Siamo a metà Luglio, in uno di quei pomeriggi annoiati in cui sei alla ricerca di qualche nuova serie con cui ammazzare il tempo e finisci per imbatterti in Friends for College, o Compagni di Università nella versione italiana, un’altra nuova serie targata Netflix. Dai un’occhiata, in copertina vedi un gruppo di amici, tre ragazzi e tre ragazze, e finisci per iniziarlo con grande scetticismo. Dopo aver visto Friends e How I Met Your Mother, ma anche i più recenti Cougar Town e Happy Endings, sai già che è difficile un prodotto simile finisca per sorprenderti, eppure, non sai bene come, la sinossi riesce in qualche modo a incuriosirti. E infine dai, si tratta di soli otto episodi da trenta minuti, e c’è anche Cobie Smulders nel cast, potrebbe valerne la pena. E invece no.
Friends from College si propone come una sorta di versione adulta di Friends, incentrando le storie su un gruppo di quarantenni cui si cerca di dare drammaticità proponendoci dinamiche di gruppo che si dipanano attraverso tensioni, segreti e qualche parolina dietro le spalle di troppo, sempre senza allontanarsi mai del tutto dal registro comico. Se almeno sulla carta potrebbe presentarsi come una curiosa divagazione sul tema, nella pratica l’intento – o presunto tale – si dimostra fallimentare su tutta la linea.
Partiamo dai personaggi: i sei protagonisti si fermano all’archetipo che incarnano e non assistiamo a nessuna evoluzione o tentativo di introspezione psicologica. Tre di loro – Marianne la svampita, Nick il donnaiolo, Max il gay, e solo perché è l’unica cosa che abbiamo capito di lui – rimangono addirittura dietro le quinte a far tappezzeria, al punto tale che persino lo screentime regalato ai personaggi secondari si dimostra più proficuo in termini di resa e di empatia. Se presi singolarmente dunque non funzionano e si può addurre la breve durata della stagione quale attenuante, anche nelle scene in ensemble le cose non vanno tanto meglio.
Le scene di gruppo appaiono forzate e si tenta di caricarle attraverso una serie di dinamiche da branco disfunzionali, messe in scena a suon di caciara e alcool, senza per questo riuscire ad ingannare lo spettatore attento. E non bastano i nomignoli o le strizzate goliardiche, e non basta il tentativo di dare epicità alla folle “giornata della degustazione”. Tutto vi sembrerà enormemente lontano dagli esempi di serialità citati sopra.
Addentrandoci poi nello sviluppo narrativo, scopriamo che la suddetta dinamica di gruppo è asservita piuttosto al più banale dei triangoli amorosi che però resta lì, non sfocia in una fitta trama di bugie, in un pathos tale da catturare l’attenzione, ma si rivela un mero strumento per dar vita a gag che fanno sì sorridere ma che di certo non entreranno negli annali. A riprova che il tentativo di mettere in scena una sorta di dramedy fallisce su tutta la linea.
Quantomeno, però, il triangolo riesce a mettere un po’ in luce i tre protagonisti, Ethan e Lisa Turner – interpretata dalla Smulders – , una coppia apparentemente rodata che fa il suo rientro nella cricca dopo aver vissuto lontano dai loro amici, e Sam, ex trombamica di Ethan, adesso affermata professionista, sposata con prole, che però non ha mai dimenticato Ethan. Tra rimorsi, segreti, la ricerca di un figlio a tutti i costi per Lisa ed Ethan, e più in generale la ricerca della felicità, la loro storia è l’unico sostegno a questa prima stagione traballante la cui visione ci lascia una generale sensazione di incompiutezza, nonché una triste rappresentazione dei quarantenni di oggi, incapaci di prendere delle decisioni, fortemente immaturi e ancorati al fugace ricordo dei bei tempi che furono. Ma vogliamo credere che la cattiva scrittura di questa serie sia in buona parte responsabile di questo quadro a dir poco demoralizzante.