True Detective2×03 Maybe Tomorrow

Se agli inizi della seconda stagione di True Detective ci avessero detto che l’indagine sarebbe stata al centro della narrazione, probabilmente non ci avremmo creduto. Reduci da una prima stagione colma di esistenzialismo e con due protagnosti costantemente sopraffatti da problemi e turbe personali, sapevamo perfettamente che anche stavolta Nic Pizzolatto avrebbe usato la scusa […]

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Se agli inizi della seconda stagione di True Detective ci avessero detto che l’indagine sarebbe stata al centro della narrazione, probabilmente non ci avremmo creduto. Reduci da una prima stagione colma di esistenzialismo e con due protagnosti costantemente sopraffatti da problemi e turbe personali, sapevamo perfettamente che anche stavolta Nic Pizzolatto avrebbe usato la scusa della ricerca investigativa per metterci di fronte ai drammi e alle debolezze dell’animo umano.

Maybe tomorrow, la terza puntata di questa stagione partita in sordina, vuole sottolineare proprio questo punto. Di chi abbia ucciso Caspere poco ce ne importa; la ricerca va avanti molto lentamente, forse troppo, e senza timori reverenziali possiamo dire che a tratti la lentezza comincia a far spazio alla noia. La scena finale della seconda puntata ci aveva però dato una scossa, un colpo di scena che ci ha sorpreso non poco. Per un attimo ci abbiamo creduto, ma poi ci siamo resi conto: non stiamo mica guardando Game of Thrones! Qui i personaggi principali non vengono fatti morire così frettolosamente, a maggior ragione poi se si tratta di Ray, fino ad ora così ben costruito, e per di più ottimamente interpretato dal sempre sottovalutato Colin Farrell.

Vite a rischio

Questa terza puntata si apre con una scena dal sapore onirico, un omaggio alle atmosfere di David Lynch, come se le prime due puntate non lo fossero state abbastanza. Solito bar losco e impolverato, mentre un sosia di Conway Twitty canta la sua appassionata “The Rose” assistiamo ad un dialogo tra il detective Ray Velcoro e suo padre che sembra decisamente profetico, probabilmente ce lo andremo a rivedere tra qualche settimana per accertarcene.
Erano proiettili di gomma dunque, di quelli antisommossa usati dai poliziotti. Ray sta bene, solo un paio di costole rotte. Storciamo un po’ il naso, si tratta di una delle situazioni più abusate nella storia dei polizieschi, ma almeno apre un discorso più ampio: quello del rapporto di Ray con la morte.

“Do you want to live?”

La domanda del medico non dà scampo, e il silenzio di Ray è una risposta altrettanto chiara.
Che inizi un percorso di redenzione sembra alquanto improbabile, ma si intravede un accenno di pentimento, in particolare da quando la moglie va a fargli visita proponendogli un accordo per la custodia esclusiva del figlio, avvisandolo delle indagini sul suo passato corrotto. Non è più il Ray che prende a pugni i padri dei bulletti: sente che non può continuare così per molto e la visita al disilluso e stanco padre che butta il distintivo nella spazzatura glielo ricorda inesorabilmente.

Punti morti

Anche il detective Ani Bezzerides ha i suoi problemi, ma li nasconde decisamente meglio. Quella sigaretta elettronica da cui tutti sembrano infastiditi è puramente simbolica: i vizi passati sono ancora li, non sono stati superati, ma si cerca di camuffarli in un modo che appaia quantomeno accettabile. Prende le distanze da tutti e tutto, non si lascia andare alle passioni (e forse la trattenuta Rachel McAdams ha preso troppo alla lettera queste considerazioni), ligia al dovere fa il suo compitino interrogando gente qua e là, ma per ora non si vede traccia di quella genialità e quell’istinto necessari per risolvere il caso . Ray la chiama ironicamente “Xena”, ma per ora l’unica determinazione che la accomuna allo spirito combattente della principessa guerriera è quella che mette nella risoluzione dei propri problemi.

Un montaggio parallelo ci mette al corrente delle indicazioni dei rispettivi capi di Ray a Ani: da una parte la corruzione di Velcoro, dall’altra l’insabbiamento dell’indagine sembrano essere le vere intenzioni dei due dipartimenti di Ventura e Vinci. Siamo ad un punto morto dunque, continuano le ricerche tra sfarzose ville di Bel Air abitate da lussuriosi personaggi, e set cinematografici di poco conto, ma nessuna nuova pista. Prostitute, dei diamanti blu, una macchina rubata e poco altro.
La risoluzione del caso sembra davvero un miraggio per la più che mai frenata detective Bezzerides.

Crisi d’identità

Che quello di Paul Woodrugh fosse il personaggio più interessante lo avevamo capito dal primo episodio, e ora un tassello fondamentale viene aggiunto. Forse non c’era bisogno di una scena che lo rendesse così chiaro, ma scopriamo definitivamente che il bel poliziotto sta facendo i conti con la sua omosessualità repressa. Il malsano rapporto con la madre, la necessità del viagra, e ora un vecchio compagno dell’esercito che gli ricorda i bei tempi andati. Probabilmente si tratta solo di una notte di fuoco tra le montagne di qualche lontano paese, ma Paul a quanto pare è talmente represso che preferisce non ricordare e la prende male. Un classico.

Anche lui si dà da fare interrogando prostitute un po’ a caso in strada, mentre un cartellone pubblicitario di American Sniper campeggia gigantesco sulla strada sopra le teste dei personaggi, quasi a ricordarci che qui, a differenza del film di Clint Eastwood, di eroico e memorabile non c’è proprio nulla: andiamo ad esplorare gli angoli più squallidi e corrotti degli Stati Uniti, di certo non i suoi orgogli.
Ecco infatti che Paul viene indirizzato da un giovane marchettaro verso il Lux Infinitum, locale spesso frequentato da Caspere, ambiente esclusivo e aperto a qualsiasi tendenza sessuale. Capiamo subito che Paul dovrà fare i conti con la propria.

Quando il gioco si fa duro…

Non abbiamo ancora capito fino a che punto Frank Semyon possa essere considerato un duro (e il simpatico faccione di Vince Vaughn non aiuta per niente). Dalla scorsa puntata ha deciso di darsi da fare, usando le cattive maniere, ma sappiamo che quello che veramente lo muove è la disperazione. Qui si segue un doppio binario, la nascente crisi coniugale e quella sul piano degli affari. Niente soldi, accordi che saltano, e per giunta un suo uomo viene ucciso. È un segnale: qualcuno dà la caccia a Frank. Lui decide di risolvere la situazione con una scazzottata (probabilmente il punto più basso della puntata), ma sul finale lo ritroviamo rimandare a domani i problemi di oggi, come uno studentello che non ha voglia di fare gli esercizi di matematica, insomma un duro solo all’occasione.

Si tratta del personaggio che più di tutti ci ricorda i polizieschi di James Ellroy e gli hard-boiled di Raymond Chandler. L’ambientazione della Los Angeles degli anni ’40 e ’50 dominata dalla corruzione qui viene aggiornata, ma l’intenzione di emularne i meccanismi è chiara.

Abbiamo in ogni caso l’impressione che True Detective non riesca ad andare veramente in fondo ai discorsi che inizia, ad esempio nella conclusione della già citata scazzottata tra Frank e il grassoccio pappone di turno: strappare i finti denti d’oro con una pinza potrebbe anche essere un’idea azzeccata, tanto per dare un’accenno di cruda violenza che in una situazione del genere sembra verosimile; ma in qualche modo vince la paura (o le restrizioni televisive), e la scena viene troncata bruscamente e lasciata all’immaginazione. Per suggerimenti su come essere credibili in questi casi chiedere al Chan-wook Park di Oldboy, grazie.


Arrivano i minuti finali e gli sceneggiatori decidono di svegliare un po’ gli spettatori con un inseguimento. Dispiace dirlo ma l’impressione è che si tratti solo di un espediente non proprio riuscito per tenere alta la tensione. L’esplosione dell’automobile è per ora ingiustificata e troppo casuale, e l’inseguimento successivo segue le banali regole del genere, dal criminale con maschera enigmatica fino al camion che per poco non investe lei in procinto di sparare il colpo finale, salvata ovviamente da lui con un placcaggio all’ultimo momento. Tutto già visto, come in un banale poliziesco tedesco stile Squadra Speciale Cobra 11. Roba da Rai2.
Pizzolatto, sappiamo che puoi fare di meglio, e noi aspettiamo fiduciosi la prossima puntata. Maybe next week potremmo dire per questo “Maybe tomorrow”, e 3 Porcamiseria su 5 possono bastare.

3

 


Tra i vostri Tweet c’è chi coglie qualche parallelismo,

https://twitter.com/_UnaLola/status/618145436411535360

e chi sembra d’accordo con le nostre perplessità.

E ora una chicca: la terza puntata l’hanno seguita anche loro…di nuovo insieme!

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