Vinyl1×02 Yesterday Once More

Se la musica continua ad esser il fiore all'occhiello e il prodotto meglio riuscito di Vinyl, la storia ancora stenta a stupire e decollare, con molte critiche piovute dal mondo delle case discografiche. Il secondo episodio, Yesterday Once More, ci è piaciuto, ma non ci ha lasciato troppo entusiasti.

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Per gli iscritti a forum, mailing list e gruppi social di addetti ai lavori dell’industria musicale questa settimana ha avuto un leitmotiv ben definito: la distruzione sistematica di Vinyl. Sulla nota mailing list del critico Bob Lefsetz, in particolare, tutta la generazione dei coetanei di Jagger – con un margine di errore di una decina d’anni – si è abbandonata all’equivalente verbale di un pestaggio di massa. Le critiche più feroci ruotano intorno a due punti. Al primo posto, regna il sospetto che tutto lo show sia solo una vetrina per la band del figlio di Mick Jagger, James, che interpreta Kip Stevens, il musicista punk dalla faccia non molto intelligente. Le restanti critiche fanno perno sul concetto di “io c’ero e non era così”, che è un’argomentazione piuttosto tediosa: è uno show televisivo, non un documentario, quindi ci si aspetta che il ritmo della scrittura possa prevalere sulla cronologia di alcuni eventi. Per questo e anche perché, quando si profila una situazione di “uno contro tutti” io tendo a tifare per l’uno, avevo deciso di parlare benissimo di questo secondo episodio. Per la miseria, Martin & Mick, non mi state rendendo le cose facili.

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Andiamo con ordine: avevamo lasciato il nostro Richie Finestra, vivo per miracolo, che si allontanava con qualche graffio dal crollo del Mercer Arts Center. Fra la catastrofe e l’omicidio dell’episodio precedente, non lo si può biasimare per essere tornato a infilarsi voracemente su per il naso intere rate del mutuo di una persona normale. Certo, poi ha passato tutta la notte sveglio a guardare un film di Bruce Lee al cinema molestando gli altri spettatori con urla belluine e ha devastato il salotto di casa, ma gliene vogliamo fare una colpa? È traumatizzato, povera stella. Ancora coperto di calcinacci, che fanno pendant con la colata di polvere bianca che gli è rimasta appesa sotto il naso, il nostro eroe dal cognome improponibile fa un ingresso trionfale, in clamoroso ritardo, nella stanza dove i manager della Polygram lo aspettano per firmare il contratto di vendita della American Century Records. Il problema del fare affari con i cocainomani, soprattutto con quelli traumatizzati, è che sono imprevedibili. Richie irrompe nella sua immacolata sala riunioni, ragionevole come un branco di gnu, manda a monte l’accordo dando del nazista all’uomo che stava per salvarlo dalla bancarotta e, tanto per non fare torto a nessuno, rompe il naso al capo della promozione della sua stessa etichetta, Zak Yankovich (Ray Romano).

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Mentre Richie delira strafatto di cocaina sulla necessità di tornare a rincorrere i propri sogni, i suoi soci gli fanno notare che il fallimento non è tanto un rischio calcolato quanto una certezza scolpita nel granito. Purtroppo la retorica dell’eroe che scuote gli altri ricordando loro che “quando hanno iniziato avevano un sogno” è talmente trita che nemmeno Scorsese riesce a non renderla prevedibile fino alle lacrime. L’unico guizzo di autentica ispirazione sta nel fatto che il grande discorso idealistico Richie lo faccia indossando una T-shirt dei Black Sabbath: per un uomo che due giorni prima ha ucciso un broadcaster radiofonico mentre questo era intento a suonare alla batteria “Iron Man”, si tratta di una mancanza di delicatezza che ha quasi del poetico.

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Da questo momento in poi si apre il valzer delle sottotrame, due secondarie e una necessariamente più rilevante. La prima sottotrama secondaria riguarda Zak Yankovich, che, col naso rotto e nell’indifferenza della moglie e della figlia, esamina le cifre da capogiro che gli toccherà sborsare per il principesco bat mitzvah di quest’ultima e contempla la miseria. Per quanto il paragone possa sembrare azzardato, in questa fase il personaggio ricorda molto “Scrocchiazzeppi” di Romanzo Criminale, impegnato da un lato a gestire gli eccessi deliranti del Libanese e dall’altro a far fronte alle richieste economiche sempre più stravaganti della moglie Angelina.

La seconda sottotrama riguarda il settore A&R, che Richie ha licenziato in blocco, promettendo di riassumere soltanto chi sarà in grado di portargli entro tre settimane una band o un artista degno di riportare l’etichetta al suo antico status di avanguardia del Rock’n’Roll. Ricompare Jamie, la spacciatrice che ha deciso di sdoganare il punk sull’onda della sua francamente inspiegabile attrazione fisica per il-figlio-di-Jagger. Dal momento che “è solo una segretaria” e per di più “è una ragazza”, Richie le affianca il viscido e arrivista Julie e la manda in una missione artistica che già promette dei risvolti a base di rivincita femminista. Julie, che dal canto suo non prova alcun trasporto per il-figlio-di-Jagger, cerca di ripulire la band The Nasty Bits e di adattarla a un pop-rock più simile a quello dei Kinks, con la motivazione che la band così com’è non ha alcun futuro. Vagli a spiegare che il senso del punk, volendo, sarebbe proprio quello.

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La sottotrama più importante dell’episodio è quella che ci racconta qualcosa del mondo di Devon, la moglie di Richie, ovvero Tredici-di-House. Madre amorevole che cerca di distrarre i figli dal fatto che papà abbia passato una notte a sfasciare la mobilia; compagna affidabile, sulla cui spalla il ferocissimo Richie Finestra può singhiozzare come un infante, certo di trovare conforto e comprensione. Fotografa. Perché una con un temperamento artistico che bazzica dalle parti dei più noti musicisti del mondo cosa volete che faccia, se non la fotografa? In questo episodio, però, tocca a lei ricordare i tempi andati e abbandonarsi a flashback accompagnati da psichedeliche sequenze musicali. Scopriamo, in questo modo, una serie di dati interessanti.

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Primo fra tutti che Devon e Richie si sono conosciuti a un concerto dei Velvet Underground e che lei, all’epoca, faceva parte della Factory di Andy Warhol (interpretato da John Cameron Mitchell in un cameo che potrebbe tranquillamente valere tutto l’episodio). Apprendiamo quindi che Olivia Wilde è abbonata ai personaggi bisessuali, dal momento che si intuisce una qualche forma di accennato rapporto sentimentale o erotico fra Devon e Ingrid – ovvero Ingrid Superstar, uno dei tanti personaggi ai quali Warhol si accompagnava per esemplificare con i fatti la sua teoria sui quindici minuti di celebrità. Vediamo nascere la storia d’amore fra Devon e Richie: torrida, passionale, piena di potenziale come gli anni ’60, e come gli anni ’60 destinata a risolversi in un paio di cliché. Perché, ragazza mia, non importa quanto tu sia fatale, misteriosa, intellettuale, curiosa e avventurosa: entro una decina d’anni l’uomo con il quale ti stai accoppiando in una toilette pubblica sarà ancora il ragazzo tormentato che rincorre i propri sogni e tu sarai una madre responsabile che gli strappa di mano le bottiglie di whisky. Anche le reminiscenze sono nettamente diverse: i flashback di Richie costruiscono la storia della sua passione per la musica, dei suoi errori professionali, della sua carriera e della sua scalata al successo. I flashback di Devon ricostruiscono la sua storia con Richie. Ma insomma, che vi aspettavate? Sono gli anni ’70 e in questa serie c’è già un’aspirante donna in carriera.

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I ricordi di Devon, però, ci regalano una scena talmente esilarante da alzare la media dell’intero show. Che l’effetto comico sia intenzionale o meno è irrilevante. Mentre osserva i propri figli che mangiano pancake in una caffetteria, Tredici-di-House si lascia scivolare nei ricordi di cui sopra e lentamente si fa strada una delle tante sequenze musicali stranianti di questa serie. La canzone è quella che dà il titolo all’episodio, “Yesterday Once More” dei Carpenters, nell’interpretazione di Aimee Mann. Devon si abbandona alla musica, guidando in una luce soffusa, in un mondo a tinte pastello da lomografia digitale. Il paesaggio scorre rapido, lei è malinconica. Dal nulla, compare Karen Carpenter, sul sedile del passeggero. Karen canta, Devon guida. Fino a quando Devon, giustamente, non fa la faccia del nudista che si è seduto sul cubetto di ghiaccio ed evidentemente si chiede “che diamine ci fa Karen Carpenter nella mia macchina e, soprattutto, io non avevo dei figli?”. Ed è a questo punto che Tredici-di-House torna indietro di gran carriera, perché nello slancio della psichedelia si era dimenticata i figli al bar. Applauso.

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L’episodio, a questo punto, ci ha detto più o meno tutto quello che aveva da dirci, quindi è il momento di aprire la via ai prossimi sviluppi. Il detective della omicidi, quello il cui biglietto da visita Richie aveva usato per prepararsi le prime strisce della sua ritrovata tossicodipendenza nell’episodio precedente, si presenta a casa Finestra. E qui potrei dire che si presenta sulla porta di casa Finestra, ma non lo dico, perché a tutto c’è un limite. Proprio quando Richie si è ormai quasi rassegnato all’idea di dover fronteggiare le conseguenze delle sue azioni, scopriamo che al poliziotto interessa parlare di un altro crimine, che riguarda alcuni colleghi di un’etichetta rivale dalla condotta professionale non irreprensibile. C’è stato un omicidio, ma non è quello commesso da Richie. Il nostro tira un sospiro di sollievo e decide che è arrivato il momento di riavvicinarsi al suo ex amico e cliente Lester Grimes. Il bluesman, per motivi ignoti, invece di buttarlo dalle scale e fargli scontare la colpa di avergli distrutto la carriera, lo invita in casa propria. Suspense.

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Nota a margine: la musica continua a essere ottima, da Jerry Lee Lewis a Lou Reed, con una passabile versione live di Venus in Furs. Nella prima parte dell’episodio, però, un frammento di Jean Genie mi ha ricordato che da qui a qualche episodio, se non già nel prossimo, ci ritroveremo a guardare un figurante che interpreta David Bowie. Certo, non è colpa di nessuno, la serie è stata girata molto tempo fa, ma è decisamente troppo presto.

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