/10
8.7/10

Summary

Pathos di stampo emotivo e drammatico sono il cuore di questo episodio. Una regia che sceglie i primi piani di Elisabeth Moss, Yvonne Strahovski e O. T. Fagbenle riesce a donare tanti colori a questi 50 minuti.

Porcamiseria

8.7

Pathos di stampo emotivo e drammatico sono il cuore di questo episodio. Una regia che sceglie i primi piani di Elisabeth Moss, Yvonne Strahovski e O. T. Fagbenle riesce a donare tanti colori a questi 50 minuti.

Storia 8.5 Tecnica 8.5 Emozione 9
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