Love, Death & Robots | SpecialiLove, Death & Robots: i cartoni animati sono cresciuti

Un esperimento ben riuscito che ci ha messo di fronte all'impossibilità di fare un recap, data la sua eterogeneità: abbiamo scelto i nostri migliori quattro episodi, ma è stata davvero dura!

Il sodalizio tra NetflixDavid Fincher ha prodotto, fin dall’alba della piattaforma, esempi prestigiosi di un nuovo modo di intendere il prodotto seriale. Se House of CardsMindhunter rientrano, pur nella loro originalità, tra i prodotti più tradizionali, Love, Death & Robots si presenta invece come una vera e propria innovazione, sia nel concept che nella realizzazione, sancendo definitivamente (semmai ci fossero ancora dubbi) che l’animazione non è prerogativa dei prodotti per bambini.

Questa serie antologica (di cui abbiamo recensito il pilot qui) esula per sua natura dal poter essere recensita in un consueto recapdata la varietà di stili che trasversalmente caratterizza ogni episodio. Non è solo il modello grafico a mutare, infatti, ma troviamo un’eterogeneità diffusa che copre il comparto musicale, narrativo e registico: impossibile ridurre a una sola recensione questo piccolo cosmo variopinto (che valida la volontà di Fincher e degli altri produttori di mostrare le enormi potenzialità dell’animazione odierna). Per questo motivo abbiamo scelto i nostri quattro episodi preferiti e li abbiamo analizzati in modo da rendere al contempo sia la loro particolarità, sia il contesto generale della serie.

The Witness

In una megalopoli alienante dell’Est una giovane donna assiste a un brutale omicidio dalla finestra, attirando le attenzioni dell’omicida, che la inseguirà per le caotiche strade fino a raggiungerla. La testimone porta una firma grafica molto riconoscibile, con un mix di realismo e qualche effetto fumettistico appena accennato: Alberto Mielgo, regista e sceneggiatore del corto, ha infatti collaborato alla realizzazione di Spider-man: Into the Spider-versefilm d’animazione che ha meritatamente vinto l’Oscar per la categoria quest’anno e a cui questo cartone è molto debitore quanto alla grafica. Mielgo ha inoltre portato a casa nelle precedente stagioni un Emmy per l’animazione della serie Tron: Uprising e la sua esperienza si vede tutta sia nella costruzione formale che narrativa.

I tempi sono serrati, l’azione estremamente veloce. Il realismo di certe inquadrature e dei dettagli lascia spazio all’assurdo della trama o alle onomatopee fumettistiche, raccontando due mondi che scorrono in parallelo come i due protagonisti che si inseguono. La scena nel bordello, con inquadrature dal basso, montaggio rapido e colonna sonora incalzante, completa con sensualità il connubio di Eros e ThanatosLa scoperta finale del loop temporale invertito è solo il perfetto coronamento di undici minuti di dualità declinata secondo il modello del Taijitu, in cui Yin Yang si inseguono in un eterno ciclo in cui l’uno compenetra l’altro, nel caso del corto, invertendo i ruoli ad ogni nuovo inizio.

The Witness rappresenta un’armoniosa raffigurazione dell’incomunicabilità e delle conseguenze a cui essa porta: non solo il mondo esterno non ascolta (la poliziotta al telefono, il tizio mascherato e Vladimir al bordello) ma questa mancanza di comunicazione alimenta il violento epilogo dei due protagonisti, destinati a uccidersi vicendevolmente senza darsi l’opportunità di spiegarsi. Un meraviglioso e attualissimo omaggio a due cardini della cinematografia come La finestra sul cortile L’inquilino del terzo piano.

Good Hunting

Nella Cina di inizio XX secolo il figlio di un cacciatore di demoni e una ragazza-demone stringono una forte amicizia che li condurrà a sviluppare la loro reale natura. Rispetto a La TestimoneBuona Caccia ha uno stile grafico decisamente meno realistico, ma non per questo più brutto, anzi, forse per questa ragione più adatto a rendere le due differenti atmosfere che dividono l’episodio (alcuni paesaggi sono di straordinaria bellezza). Come i protagonisti, infatti, anche la puntata ha due anime al suo interno: nella prima parte c’è spazio per la tradizione, la componente magica e il preponderante peso dei genitori nella vita dei protagonisti, quasi schiacciati dalle aspettative familiari.

La seconda parte, invece, è quella dove i due personaggi sono finalmente liberi di muoversi in un mondo cambiato radicalmente, che ha messo da parte la magia per affidarsi alla tecnologia (meravigliosamente resa coi toni steampunk). Ma mentre Liang ha meno difficoltà a smarcarsi dal proprio retaggio, abbracciando con felicità la propria passione tecnica (opposta a quella del padre, di cui però conserva una scintilla magica), Yan deve invece affrontare una società patriarcale che non si accontenta di soffocarne la vera natura, ma che arriva a violarla trasformando il suo corpo in una macchina, completamente al servizio del suo oppressore.

Ma in Love, Death & Robots (come ci ha insegnato la Sonnie del pilot), le donne non si rassegnano a un destino deciso da altri e puntano all’autodeterminazione che le renda libere: impossibilitata a tornare quella di prima (non dopo una violenza simile che ne ha umiliato il corpo), Yan rinasce accordando la sua natura demoniaca alla modernità, bilanciando il razionalismo di Liang come la “magica” fiamma bilancia gli ingranaggi degli automi. In netto contrasto con The WitnessGood Hunting cerca anch’esso di raccontare un’armonia che però spezza il ciclo e non cadendo nel cliché della storia d’amore tra i due protagonisti. L’arrivo del treno ricorda un po’ Cent’anni di solitudine, mentre il resto dell’episodio, pur basandosi su reali leggende cinesi, non ha il tratto leggero dell’animazione orientale, in questo tradendo la sua natura occidentale: ci piace vederlo più come un pregevole omaggio che non una mediocre copia.

Three Robots

Quanto la vita umana non sia stata significativa e si sia esaurita per colpa degli errori terribili commessi dalla razza umana è il messaggio che passa dal secondo episodio della serie antologica, Tre Robot, un tragicomico sketch (in stile Pixar) che vede tre automi in visita in una non più abitata città, piena zeppa di “reliquie” del mondo umano. Il trio robotico è il perno della narrazione, per gli esilaranti e continui scambi di battute tra di essi: abbiamo il robot “serio” che ha le fattezze di un droide da battaglia, ma in realtà discende dalle “antiche” console X-Box, il robottino simpaticone – quasi un bambino della famiglia – e la donna robot cinica e acuta, che assomiglia a un metronomo gigante.

L’atmosfera vede ovunque (come se niente fosse) scheletri umani appesi in giro, il cui uso si riduce a selfie tecnologici – dove al posto di dire “Cheese” si dice “Terabyte”. Gli oggetti più banali divengono un’attrazione o motivo di curiosità per i tre spettatori: da una palla che rimbalza a un gatto che fa le fusa. Il sistema digerente degli esseri umani – o praticamente ogni altra cosa che lo riguardi – viene messa in risalto come obsoleta, quasi assurda. In aggiunta, a causa di una credenza riferita a un gioco di società (diffusosi recentemente nella nostra epoca), Exploding Kittens – al quale abbiamo personalmente giocato e troviamo molto divertente – i robot sono spinti a credere che i gatti esplodano realmente e siano incredibilmente pericolosi. Per non parlare della reazione di uno dei robot alla comprensione del significato della parola teabag (chi sa, capirà).

La chicca dell’episodio è il finale paradossale: quei gatti apparentemente inermi in realtà parlano e hanno conquistato la città degli umani. Poveri robot!

Zima Blue

Zima Bluel’episodio 14 della serie – è un gioiellino grafico che assomiglia a un fumetto, dai colori pieni e forti, che catturano. La trama racconta di un artista inconsueto – che dà il nome all’episodio – che nelle sue opere ha sempre cercato un significato più profondo della vita stessa (come tanti artisti hanno fatto prima di lui). Una ricerca che gli ha regalato una fama mondiale e un successo senza pari. Ma che cos’è quella bizzarra forma “azzurra” che compare pian piano nelle sue opere, ingrandendosi ogni volta di più? La risposta si ricollega alla vera storia di Zima.

Zima non è in realtà un uomo, bensì una semplice macchina pulitrice (di una piscina), evolutasi nel tempo, grazie a modifiche esterne e update, fino a divenire un robot perfetto dalla forma umanoide, in grado di vedere ogni cosa (con la vista di gran lunga superiore all’occhio umano) e privo dell’ostacolo di dover respirare ossigeno.  È questa la rivelazione che egli stesso fa alla giornalista che invita a fargli visita: l’idea che tutti avevano di lui, dell’uomo che voleva diventare al contrario macchina per elevarsi a un piano superiore, non può essere più sbagliata.

Dopo essere divenuto quasi un dio e aver scoperto i segreti ultimi del cosmo, tuttavia,  Zima arriva a comprendere il segreto più importante: il cosmo stesso è in grado da solo di comunicare la sua verità, e lui non potrà mai essere un suo pari. È da qui che la sua ricerca perde significato e il suo percorso si conclude con un ritorno alle origini, in un tragitto circolare. L’artista più discusso di tutti i tempi decide di tornare a essere una macchina pulitrice, che svolge meglio di chiunque altro il suo banale compito: pulire delle mattonelle azzurre. E solo questo è in grado di donargli la pace finale, completa.

(articolo scritto a quattro mani da Giuseppe Capuano e Claudia De Luca)

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