The Handmaid’s Tale3×10 Bear Witness

A tre episodi dal finale di stagione si fa finalmente qualche passo avanti nella trama orizzontale. Ma il fondato timore è che sia troppo tardi.

7.0

Bear Witness, decimo episodio di The Handmaid’s Tale, ha una doppia anima che ben rende la schizofrenia di questa stagione.

La prima parte, in particolare, si aggancia alla follia di June accumulatasi nell’episodio precedente in un modo che lascia combattuti: da un lato non possiamo che applaudire l’interpretazione di Elisabeth Moss, ma dall’altra ci sembra che l’intera porzione di episodio sia caratterizzata da un tono eccessivamente sopra le righe che, per fortuna, scompare da metà in poi.

Si tratta, però, di uno degli aspetti che continua a stonare in questa stagione: gli eventi avvengono perché sì. June prima è folle e dopo un po’ torna lucida senza una ragione evidente, per fare un esempio. Ma il problema è ben più ampio e ne abbiamo ulteriore riscontro se ci focalizziamo su come viene raccontata (o non raccontata) l’intera struttura ai vertici di Gilead.

Quando era stato introdotto, Lawrence ci era stato presentato come una delle menti alla base di Gilead, così fondamentale da permettergli qualche eccentricità e, soprattutto, da poter pretendere che le riunioni si recassero da lui e non viceversa. Al contrario, il sempre più disgustoso Fred era in quel periodo in piena disgrazia e, nel periodo in cui si è svolto il nono episodio, è diventato addirittura talmente importante da poter dettare legge su come le case dei buoni abitanti di Gilead debbano essere tenute e allestite.

Anche se tutti  i cambiamenti vengono giustificati col tempo trascorso, ci pare una soluzione facilona e forzata a quella che è invece una pecca fondamentale che sta pian piano risultando evidente nella serie: non c’è una chiarezza adeguata su dove risieda veramente il potere in Gilead e su quali siano i veri ruoli preminenti.

Il titolo di Comandante non ha alcun senso gerarchico all’interno dell’oligarchia di Gilead, il che significa anche non avere una vera mappa del potere e, pertanto, non riuscire a comprendere le reali dinamiche. Sempre che tali dinamiche ci siano, dato che l’impressione è, per l’appunto, che il potere venga ampliato e ridimensionato in base alle esigenze narrative.

Non è che non vengano date spiegazioni, è che tali spiegazioni non ci sembrano sufficienti.

Rimane invece coerente il comportamento di Waterford. Abbiamo già da tempo classificato il personaggio come un omuncolo piccolo, opportunista e rancoroso che, non appena ne ha l’occasione, cerca di sfruttare il suo – più o meno ampio – potere per gonfiare il proprio ego. Sappiamo da tempo che la sua infatuazione per June, a volte sfruttata da lei stessa, non si è mai dissolta e in Bear Witness arriva al punto di attaccare vigliaccamente Lawrence pur di cercare di riappropriarsene.

Si tratta della spinta cardine che porta avanti l’episodio dalla prima alla seconda parte e che mette oggettivamente in moto quei cambiamenti che lo spettatore attendeva fin dal primo episodio della stagione.

Il meccanismo ricercato dagli autori è evidente e imbastito con qualche sbavatura iniziale: il suggerimento di June legato alla fuga arriva guarda caso in questo episodio, mezz’ora prima che si metta in moto l’intera spinta. Molto comodo, di nuovo.

Per giungere al cambiamento di intenzioni di Lawrence, la serie si concentra in ciò che le riesce meglio: disgustare lo spettatore con nuovi livelli di abominio legati a Gilead. Stavolta è il turno della testimonianza di estranei alla Cerimonia (ovvero, ricordiamolo, allo stupro rituale dell’Ancella) pur di assicurarsi che tutto avvenga secondo i dettami della fede.

Si tratta innegabilmente di uno dei momenti più forti e meglio recitati della stagione, in cui si trasmette alla perfezione il senso di prigionia non solo di chi è stata designata come vittima fin dall’inizio, ma anche di chi si era sempre considerato esente. Non ci sono entità mostruose come Gilead veramente controllabili: possono esserlo, forse, all’inizio, ma col tempo assumono vita propria e travolgono chiunque sul loro passaggio, anche chi ha dato loro vita. Soprattutto chi ha dato loro vita, dato che gli altri sono vittime da subito.

Provare dispiacere per Eleanor è quanto di più naturale possa esserci. La donna è da sempre vittima passiva delle azioni politiche del marito e la sua coscienza, unita alla sensibilità legata alla sua condizione mentale, la rendono carica di sensi di colpa solo parzialmente meritati. La sua disperazione è viva e sentita e non lascia indifferenti. Così come colpisce il dolore di Lawrence, costretto a mettere in pratica ciò che aveva solo teorizzato per gli altri e quindi ad affrontare in modo diretto l’abominio da lui stesso creato.

Si prova dispiacere, sì, perché Bradley Whitford è eccellente nel raccontarne il dramma e il dolore, ma ci si deve sempre ricordare – viene fatto, più volte, nell’episodio – che Lawrence non è innocente, tutt’altro. È un criminale di guerra che rischierebbe la condanna a morte se superasse i confini di Gilead.

Degno di nota, in calce a questo punto della trama, quello che è forse il miglior scambio di battute della stagione, in cui June umilia con semplicità e soddisfazione l’omuncolo Fred.

– Stai bene?
– Sì. Quanto meno non eri tu.

Le scene finali, in parte in casa Waterford e in parte dai Lawrence, pongono le basi per la run finale della stagione, che non siamo certi arriverà veramente da qualche parte.

Serena cambia di nuovo volto, sembra tornare a vedere la vera faccia di Fred e, forte del suo essere personaggio di ben altro spessore, lo mette di fronte a un difficile (per lui) aut-aut. June, grazie al rinnovato appoggio di Lawrence, sembra mettere finalmente in moto quella Resistenza che ci era stata promessa a inizio stagione, pur già minata dalla sua volontà di rimanere in Gilead.

Due ultimi appunti.

Si sente notevolmente la mancanza della storyline canadese, soprattutto dopo la sua centralità fino a metà stagione.

Le inquadrature di fine episodio che sfondano la quarta parete, a lungo funzionali, stanno diventando macchiettistiche e, parere personale di scrive, fortemente irritanti.

La serie nel complesso ha perso troppo a lungo la direzione

Concludendo, rispetto a quanto visto nelle scorse settimane, Bear Witness rappresenta sicuramente un passo avanti: la trama orizzontale dà un minimo cenno di avanzamento sebbene non si abbandonino gli abomini fini a loro stessi. Rimane da vedere come verranno gestiti i tre episodi finali: sebbene la speranza sia di assistere a un’accelerazione della trama e – finalmente – vedere accadere qualcosa, il timore è di trovarsi davanti due episodi parzialmente riempitivi che sfocino in un finale con cliffhanger d’ordinanza.

Quello che è certo è che mentre gli autori sanno dimostrarsi perfettamente in grado di scrivere singoli episodi di qualità supportati da un cast sempre eccellente, la serie nel complesso ha perso troppo a lungo la direzione e non è detto sia in grado di tornare in carreggiata in tempi utile.

  • 6.5/10
    Storia - 6.5/10
  • 7/10
    Tecnica - 7/10
  • 7.5/10
    Emozione - 7.5/10
7/10

Summary

Nonostante oggettivi passi avanti, i difetti accumulati finora nella stagione lasciano il segno e non permettono di apprezzare pienamente il risultato complessivo. Quando le cose si mettono in moto, però, la soddisfazione generale aumenta proporzionalmente.

Porcamiseria

7

Nonostante oggettivi passi avanti, i difetti accumulati finora nella stagione lasciano il segno e non permettono di apprezzare pienamente il risultato complessivo. Quando le cose si mettono in moto, però, la soddisfazione generale aumenta proporzionalmente.

Storia 6.5 Tecnica 7 Emozione 7.5
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