True Detective2×06 Church in Ruins

Stavolta si parla di figli. La scorsa settimana l’episodio era incentrato sul rapporto (difficile) dei protagonisti con le donne. Stavolta l’attenzione si sposta sul rapporto con i figli. Frank Semyon si impegna per consolare il pargolo di Stan, il suo scagnozzo trovato morto un paio di episodi or sono. Tenta di spiegargli come gestire il […]

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Stavolta si parla di figli. La scorsa settimana l’episodio era incentrato sul rapporto (difficile) dei protagonisti con le donne. Stavolta l’attenzione si sposta sul rapporto con i figli.

Frank Semyon si impegna per consolare il pargolo di Stan, il suo scagnozzo trovato morto un paio di episodi or sono. Tenta di spiegargli come gestire il dolore (seguirà citazione nell’apposita sezione di questa recensione) e prova in questo modo a scoprire un istinto di paternità che fino ad ora credeva estraneo. Ray Velcoro tenta di pareggiare i conti con lo stupratore della sua ex-moglie, che sette giorni or sono ha scoperto non essere morto, e di sanare un rapporto ormai compromesso con il figlio. Paul Woodrugh si concentra su antichi furti di diamanti, provando a immedesimarsi nelle reazioni dei figli di due gioiellieri uccisi (“You got kids? One on the way.”).

Stavolta però il tema personale è più sfumato, la narrazione è entrata nel vivo, e per quanto il dramma personale abbia sempre un peso importante nel racconto, non ci si può soffermare a lungo sulle questioni private. L’azione ha preso il sopravvento e bisogna assecondarla.
Il bello e il brutto di True Detective è che si rivolge a un pubblico evoluto. A uno spettatore che di storie come questa ne ha già viste tante, inevitabilmente simili tra loro, e quindi l’autore non si prende la briga di spiegare, di chiarire. Ogni scena, ogni passaggio, ogni riferimento è un rimando a una storia già vista, a un film, una serie, un libro, che raccontava una storia simile. Per cui non c’è bisogno di argomentare, lo spettatore deve cogliere al volo la citazione. Che si parli di abusi edilizi, corridoi ferroviari, feste con prostitute, lotte tra bande rivali per il controllo del territorio, santoni hippie, cliniche di chirurghi estetici ambigui, non c’è bisogno di spiegare. In fondo il significato, e la tenuta della storia, contano relativamente. L’importante è il simbolo, il rimando a un antenato glorioso. Ciò che conta è collocarsi nella scia di un filone, di una tradizione a cui si vuole assomigliare. Il risultato è che nel corso delle puntate si sono stratificati temi, personaggi, scene. Intriganti di per sè, ma difficili da far convivere. Nic Pizzolatto gigioneggia, dimostra di saperci fare, di aver mandato a memoria pezzi importanti della storia del cinema. Ma il risultato è spesso un’ostentazione di bravura, un esercizio di maniera, l’accumulazione barocca di temi e situazioni difficili da seguire.

Nelle puntate precedenti avevamo avuto la lunga sparatoria per strada (in un rimando a Heat di Michael Mann), il sogno stralunato di Ray Velcoro (omaggio manifesto a David Lynch e al suo Twin Peaks), solo per citare i più importanti. Nel sesto episodio abbiamo contato, in sequenza: lo stallo alla messicana (sottolineato persino da Frank Semyon nel momento stesso in cui vi stava partecipando: un pezzo raffinatissimo di meta-cinema), una sequenza in stile Caccia al Ladro, con Colin Farrell e Taylor Kitsch che forzano la security di una villa in tuta e berretto nero di lana (con tanto di colonna sonora in perfetto stile hitchockiano), e la scena madre della festa con prostitute, esplicito rimando al porno d’autore di Kubrick in Eyes Wide Shut. Le ultime due citazioni convivono addirittura nella stessa scena.
Da spettatori appassionati di True Detective, ringraziamo l’autore per cotanto materiale e per la stima implicita che riconosce al nostro animo di cinefili. Ci sarebbe piaciuta un po’ più di azione, e che la trama si nascondesse meno dietro le pieghe di tanto citazionismo ed esibizioni di stile.
Prima di concludere con la consueta rubrica delle citazioni, c’è spazio per la chicca assoluta di questa sesta puntata, meraviglia per lo spettatore italiano, non facile da cogliere e che potrebbe essere passata inosservata al telespettatore distratto. Nella scena in cui Ray Velcoro prova a ricostruire il rapporto con suo figlio, sotto lo sguardo attento e implacabile di un assistente sociale, in primo piano, sul tavolino di fronte al televisore, spicca una copia di Gomorrah (con l’acca finale, come da traduzione inglese) di Roberto Saviano. Collocazione casuale o ulteriore citazione libresco – seriale di Nic Pizzolatto? Conoscendo il nostro Nic, siamo portati a propendere per la seconda.
E ora spazio per la consueta citazione. La frase, manifesto della sesta puntata, è la seguente:

“Sometimes, sometimes a thing happens, splits your life. There’s a before and after. […] Bad as this is, wrong as it is, this hurts, it can make you a better man. That’s what pain does. It shows you what was on the inside. And inside of you, is pure gold.” (Frank Semyon, nel suo dialogo con il figlio di Stan)

I porcamiseria sono quattro: è un voto di stima, perché in fondo Nic Pizzolatto conosce i suoi polli, e di fronte alla citazione dotta, ai protagonisti tormentati, alla fotografia sontuosa, finiamo sempre per scioglierci. Avremmo desiderato più azione, e una storia più concisa. Ma Rust Cohle è passato, questo ormai è chiaro anche ai muri. Per ora non tornerà. Almeno nella seconda stagione. Per questo bisogna consolarsi con il manierismo barocco di un autore dannatamente preparato.

4

 

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…ma quello che colpisce di più diciamo, sono i “richiami” all’Italia…

…anche se qualcuno torna serio…

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