La casa di cartaLa Casa di Carta parte 4: lo storico pregiudizio verso la cultura pop

La quarta parte de La Casa di Carta riconferma sia i suoi punti deboli sia quelli di forza, con un unico risultato: tenerci incollati allo schermo.

7.0

Dal 2017, la Casa di Carta ha saputo tenere incollati allo schermo milioni di telespettatori, configurandosi di fatto come un fenomeno televisivo di portata mondiale. L’intelligenza analitica del Professore, la poliedricità dei personaggi e la narrazione di storie d’amore inedite sono stati gli elementi chiave del successo di una serie tv che si è distinta nel panorama televisivo per il suo eccezionale effetto trainante e per la novità del plot. Scritturata per una sola stagione, La Casa di Carta ha allargato il suo orizzonte narrativo, a causa del successo mondiale ottenuto, mettendo in scena una nuova rapina. La storia narrata nelle prime stagioni, corrispondendo al disegno originario, appare coerente dall’inizio alla fine. Ovviamente, nel momento in cui si decide di continuare una storia già conclusa, l’operazione non è sempre facile. Avevamo visto, nell’excursus della terza stagione, alcune pecche che incrinavano il giudizio positivo sulla serie espresso precedentemente.

la casa di carta 4

Nella quarta stagione, trasmessa su Netflix il 3 Aprile, alcuni punti deboli già individuati emergono con una forza contraddittoria maggiore. Nessuna delle stagioni create ex novo è eguagliabile allo script originario, semplicemente perché la storia era stata costruita in modo tale da esser conclusa con la fuga dalla Zecca di Stato. Allora che cosa non ha funzionato in quest’appendice narrativa? Sicuramente il ripresentare scenari simili, come la rapina in un edificio speculare alla Zecca di Stato, o la situazione della “classe”: tutte pallide caricature del primo plot. Sarebbe stato più opportuno, per confermare la linea inedita in cui la serie si era ascritta, incanalare i personaggi in un nuovo scenario d’azione, in cui non si sarebbero replicate alcune dinamiche relazionali già abbondantemente approfondite. È apparsa poco convincente anche una sottotrama di fan service, che enfatizza e amplifica alcuni discorsi, come il femminismo o la resistenza, in modo spesso stereotipato e patetico. Tuttavia, nessuno può negare di aver visto la quarta stagione nel giro di due giorni, in quanto, pur con tutti i difetti strutturali e tematici, La Casa di Carta è avvincente. È insita nella sua architettura narrativa una propensione innata al binge-whatching, che non tutte le serie tv hanno. Coinvolge ed intrattiene lo spettatore completamente.

la casa di carta 4

L’effetto trainante de La Casa di Carta è la chiave del suo successo, che resta inalterata, nonostante alcune defaillances di scrittura. In questa quarta stagione, molti sono stati i momenti iconici, come gli intermezzi musicali italiani di Umberto Tozzi e Franco Battiato, l’antagonismo strategico di Gandia, il braccio di ferro psicologico tra Raquel e Alicia. La parabola discendente di Nairobi, poi, si configura come il grande plot twist di questa stagione che ci costringe a salutare uno dei personaggi femminili più iconici della serie. Nella galleria dei personaggi femminili, Nairobi aveva una caratterizzazione inedita, che andava oltre l’imprevedibilità di Tokyo o l’affidabilità di Monica. Agata si distingueva nel gruppo di cui faceva parte, grazie alla forza dirompente della sua personalità, al contrario dei suoi colleghi maschi, che molto spesso appaiono interscambiabili. Vissuta come una beffa, l’altalenante corsa tra la vita e la morte di Nairobi getta le basi per la nuova Resistenza ad un sistema sociale spesso corrotto e diseguale.

la casa di carta 4

Al di là, quindi, dei pregi e dei difetti – come il timing non indovinato nell’episodio finale-, appare incontestabile che La Casa di Carta sia, a tutti gli effetti, un prodotto godibile. Gli sceneggiatori della serie hanno, infatti, raggiunto lo scopo primario della narrazione, ovvero intrattenere. Si evidenzia un cambiamento di percezione de La Casa di Carta da quando è diventata un fenomeno di massa, come se il fatto che piacesse a tutti, riuscendo a coinvolgere ogni target di pubblico, fosse una nota di demerito e significasse, ex abrupto, che fosse di bassa qualità. In ciò, si intravede la grande piaga dei finti intellettuali/radical chic che per indossare la loro maschera pretenziosa pensano di dover stigmatizzare negativamente, in modo dogmatico, ciò che piace alla massa. È la solita storia dell’intellettuale chiuso nella sua torre d’avorio pronto a disprezzare tutto ciò che diventa pop(olare). Il Decameron di Giovanni Boccaccio è un prodotto della cultura pop, che aveva lo scopo di intrattenere le donne annoiate nelle loro case. Non per questo, quelle cento novelle sono meno pregiate del raffinato ed elegante Canzoniere di Petrarca.

Un piccolo esempio per rammentare che la scrittura – letteraria, cinematografica o televisiva che sia – non vive di strutture dogmatiche, ma di movimenti sinusoidali che rifiutano, per definizione, etichette univoche. Allora, che ben vengano serie tv come La Casa di Carta in grado di farci sospendere l’incredulità ed intrattenerci per qualche ora, permettendoci di evadere, per un piccolo intermezzo, da una realtà come quella odierna non sempre facile.

Porcamiseria
  • 6/10
    Storia - 6/10
  • 7/10
    Tecnica - 7/10
  • 8/10
    Emozione - 8/10
7/10

In breve

L’attesa quarta parte de La Casa di Carta presenta un plot non del tutto originale, ma con la stessa carica emotiva delle prime stagioni.

Porcamiseria

7

L'attesa quarta parte de La Casa di Carta presenta un plot non del tutto originale, ma con la stessa carica emotiva delle prime stagioni.

Storia 6 Tecnica 7 Emozione 8
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