Non so se questo episodio di Vinyl sia stato molto migliore del precedente o se il trauma del precedente sia ancora troppo vivo. Sta di fatto che ho trovato “The King and I” molto più godibile di Cyclone – e non ci voleva moltissimo. Mi aspettavo la svolta con un musical e invece il “The King” in questione è proprio “The King”, nel senso di Elvis, interpretato da uno che con Elvis ovviamente non c’entra niente, ma la sua presenza è per me un peccato veniale rispetto al cataclisma creato su Bowie: prima di tutto non venero Elvis come venero Bowie e in secondo luogo, oggettivamente, Elvis è stato impersonato da talmente tanti cialtroni che uno in più non rappresenta poi questa grande offesa alla sua memoria.
La puntata si caratterizza per il fatto insolito di avere una trama singola molto ben definita, con una sottotrama laterale aggiunta con evidente scarso interesse. Dal punto di vista della scrittura questa è una pecca, ma la trama principale ha i suoi pregi, oltre ai suoi difetti, come il fatto che ancora una volta gli sceneggiatori non capiscano come funzioni l’empatia. Il dilemma iniziale davanti al quale si trovano Richie e il suo team è quello atavico di chi deve far quadrare i conti: vendere l’appartamento aziendale a New York o l’aereo privato? Lo sentite il dramma? Vi siete immedesimati?
La decisione finale è quella di vendere l’aereo al concorrente Lou Meshejian (John Ventimiglia), che si offre di pagarlo in contanti. Zak accompagna Richie nell’ultimo volo del jet aziendale, diretto verso la West Coast, un po’ perché sente il bisogno di una buona chiacchierata chiarificatrice con l’amico di un tempo che lo sta mandando sul lastrico e un po’ perché ritiene – non a torto – che lasciare quella quantità di contanti in mano a uno che fino al giorno prima si è infilato nel naso il prodotto interno lordo della Colombia non sia una buona idea.
Richie però ha scelto un altro ruolo: adesso è sobrio e legge libri new age e quasi si offende a sentirsi trattare come un tossico (spoiler: è un tossico). Anche qui abbiamo un problema di empatia: chi di noi non ha provato il tormento di dover resistere alla tentazione autodistruttiva di farsi un’altra riga senza avere nulla per distrarsi se non una piscina azzurra e un paio di modelle? Sono drammi, mica chiacchiere.
Dopo aver venduto l’aereo i due si intrattengono a Malibu e Las Vegas, con uno scopo preciso: accaparrarsi nientepopodimenoche Elvis Presley il quale – si mormora – potrebbe essere interessato a una nuova etichetta. Il Re, ovviamente, è all’inizio del suo declino, ma questo non impedisce a Richie di mettere a frutto tutto ciò che ha imparato su come si interagisce con un tossicomane egomaniaco. L’inventore del rock si aggira in tuta, grasso e bolso nella sua suite principesca, mentre Richie gli fa una sviolinata che sarebbe ammirevole se non fosse disgustosa.
Questo momento di realismo della serie merita di essere riconosciuto: sotto ogni complimento e ogni inno alla grandezza di Elvis si percepisce un chiarissimo desiderio di accaparrarsi una grossa vacca da mungere, fosse anche una vacca mezza morta e condannata a fare il fenomeno da baraccone in un casinò. Naturalmente questa impresa si rivela un clamoroso buco nell’acqua e, considerando la fine ingloriosa che il Re sta per fare, per il nostro Riccardo Window questo è di fatto un colpo di fortuna.
La buona sorte, per il resto, è proprio quello che manca a Richie e Zak in questo viaggetto fuori porta. Non è, badate bene, l’unica qualità di cui sono carenti. Ce ne sono altre come il buonsenso, che non è presente neppure in quantità microscopica. Richie è insolitamente morigerato: perfino al casinò si ritira dopo aver vinto una somma discreta, ma non esagerata, non beve alcolici e non assume sostanze psicotrope. Zak, d’altro canto, evidentemente non ne può più di essere quello misurato, quindi si riduce a una poltiglia narcotica e alcolica portandosi in camera non una ma ben due signorine di dubbia moralità. Il pregio maggiore di tutto l’episodio è forse quello di concedere finalmente a Ray Romano lo spazio giusto per fare pieno sfoggio delle sue notevoli capacità attoriali.
Al risveglio, Zak si ritrova solo, nudo e intorpidito, ma soprattutto povero. Dalla stanza d’albergo sono spariti tutti i soldi, comprese le vincite di Richie della sera precedente e i contanti incassati dalla vendita dell’aereo. Per una volta le parti sono invertite: è Zak a sentirsi un fallimento. Inebriato dalle sostanze e obnubilato dal desiderio di accoppiarsi come un mandrillo, si è evidentemente fatto derubare da due professioniste. Richie non si fa scappare l’occasione per essere superiore fino in fondo, forte della sua ritrovata sobrietà. Comprensivo e saggio, non fa mancare all’amico supporto e comprensione, riducendolo a un ammasso tremolante di gratitudine e senso di colpa. Il nostro è forse sulla via della redenzione?
Neanche per sogno. Scopriamo in un flashback che, ossessionato dal numero 18 per averlo visto casualmente un paio di volte nelle 24 ore precedenti, mentre Zak approfondiva la conoscenza con le due signorine, Richie ha preso tutti i contanti e li ha puntati ripetutamente e ossessivamente su quel numero, perdendoli tutti e di fatto dando un’altra spinta colossale alla propria etichetta in direzione del fallimento. Pensavate forse che uno che nell’episodio scorso vedeva la gente morta improvvisamente fosse diventato un campione di saggezza e affidabilità? Non solo Richie è ancora fuori come il suo cognome, ma è anche abbastanza spregevole da lasciare che sia l’amico a macerarsi nel senso di colpa per un disastro che lui ha commesso.
Gli autori si stanno evidentemente sforzando di rendere Richie un personaggio rivoltante, ma a me per qualche motivo continua a non essere antipatico. Sospetto che il merito (o la colpa) sia da attribuirsi alla bravura di Cannavale.
La sottotrama di questo episodio di Vinyl? In sintesi e con giusto disinteresse: Clark che cerca di adattarsi a fare l’ex lavoro di Jamie, la quale nel frattempo è stata sbattuta fuori di casa. A fronte delle rispettive disgrazie, i due si odiano marginalmente meno di prima.
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