Doctor Who11×10 The Battle of Ranskoor Av Kolos

Season Finale Un finale-non-finale che presenta in piccolo i grandi difetti di una stagione non al massimo, giocata principalmente sul rinnovamento a tutti i costi anche a rischio di stravolgere tutto.

7.3

L’undicesima stagione di Doctor Who volge al termine con un episodio che ha ben poco di finale e che lascia un po’ di amaro in bocca nonostante cerchi di attenersi agli standard whovian. L’anno dei cambiamenti, pur pagando in termini di ascolti e di alcuni elementi veramente positivi, ha ingranato poco, prestando il fianco a talune critiche più che giustificate.

ATTENZIONE! Senza neurostabilizzatori potreste incappare in qualche spoiler oltre questo punto.

Il team Tardis accoglie una richiesta d’aiuto proveniente da un pianeta dall’agevole nome Ranskoor Av Kolos (anche conosciuto come Disintegratore dell’anima). Qui i nostri incappano in Tim Shaw/Tzim-Sha, che ha aspettato più di tremila anni per vendicarsi del Dottore; nel farlo l’alieno dalla faccia dentata approfitta degli Ux, due esseri la cui onnipotenza è pari alla loro capacità di essere manipolati, che lo aiutano a miniaturizzare pianeti (ricorda qualcosa?). Tutt’intorno personaggi di poco rilievo che allungano esclusivamente il brodo e della battaglia promessa dal titolo neanche l’ombra. Anzi.

La prima parte dell’episodio, infatti, scorre ben più che lenta, tra eccessivi spiegoni, dialoghi non necessariamente richiesti e scene prive di azione, che solo nella sezione finale riacquistano un po’ di dinamismo dando all’episodio la verve di cui è privo inizialmente. La scrittura di Chibnall ancora una volta si dilunga su particolari inconsistenti, alle volte preferendo il didascalico all’implicito, finendo per sembrare più un sermone che non un divertissment. Del potenziale esplosivo, intravisto in alcuni frangenti o episodi di questa stagione, rimangono solo pochi accenni, penalizzati da una gestione confusionaria dei cambiamenti.

My rules change all the time.

Tra la voglia di rinnovare un personaggio e la sconfessione di tutto quello in cui crede c’è una linea sottile quanto un capello, e Chibnall rischia a mettere in bocca quelle parole alla protagonista. Non perché ciò non sia vero (il Dottore mente, è la regola numero uno, ormai si sa), ma per il contesto in cui è detta, cioè durante la distribuzione delle armi, che mina uno dei capisaldi della personalità del personaggio. È un gioco rischioso che lo showrunner ha già azzardato mettendo in scena una straniante mancanza di empatia del Dottore di fronte a determinate morti durante la stagione; una discordanza che, se ripetuta, rischia di rovinare anche una buona esecuzione.

L’idea dei due Sith Ux è stuzzicante, la loro narrazione anche interessante nell’affrontare le sfumature di una fede forte disposta a mettere da parte l’evidenza pur di autoalimentarsi, contravvenendo finanche ai suoi principi pur di raggiungere la conoscenza ed esperire l’universo (con un forte richiamo in questo sia a re James che a Grace).

L’episodio in sé non ha grossi pregi e potrebbe dirsi altrettanto della dimensione dei difetti se non fosse per la sua strategica posizione di finale annuale: cosa contraddistingue questa puntata da una delle precedenti? La presenza di una trama orizzontale?

C’è, è vero, un senso di chiusura all’elaborazione del lutto di Graham e alla definizione del suo rapporto con Ryan, ma basta questo a chiudere una stagione? Non abbiamo nessun raccordo tematico, nessun climax costruito lungo l’arco narrativo in dieci puntate: ancora una volta, i difetti di questo episodio sono specchio delle pecche della stagione. Cosa ha funzionato in questo avvicendamento sia di showrunner che di protagonista? Anzitutto lei, Jodie Whittaker, la quale ha risposto all‘immotivato odio di alcuni ritagliandosi un Dottore su misura, nettamente diverso dai precedenti, da cui è riuscita comunque ad attingere per ciò che concerne alcune qualità.

Manca ancora una certa autorevolezza al personaggio, ma, al netto di quel – non trascurabile – difetto di empatia di cui sopra, Jodie è stata una Time Lady umana e gentile, scombussolata quanto basta a renderla simpatica senza farne una macchietta e del tutto capace di gestire la portata del cambiamento epocale che ha riguardato il personaggio. Altra ottima nota di merito di questa undicesima stagione è la fotografia, splendida sia nei suoi colori brillanti che in quelli più tetri, già evidente nei poster e nelle locandine promozionali, che fanno di questa annata di Doctor Who, almeno per chi scrive, quella visivamente più bella. Molto interessante l’idea di puntare sugli esseri umani come principali villain degli episodi, spesso scagionando mostruosi alieni che in realtà volevano solo aiutare: passa un bel messaggio di integrazione delle differenze, sicuramente meno urlato degli altri proposti.

Il team Tardis il più delle volte funziona, il gruppo è ben assortito ed equilibrato, anche se individualmente vi è stata un’analisi un po’ superficiale del vissuto di ciascuno (Yaz a parte), forse limitata anche dal numero non agevole di amici (non chiamateli companion). Tirare in ballo il Tardis, però, rimanda necessariamente alle note negative della stagione. La nostra cabina blu preferita, infatti, è stata la grande assente di questo arco narrativo, un’ingombrante scomparsa che non è sufficiente compensata né dalla breve apparizione in questo finale, né da quel Ghost Monument che dovrebbe essere a lei dedicata. Manca il Tardis, manca Gallifrey, manca buona parte della mitologia whovian (a cominciare dai villain): una scelta coraggiosa di rinnovamento – che passa anche per l’abbandono di Londra come location principale per spostarsi nella campagna inglese – ma fin troppo radicale.

Se dei Dalek possiamo fare a meno per una stagione, del Tardis sicuramente no.

Altro grande assente è l’accompagnamento musicale, nettamente sottotono e incapace di lasciare un segno nello spettatore, al di là dell’episodico brano come in Rosal’addio di Murray Gold pesa più del previsto e sarebbe il caso di correre ai ripari per la stagione a venire. Infine, la mancanza più grande, quella su cui speravamo di rimanere sorpresi ma che invece ha confermato le tristi aspettative: la trama orizzontale. Purtroppo, sia per il momento storico della serialità, sia per un’abitudine ormai consolidata, sia per altri fattori che magari non stiamo considerando, l’assenza di un filo conduttore nelle storyline è prepotentemente invalidante. A risentirne è anzitutto il ritmo della narrazione, privata di qualsiasi climax e contraddistinta esclusivamente da un inizio, dato questo finale-non-finale.

La stessa evoluzione dei personaggi, se non legata a una cronologia determinata, appare piatta: la crescita di Graham è percepibile perché abbiamo visto il processo di elaborazione del lutto, passato giusto un episodio fa nel suo momento più duro. Possiamo dire lo stesso degli altri? Solo contestualizzandoli nella trama orizzontale (come Ryan e l’accettazione di suo nonno), cosa che per il Dottore è praticamente impossibile da fare, relegandolo a una piatta caratterizzazione che non evolve. Se, dopo la conferma della Whittaker, dovesse avvenire anche quella di Chibnall, allora il buon Chris farebbe bene a valutare una seria autocritica che parta dal presupposto che non tutti i rinnovamenti sono stravolgimenti. Prima dell’appuntamento (rimandato al 2020) con la dodicesima stagione, resta ancora lo speciale di Capodanno, che speriamo prenda solo il meglio di questi dieci episodi.

Il voto dell’episodio è 6,5 Porcamiseria, mentre la valutazione in basso fa riferimento all’intera undicesima stagione.

Note

  • Durante l’episodio, il Dottore ricorda che “I once towed your planet halfway across the universe in this Tardis, and turned a Slitheen back into an egg”. Il primo riferimento è al finale della quarta stagione Journey’s End, mentre il secondo scava ancora più nel passato, tirando in ballo Boom Town dalla prima stagione del nuovo corso.
  • La questione del Timeless Child accennata nel secondo episodio di quest’anno è stata lasciata cadere senza alcun seguito, contando forse di recuperarla in futuro.

 

 

 

  • 6.5/10
    Storia - 6.5/10
  • 8.5/10
    Tecnica - 8.5/10
  • 7/10
    Emozione - 7/10
7.3/10

Summary

L’assenza di elementi portanti della mitologia whovian penalizza una stagione già appesantita dalla mancanza di trama orizzontale, tenuta in piedi da una sorprendente protagonista, a proprio agio nei panni della Time Lady, da comprimari tutto sommato interessanti e da un comparto tecnico di livello che rende piacevole ma non proprio agevole arrivare alla fine di questi dieci episodi.

Porcamiseria

7.3

L'assenza di elementi portanti della mitologia whovian penalizza una stagione già appesantita dalla mancanza di trama orizzontale, tenuta in piedi da una sorprendente protagonista, a proprio agio nei panni della Time Lady, da comprimari tutto sommato interessanti e da un comparto tecnico di livello che rende piacevole ma non proprio agevole arrivare alla fine di questi dieci episodi.

Storia 6.5 Tecnica 8.5 Emozione 7
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