UnorthodoxUnorthodox: un melodramma d’altri tempi

Series Recap La nuova mini-serie di Netflix è una bella storia di emancipazione femminile che, nonostante sia recitata in yiddish, sembra tanto una fiction televisiva degli anni ’90.

6.2

La trasposizione televisiva dell’omonimo libro autobiografico di Deborah Feldman racconta la fuga e la conseguente emancipazione della giovane Esther, 19 anni, da un matrimonio combinato oppressivo e dalle rigide regole della comunità ebrea ortodossa chassidica di New York. Si parte dall’abbandono del tetto coniugale, ma un secondo piano temporale riavvolge il tempo di 2 anni e ci mostra, nell’arco delle 4 puntate, il percorso di rinuncia e sacrifici a cui la diciassettenne ebrea non ortodossa è stata sottoposta. Unorthodox ha il pregio di immergere gli spettatori nel racconto, quasi etnologico, di una comunità immobile e chiusa alle influenze della società moderna, dove la donna non può esprimere la propria individualità e indipendenza e deve – essenzialmente – chiedere costantemente scusa a Dio attraverso una mortificazione, anche fisica, del suo essere.

C’è poco da ridere in queste 4 puntate e appena Esther mette piede in Germania – purtroppo – c’è anche poco da apprezzare. Eh già, perché, a nostro avviso, il racconto della sua emancipazione a Berlino, che è la parte più importante della narrazione, è anche l’aspetto meno riuscito, più banale, ingenuo e didascalico di una storia che sulla carta è di un impatto sensazionale. Non è un caso che, dove Unorthodox prende le distanze dal libro, che l’ha ispirata, la storia perda di potenza. Quando i nodi degli archi narrativi vengono al pettine nell’episodio finale, l’impianto, ideato ex novo, mostra, infatti, tutte le sue debolezze e – peggio ancora – l’assenza di verità.

L’autrice televisiva Anna Winger, che ha scritto Deutschland 83, e la regista di documentari Alexa Karolinski hanno voluto creare con il percorso di Esty a Berlino un racconto “aspirazionale”, una scelta che paradossalmente accumuna Unorthodox alle innumerevoli fiction Rai che gli abbonati di Netflix tanto cercano di evitare. Ci troviamo, così, ad assistere a una giovane ragazza che senza riferimenti, senza una lira e senza istruzione fugge da una comunità oppressiva, quella chassidica di New York, per venire facilmente accettata nella comunità-città di Berlino, che scopriamo essere il posto dove tutto è possibile con il minimo sforzo. Forse l’uso dello yiddish come lingua principale, una scelta a nostro avviso azzeccata e uno dei pochi elementi di novità di una struttura narrativa vecchia, riesce a stemperare il comico involontario di come Esther risolva i suoi problemi – peccato che ciò non fermi gli autori dallo scrivere frequenti scene melodrammatiche, ricche di patetismo dove Esty irrompe in pianti disperati.

Esty a Berlino trova l’amore in un bar. Uno dei cliché più usati nella storia del cinema e la televisione, ma questo è il sassolino che per la teoria del piano inclinato crea una valanga di facili risoluzioni, difficili da ignorare. Robert studia in un conservatorio ed Esther ha dovuto rinunciare alla musica perché nella religione del marito le donne non possono cantare né suonare strumenti. Esty, sola in una città sconosciuta, si auto-invita alla loro gita al lago (un secondo dopo aver conosciuto Robert) e da qui gli amici di lui diventano la sua seconda famiglia. Dormendo di nascosto nel conservatorio viene sgamata da uno dei maestri di musica che le offre la colazione e le prenota un’audizione per quello che è evidentemente il conservatorio meno ambizioso ed elitario del mondo.

Il problema maggiore di Unorthodox è l’apatica inerzia di Esther bilanciata da crisi melodrammatiche da fiction d’altri tempi. Il suo racconto purtroppo non mostra mai appieno la lotta e la conquista della libertà, proprio per colpa di quella “aspirazionalità” tanto voluta dagli autori. L’unico vero pericolo è dato dalla presenza del marito, Yakov, e dello scagnozzo, Moische, due personaggi che svolgono solo la funzione di minaccia incombente e che sono trattati in maniera piuttosto superficiale.

Il problema maggiore di Unorthodox è l’apatica inerzia di Esther bilanciata da crisi melodrammatiche da fiction d’altri tempi.

La ricerca dei due ebrei ortodossi mostra tutte le falle di una struttura povera di idee creative quando ci viene rivelato il loro piano – che riassumeremo con: o torni con noi a New York o ti fai saltare la testa con questa pistola che nessuno all’aeroporto ci ha confiscato; l’opzione “continuo a fare la mia vita” a quanto pare Esty non riesce a contemplarla. Comunque va detto che Yakov e Moische a Berlino sono anche un pretesto per mostrare i due zeloti in un ambiente alieno alla loro cultura, un contrasto che riesce in parte a salvare la loro linea narrativa.

La recitazione è decente anche se a volte i dialoghi sono appestati da lunghe esposizioni e spiegoni. Shira Haas, che interpreta la giovane Esther, è un’ottima attrice e sorregge perfettamente la messa in scena melodrammatica e patetica che le è imposta. La regia, la fotografia e le musiche sono quelle che ci aspetteremmo da un tipico prodotto tedesco per la tv di massa. La sensazione generale è che si sia voluto creare una mini-serie a tutti i costi, quando il materiale avrebbe funzionato meglio con un lungometraggio da 90 minuti. La forza del racconto risulta diluita da scene di poco impatto emotivo e da ingenuità e banalità di racconto. Unorthodox, però, non è una brutta miniserie. Sarebbe stato un’ottimo prodotto se fosse uscito negli anni ‘90.

  • 6/10
    Storia - 6/10
  • 6.5/10
    Tecnica - 6.5/10
  • 6/10
    Emozione - 6/10
6.2/10

Summary

Unorthodox è un melodramma d’altri tempi in cui l’episodio finale purtroppo mostra tutte le debolezze di una struttura banale, ingenua e didascalica. La regia, la fotografia e le musiche sono tipiche di un prodotto tedesco per la tv di massa. Non è una brutta miniserie. Sarebbe stato un’ottimo prodotto negli anni ‘90.

Porcamiseria

6.2

Unorthodox è un melodramma d’altri tempi in cui l’episodio finale purtroppo mostra tutte le debolezze di una struttura banale, ingenua e didascalica. La regia, la fotografia e le musiche sono tipiche di un prodotto tedesco per la tv di massa. Non è una brutta miniserie. Sarebbe stato un’ottimo prodotto negli anni ‘90.

Storia 6 Tecnica 6.5 Emozione 6
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