13 Reasons Why13 Reasons Why Season 4: non bastano tredici motivi per guardarlo

Season Recap Una serie coraggiosa, capace di toccare con sensibilità e profondità temi adolescenziali senza scadere nella retorica e nei cliché: questo l'evidente obiettivo da evitare per gli autori di questa disastrosa quarta stagione.

5.0

Poco meno di un anno fa 13 Reasons Why chiudeva i battenti della sua terza stagione, lasciandoci con parecchie riserve riguardo alla necessità di continuare una storia già ampiamente depauperata con l’arco narrativo di allora.

Quando il fenomeno 13 esplose nel 2017 con la prima stagione, la richiesta da più parti era che fosse proiettato nelle scuole, per la capacità rara di intercettare e descrivere la generazione z, colma di insicurezze e tanto forte quanto fragile, in un fortissimo contrasto che altre generazioni non avevano vissuto o quantomeno non avevano così esposto.

Nei successivi anni lo show ha finito per perdere la carica innovativa, in cerca di una precisa identità

L’impatto del suicidio di Hannah Baker e delle motivazioni che la portarono a quel gesto fu tanto rilevante che Netflix capì di avere per le mani un potenziale esplosivo e decise di prolungare la serie fino al quarto arco narrativo, caricato sulla piattaforma di streaming il 5 giugno scorso.

Nei successivi anni lo show ha finito per perdere la carica innovativa, in cerca di una precisa identità che l’ha portato prima a scimmiottare sé stesso e successivamente ad appropriarsi di stilemi di altre serie, col risultato di mostrarli completamente fuori dal proprio contesto.

Così alle cassette della prima stagione sono subentrate le polaroid della seconda, mentre la terza ha assunto tinte thriller con l’interrogatorio di Ani volto a ricostruire con flashback l’omicidio di Bryce. La quarta stagione abbandona entrambe le soluzioni per abbracciare come elemento comune di trama orizzontale da una parte l’abusatissimo topos del “chi c’è nella bara?”, dall’altra le sedute psicologiche di Clay col dott. Ellman, personaggio interpretato da Gary Sinise e introdotto improvvisamente in questo arco narrativo ma con un pregresso nella storia del protagonista.

Nei dieci episodi che compongono la stagione, il gruppo di ragazzi della Liberty High School deve fare i conti con Winston, nuovo regular alla ricerca della verità riguardo ciò che è successo a Monty, ma anche con la fomentatissima schiera di genitori e autorità che vuole tenerli sotto controllo con metodi orwelliani. Il tentativo, tanto evidente quanto maldestro, è quello di lanciarsi a capofitto nell’ennesimo minestrone di temi a forte impatto emotivo che possano intercettare le tendenze dell’attualità statunitense.

Oltre al tema delle droghe, dell’alcol, della violenza sessuale e delle armi – ormai esposti come fregi e talmente ammantati di retorica da rendere irriconoscibili i nuclei pur validi delle passate stagioni – si aggiungono quest’anno la malattia mentale, lo scontro privacy/sicurezza, l’asfissiante pressione sociale della carriera universitaria e l’attualissimo abuso di potere delle autorità. Che però nell’esasperazione degli episodi finisce col diventare una macchietta, un tema che difficilmente si finisce a prendere sul serio una volta declinato secondo le modalità dell’esagerazione.

Il ritratto che viene fuori da questa stagione è quello di una generazione di genitori (e in generale di adulti) completamente incapace di dialogare con gli adolescenti

Pur ispirandosi a reali abusi degli school resource officers (SROs)i pretesti per tali atti sono trattati in maniera piuttosto ridicola e la loro concentrazione e il loro numero è francamente sospetto all’interno di una singola istituzione scolastica senza che nessuno degli adulti accenni ad alcuna protesta.

Il ritratto che infatti viene fuori da questa stagione è quello di una generazione di genitori (e in generale di adulti) completamente incapace di dialogare con gli adolescenti: un’affermazione pericolosa che traccia una netta linea di demarcazione noi/loro e che tratteggia, nel migliore dei casi, l’adulto come idiota incapace di gestire un rapporto sano con un ragazzo, ma che nei casi peggiori è cattivo e in malafede (e a ragione in questo caso, dato che i protagonisti stanno coprendo un omicidio, cosa che tendono a dimenticare).

Se gli adulti non ne escono bene, non si può dire che gli autori abbiano fatto un lavoro di fino con i ragazzi: l’introduzione di Ani nella precedente stagione, già forzata, viene completamente sconfessata, rendendo il personaggio completamente inutile ai fini della storia, tanto da farlo sparire per buona parte della seconda metà di stagione; non va meglio agli altri, costretti a reiterare comportamenti che avevamo già visto in loro o ad assumere reazioni di altri personaggi.

È il caso di Zack, lanciatosi in una spirale d’autodistruzione che solo sul finale viene ripresa, ma che aveva caratterizzato (uno su tutti) Justin nelle precedenti annate; ma anche Alex, al netto di un’evoluzione claudicante dal punto di vista sentimentale, pecca nuovamente di autocommiserazione, in un loop che va avanti ormai da tre stagioni.

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Il peggiore è però indubbiamente il protagonista: Clay è un ragazzo insopportabile, con cui è impossibile empatizzare se non nel finale. Responsabile di alcuni dei momenti peggiori di questa stagione, anche lui costretto in schemi ripetitivi che lo portano a parlare nuovamente coi fantasmi del passato, il giovane Jensen riesce a rendere sopportabile persino Diego e il preside Bolan, incastrato tra il desiderio di salvare tutti e la voglia di morire che lo porta a rischiare la vita di Zack. Peraltro Clay la fa sempre franca. Qualsiasi cosa dica o faccia, Clay non paga. Anzi. Gli viene affidato il discorso della cerimonia dei diplomi nonostante abbia praticamente sabotato la scuola e i suoi compagni.

Per compensare, in una saggia decisione probabilmente dettata dai fumi dell’alcol, gli autori decidono di puntare il tutto per tutto sul finale, scaricando sulla facile emotività la responsabilità dei nove evitabilissimi episodi precedenti. È ovviamente il personaggio con l’evoluzione migliore a farne le spese, un Justin costretto a subire le ingiuste accuse di Clay, che nonostante tutto lui prova a salvare dal cammino di autodistruzione che sta intraprendendo. Justin che ha il suo momento di gloria nel ballo con Jessica, ma costretto a pagare con la vita i tragici errori del passato.

Pochissimi sono i riferimenti alle stagioni precedenti atti a creare durante tutto il nuovo arco l’effetto nostalgia essenziale per dire addio ai protagonisti e alle loro storie

Sta anche in questa mancanza di equilibrio all’interno della narrazione uno dei problemi principali di 13 Reasons Why, incapace di gestire così tanti temi delicati, creare situazioni plausibili con personaggi validi. Il resto è solo un tentativo di tenere in vita una serie che ha esaurito gli argomenti, che scopiazza a destra e a manca senza contestualizzare nella narrazione e che punta sull’effetto emotivo del finale per mascherare malamente le insufficienze precedenti: pochissimi sono i riferimenti alle stagioni precedenti atti a creare durante tutto il nuovo arco l’effetto nostalgia essenziale per dire addio ai protagonisti e alle loro storie (abc del manuale dello sceneggiatore televisivo); terribili (inguardabili, orripilanti, immotivati) gli intermezzi che spaziano tra generi diversi (l’horror della puntata in campeggio, lo sci-fi di inizio ottavo episodio [brrrr]).

Si aggiungano a tutto questo: trame ampiamente prevedibili (che Tyler fosse un informatore era praticamente evidente), dialoghi stanchi e ripetitivi e un comparto tecnico che nelle inquadrature rasenta la sufficienza (in alcuni episodi sono totalmente tremolanti). Tutto da buttare, insomma? Sì.

Con l’eccezione di alcune scene che mettono a dura prova i nervi per la loro drammaticità (ad esempio l’arresto di Diego a seguito dello scontro con Justin) o anche l’episodio sul presunto assalto alla scuola, che però si trasforma nell’ennesima pantomima terminata con l’ulteriore prova dell’idiozia di Clay. Non vi servono tredici ragioni, ve ne basta una sola: non ne vale la pena.

P.S. C’è una tale concentrazione di fantasmi in quella scuola che a tratti sembra una puntata di Medium.

  • 3/10
    Storia - 3/10
  • 6/10
    Tecnica - 6/10
  • 6/10
    Emozione - 6/10
5/10

Summary

Tanto la prima stagione di 13 Reasons Why era descrittiva della generazione z, quanto quest’ultima è un evitabile agglomerato di temi importanti trattati con superficialità e ammassati senza soluzione di continuità, gettati in mano a un branco di isterici e impossibili adolescenti, ritratti come dei mostri pronti a dimenticare un omicidio e muovere guerra contro gli ancor più stupidi adulti che li controllano. Se volete bene ai personaggi (a differenza degli autori) non finite la serie.

Porcamiseria

5

Tanto la prima stagione di 13 Reasons Why era descrittiva della generazione z, quanto quest'ultima è un evitabile agglomerato di temi importanti trattati con superficialità e ammassati senza soluzione di continuità, gettati in mano a un branco di isterici e impossibili adolescenti, ritratti come dei mostri pronti a dimenticare un omicidio e muovere guerra contro gli ancor più stupidi adulti che li controllano. Se volete bene ai personaggi (a differenza degli autori) non finite la serie.

Storia 3 Tecnica 6 Emozione 6
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