Years and YearsYears and Years Season 1: il futuro di una famiglia

Season Recap Una normale famiglia britannica affronta un mondo in crisi politica, sociale, economica e tecnologica nel corso di 15 anni.

9.0

Ideata da Russel T. Davies, conosciuto come sceneggiatore delle prime cinque stagioni del revival moderno di Doctor Who e della serie A Very English Scandal, la miniserie Years and Years è una co-produzione della BBC e della HBO.

Costituita da sei episodi ognuno della durata di circa un’ora, Years and Years racconta le vite di una sola famiglia, i Lyons, in un periodo di 15 anni in una Gran Bretagna scossa da instabili cambiamenti politici, economici e tecnologici. Un distopico quanto mai più attuale futuro si unisce a quel tipico british humor costituito da battute pungenti e da un sarcasmo mai noioso. Mentre il mondo crolla su stesso nel bel mezzo di crisi diplomatiche, economiche e sociali, seguiamo la vita di una normale famiglia di Manchester nel corso di 15 anni

Vivienne Rook diventa così la direttrice in un circo politico e sociale che fa dell’assurdo e di una certa reminiscenza kafkiana la sua cifra stilistica

Si parte nel 2019 e, mentre Stati Uniti e Cina sono nel bel mezzo di una guerra dei dazi, sullo sfondo politico britannico si erge una nuova figura: Vivienne Rook. Interpretata meravigliosamente – non che ci fossero dubbi – da una stupenda Emma Thompson, vincitrice di due premi Oscar, tre BAFTA, due Golden Globe e un Emmy, Viv Rook rappresenta qui l’antipolitica, colei pronta a traghettare come una novella Caronte il popolo britannico verso un futuro migliore dove i vecchi partiti non incarnano più i valori oggi sentiti dalla società. Aspra, a tratti rude, pungente, Viv, fondatrice del Four Star Party, riuscirà a scalare cuori e menti dei suoi concittadini.

Dalla sua bocca fuoriescono proposte quanto mai surreali: si passa dal voler introdurre un gadget tecnologico nelle scuole che spegne i telefoni cellulari e qualsiasi apparecchiatura elettronica, alla concessione del diritto del voto tramite un vero e proprio test d’intelligenza. Ne nasce così una figura politica sopra le righe e senza peli sulla lingua: nel dibattito politico che apre la serie ad una domanda su cosa lei pensasse della questione israelo-palestinese, col suo tipico british savoir-faire, risponde con un laconico ma alquanto divertente «I don’t give a fuck». La Thompson, che comunque non va considerata la vera protagonista di Years and Years, riesce a dare nuovi colori a quell’umorismo di stampo britannico mai noioso, ma che grazie a lei riesce a prendere nuove strade anche grazie ad una sua espressività che dona gioia e tante risate.

Temi attuali costituiscono elementi cardine di questa storia: ambientalismo, guerra, differenze sociali, parità di diritti formano la strada di questa serie con le questioni dell’immigrazione e dei rifugiati che rappresentano però le vere colonne portanti. Argomenti mai più che oggi dibattuti e discussi, immigrazione e rifugiati andranno ad impiantare le basi della storia: scelta, questa, estremamente apprezzabile.

In questo contemporaneo teatro dell’assurdo, i nostri occhi sono i Lyons, una normalissima famiglia di Manchester. Abbiamo la nonna Muriel (Anne Reid) e suoi quattro nipoti: Daniel (Russell Tovey) che sta per sposarsi con Ralph (Dino Fetscher) ma che presto si innamora di Viktor (Maxim Baldry), Stephen (Rory Kinnear) che, con la moglie Celeste (T’Nia Miller), deve badare alle figlie Bethany (Lydia West) e Ruby (Jade Alleyne) in un mondo in cui la tecnologia corre veloce, Rosie (Ruth Madeley) che cerca un nuovo compagno dopo la nascita del secondo figlio da un secondo compagno con il quale si è lasciato e Edith (Jessica Hynes) che manca da casa da anni.

Un distopico quanto mai più attuale futuro si unisce a quel tipico british humor costituito da battute pungenti e da un sarcasmo mai noioso

Il tutto comincia in una non precisata notte del 2019. Mentre in televisione fa la sua prima apparizione Vivienne Rook in quel dibattito sopra citato, Rosie è pronta a dare alla luce il suo piccolo Lincoln. Da qui in poi seguiamo le vicissitudini di questa famiglia mentre il mondo attorno a loro sembra piano piano collassare su se stesso: passiamo dalla rielezione di Donald Trump al lancio di un missile americano su di un’isola artificiale cinese, dalla chiusura di svariate banche a politiche sempre più dure verso i rifugiati dopo l’invasione russa dell’Ucraina, da novanta giorni consecutivi di pioggia fino al crollo della Torre di Pisa e alla chiusura della BBC.

E mentre il mondo attorno ad essi sembra sgretolarsi come un castello di carta, i Lyons cercano di andare avanti. Punto di riferimento diviene così la nonna Muriel che risulta quella più stoicamente ancorata alla realtà. La tecnologia prosegue la sua cavalcata verso orizzonti sempre più assurdi e i Lyons ne vengono investiti. Fra questi colei che abbraccia di più le novità è Bethany, la figlia maggiore di Stephen e Celeste: la vediamo prima indossare una maschera che trasforma il suo volto in emoji per poi impiantarsi un telefono cellulare all’interno del palmo della mano fino a voler diventare lei stessa la tecnologia riconoscendosi transumana. Questo, tra le altre cose, costituisce una delle scene più divertenti della serie: i due coniugi Lyons, dopo aver fatto ricerche nella cronologia web della figlia, pensano che ella voglia diventare transessuale avendo letto semplicemente trans. In realtà vuole solamente trasferire la sue mente nel cloud, divenire, come lei stessa ci dice, data.

Però l’àncora di salvezza della famiglia resta la più che novantenne nonna Muriel che si renderà protagonista di un monologo eccezionale all’inizio dell’ultimo episodio. Scritto egregiamente, è un discorso che la nonna Muriel fa alla propria famiglia durante un pranzo ma che, in fondo, è diretto proprio a noi spettatori. Ella afferma che tutto questo caos è solo colpa nostra: se il mondo è lì che sta per autodistruggersi è solo colpa di tutti noi. Sono pochi minuti che colpiscono come solo Black Mirror è riuscito a fare trattando temi simili. E ovviamente un confronto con l’acclamata serie di Charlie Brooker è più che necessario avendo entrambe la stessa matrice d’origine: la distopia, il futuro e il nostro rapporto con esso.

Due saranno le linee di confronto: la prima rapporterà il personaggio di Vivienne Rook con quello di Waldo, la seconda raffronterà le due serie nella loro interezza. Se Waldo era chiaramente ispirato a figure politiche britanniche quali Boris Johnson e Nigel Farage, qui Viv risulta più specchio degli attuali movimenti politici di stampo populista e antipolitico: ma se il primo era solamente un cartone animato, la Rook è un essere umano in carne ed ossa che riesce a diventare leader carismatica in una società mai così divisa. Non solo: se Waldo è espressione, almeno in parte, anche del progresso tecnologico e di come esso può essere utilizzato per fini politici, Vivienne ha poco a che fare con la tecnologia, basando i suoi discorsi su uno stile teso al deridere l’avversario e a raccogliere il malcontento comune. Ed è qui che si cela la vera differenza tra Black Mirror Years and Years, venendo così alla seconda linea di confronto.

Un confronto con l’acclamata serie di Charlie Brooker è più che necessario avendo entrambe la stessa matrice d’origine: la distopia, il futuro e il nostro rapporto con esso

Se la serie di Charlie Brooker ha fatto della tecnologia e della critica ad essa la sua colonna portante, nella distopica società creata da Russel T. Davies essa diventa solamente un puro e semplice elemento comprimario alla narrazione. Ma non basta: se in Black Mirror il più delle volte vi è un lieto fine, in Years and Years resta forte un certo elemento nichilistico che si sostanzia principalmente in quel monologo sopracitato della nonna Muriel. Davies qui decide di parlare direttamente a noi: se oggi il nostro mondo sembra perso in un labirinto, la colpa non va dato al moderno progresso ma a chi questo progresso lo porta avanti in maniera quasi incontrollata, ovvero noi stessi. Il finale di questa miniserie non manca comunque di quell’elemento di speranza per un futuro migliore, ma la presenza di una nuova figura politica simile a quella di Vivienne Rook di certo non fa che aumentare quel sentimento nichilistico.

La serie può considerarsi promossa con ottimi voti e l’esperimento può dirsi assolutamente riuscito. Humor e distopia risultano qui felicemente sposati grazie ad una sceneggiatura mai noiosa, con quei 60 minuti per ogni episodio che volano senza mai risultare pesanti. Eccellente la Thompson e con lei il resto del cast: Anne Reid risulta dolcissima in quel suo monologo finale e Rory Kinnear, che ironia della sorte è quello che unisce il mondo di Years and Years a quello di Black Mirror avendo aperto le danze della fortunata serie di Charlie Brooker nel primissimo episodio interpretando il Primo Ministro oggi nell’immaginario collettivo, risulta bravissimo soprattutto nel finale. Ottima inoltre l’idea di dare alla fantasia dello spettatore la possibilità di trovare la conclusione alla storia, che viene infatti lasciata aperta.

  • 9/10
    Storia - 9/10
  • 9/10
    Tecnica - 9/10
  • 9/10
    Emozione - 9/10
9/10

Summary

Un’ottima sceneggiatura che unisce distopia e humor britannico dà vita ad una miniserie dai tratti nichilistici ma che dona comunque sorrisi. Emma Thompson brilla e i sei episodi fanno nascere empatia nei confronti della famiglia Lyons.

Porcamiseria

9

Un'ottima sceneggiatura che unisce distopia e humor britannico dà vita ad una miniserie dai tratti nichilistici ma che dona comunque sorrisi. Emma Thompson brilla e i sei episodi fanno nascere empatia nei confronti della famiglia Lyons.

Storia 9 Tecnica 9 Emozione 9
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