Orange Is The New BlackOrange Is The New Black Season 7: la degna fine di una serie stupenda

Series Finale Tutte le cose belle finiscono, prima o poi. Per questa stupenda serie, la parola fine arriva dopo sette stagioni emozionanti, e la domanda dei fan era legittimamente una sola: il finale sarà all'altezza della serie, o come accade a volte lascerà buona parte degli spettatori delusi? Non temete, in questo caso l'ultima stagione rende onore alle sei precedenti!

8.8

Sette stagioni e novantuno episodi della durata vicina all’ora fanno di Orange Is The New Black la più longeva e fortunata delle serie originali prodotte da Netflix. È stata anche la terza serie prodotta dalla piattaforma, dopo la sfortunata (visti i problemi esterni allo show che ne hanno compromesso la continuazione) House Of Cards e la meno nota Hemlock Grove (in Italia trasmessa da Mya).
Una serie che da sempre abbina commedia e dramma, momenti comici e momenti letteralmente devastanti, umorismo e un realismo talmente nero da costringere lo spettatore a riflettere.

Dopo le prime sei stagioni abbiamo imparato a conoscere le detenute di Litchfield, a empatizzare con loro, a voler loro bene o a odiarle a seconda dei casi. Le abbiamo viste crescere, maturare, cambiare nel tempo, spinte da percorsi di crescita personali, dall’incontro con altre persone o dagli abusi e soprusi subiti.
E insieme a loro abbiamo conosciuto le persone che gravitano intorno a loro. Famigliari, certo, ma anche le tante guardie della prigione, alcune in gamba e altre poco più che delinquenti in divisa, il personale amministrativo e ciò che sta dietro alle prigioni in America.
Abbiamo assistito con orrore a una delle morti più drammatiche e inattese, quella della povera Poussey Washington, e alla rivolta delle detenute scaturita da questo omicidio. Abbiamo tifato per loro, accettando anche le violenze commesse contro le guardie, stando al fianco di Taystee nelle negoziazioni, e siamo rimasti impietriti quando gli eventi sono precipitati, fino alle conseguenze tremende della sesta stagione e alla comparsa in scena di un altro mattone di attualità, l’ICE.

Il finale di questa serie è pienamente all’altezza delle stagioni passati, e probabilmente è addirittura una delle stagioni migliori

E adesso, giunti alla fine, tutti i fan della serie aspettano di sapere cosa ne sarà della coppia di protagoniste e di tutte le altre detenute. Con il malcelato terrore che, come spesso accade in questi casi, il finale lasci delusi e non corrisponda alle altissime aspettative create negli anni.
Beh, per quanto riguarda questa paura la si può subito fugare: il finale di questa serie è pienamente all’altezza delle migliori stagioni passate, se non addirittura uno dei punti più alti di questo percorso.

Il primo episodio ci aveva pienamente convinti, anticipandoci dosi abbondanti di dolore e sofferenza e qualche tiepido sprazzo di felicità e di speranza. I restanti dodici episodi hanno confermato totalmente queste prime impressioni, con qualche episodio più sopportabile e qualche altro invece molto, molto pesante. Tipo l’undicesimo, per non fare nomi, al termine del quale chi scrive ha dovuto interrompere il binge-watching fino al giorno dopo per riprendersi emotivamente.

E, naturalmente, per analizzare a fondo una stagione così ricca e intensa, non possiamo trattenerci dal fare alcuni spoiler.

In questa ultima stagione, tendenzialmente abbiamo in ogni episodio un focus su un personaggio, che gode anche di un più o meno lungo (e frammentato nel corso dell’episodio) flashback che ci mostra nuovi aspetti della sua vita passata, non fini a se stessi ma volti a farci meglio comprendere il presente.
Un’altra tendenza di questa stagione è quella di far ricomparire, anche solo per un breve cameo, i personaggi spariti nel corso delle passate stagioni, partendo dai vari Larry e Sam, fino a Sophia e a tutte le detenute allontanate al termine della sesta stagione. Un regalo ai fan e un omaggio ai personaggi, oltre all’occasione per mostrarci come siano proseguite le loro vite nel frattempo.
Troviamo anche il modo di rivedere Poussey Washington, grazie a un flashback di Taystee, e la cosa non può non commuovere.

Ma a commuovere saranno moltissime cose in questa stagione.
Perché se è vero che molte trame troveranno bene o male una risoluzione, e in diversi casi questa sarà in qualche modo positiva, il percorso per giungervi non sarà assolutamente facile. Senza contare che altre volte il finale, come è giusto per una serie che ha fatto dell’attinenza al reale uno dei suoi punti di forza, non sarà affatto positivo.
E malgrado la storia inizi e termini con Piper, la coralità raggiunta da questa serie fa sì che non ci sia una trama principale, ma tante trame parallele di pari importanza.

La storia tra Alex e Piper, anzi, alla fine diventa quasi noiosa, e sicuramente attesa con meno trepidazione rispetto ad altre, con l’elemento più interessante che sarà il lento reinserimento della bionda nella società. In questa settima stagione si scoprirà se la relazione tra le due donne, dopo essere sopravvissuta a tradimenti, denunce e rivolte, riuscirà a resistere pure alla distanza: Piper è ormai fuori dal carcere mentre la sua moglie è ancora dentro e ne avrà per qualche anno. Dovranno quindi affrontare lo scoglio del non essere più a contatto continuo l’una con l’altra, l’incertezza di cosa l’altra faccia o provi, i dubbi sulla relazione quando tutti intorno a loro sembrano spingere verso la separazione.

Di certo non mancano le alternative: al culmine di un lungo percorso personale di riabilitazione, Piper si troverà a dover scegliere tra Alex e una nuova donna che sembra davvero perfetta per lei, mentre Alex inizierà uno strano e complicato rapporto con l’agente McCullough.
Non mancheranno momenti di introspezione, come il flashback di Alex o il discorso di Larry, e la situazione si risolverà solo alla fine della serie. Com’è giusto che sia.

Probabilmente però la trama più attesa era quella della povera Taystee, che abbiamo visto passare nel corso degli anni da figura solare e positiva a leader della rivolta, fino a piombare nel vortice della depressione quando si ritrova tradita dalle amiche e usata come capro espiatorio per la morte di Piscatella. Condannata all’ergastolo per un omicidio che non ha commesso, pugnalata alle spalle dalle persone di cui più si fidava, Taystee è ormai un’altra persona, come non manca di farle notare la splendida Suzanne (anche lei ormai ben diversa dalla Crazy Eyes degli esordi) quando cercherà più e più volte di riportare la pace tra lei e Cindy.

Taystee arriverà a desiderare la morte per sfuggire a questa ultima ingiustizia piombatale addosso, e danzerà sul filo del suicidio per praticamente tutto il tempo tenendo gli spettatori col fiato sospeso: alla fine riuscirà a risollevarsi o cederà abbandonandosi alla morte? Oltre a prendersi una meritata vendetta sull’amica traditrice che viene liberata dalla prigione proprio grazie al suo tradimento, una vendetta che però per quanto comprensibile fa male anche agli spettatori, andando a colpire Cindy nel momento in cui cerca davvero di rimettere in piedi la propria vita e distruggendo non solo quella della traditrice ma anche quelle di sua madre e soprattutto della sua figlia, che si credeva sua sorella.

Dopo tutto ciò che ha subito, e senza più speranze per il futuro, Taystee si ritrova a progettare il proprio suicidio, mentre Daya è ormai il crudele boss della droga di Litchfield

Nella sua ricerca della morte, il cammino di Taystee incrocia quello di Daya, sempre più sprofondata nel baratro dell’oscurità e che ormai non ha più niente in comune con la ragazza romantica e sognatrice entrata in prigione. C’è chi in prigione è riuscito a migliorare, ma lei di certo ha intrapreso un cammino ben diverso che l’ha portata a gestire il traffico di droga nell’istituto penitenziario, diventando una persona priva di scrupoli e pronta a tutto. Pure a lottare con sua madre per mantenere intatto il flusso di droga all’interno… di Daya non vedremo flashback, ma ne vedremo uno di Aleida. E anche se non potremo in alcun modo sentirci vicini a lei, riusciremo a comprendere come sia potuta diventare così. Fino alla scena finale del confronto tra le due donne, nuovamente compagne di carcere e in totale disaccordo su chi debba gestire il giro di droga, su chi ne debba far parte e sulle motivazioni per occuparsi della droga. Un finale inaspettato e tremendo per questo rapporto ormai distrutto tra madre e figlia.

Poi chiaramente abbiamo Doggett. L’ennesimo personaggio nato come bifolca, classico prodotto delle zone più povere e arretrate dell’America, totalmente negativo… e cresciuto, maturato, fino a essere la donna timida e timorosa che viene attirata dalle lezioni dell’insegnante del corso GED e scopre finalmente di non essere scema come le avevano sempre detto ma di soffrire di dislessia, di avere bisogno semplicemente di più tempo degli altri per fare determinate cose, di necessitare di strumenti differenti.
Non si può non tifare per lei all’esame, un esame che rappresenta la sua rivalsa nei confronti del padre, della società e di un mondo che si è sempre preso gioco di lei sminuendola e facendola sentire una nullità.
Per questo la sua storia fa male. Fa male vederla alzarsi e calarsi il cappuccio della felpa, un gesto che grida vulnerabilità e dolore, desiderio di non essere vista e di proteggersi dall’esterno. Fa male vederla con Suzanne, fa male ritrovarla in lavanderia da Daya. E fa malissimo ritrovarla alla fine a calarsi il cappuccio sul viso mandando a quel paese Litchfield.

C’è il gruppo della latine. GloriaFlacaMaritzaBlanca.
Si ritrovano alla cucina del terrificante centro ICE, due come cuoche e due come detenute in attesa di processo per l’espulsione. Maritza che scoprirà di non essere americana, Blanca che invece realizzerà come la confessione riguardante la rivolta le sia costata la green card e quindi il rischio espulsione. Maritza che rappresenta l’americanità e che tutto a un tratto si ritrova a dover lottare per non essere deportata in una nazione sconosciuta, Blanca che ha sempre lottato per conquistarsi il diritto di essere su suolo americano e che non intende tornare indietro.
E lì nell’ICE troveremo tante altre persone con le loro storie, i loro traumi, i loro terrori.

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Abbiamo Karla, che lavorava in uno studio di avvocati e che ora deve lottare per non essere rispedita fuori dal paese e per non perdere la custodia dei figli; abbiamo Shani, fuggita in America per evitare che la famiglia la uccida in quanto lesbica; abbiamo la donna incinta che non vuole assolutamente dare alla luce il frutto dello stupro subito per poter varcare il confine.
Il fatidico undicesimo episodio, probabilmente il più devastante dell’intera serie, ci trascina nell’orrore che è la gestione dei campi e dei processi da parte dell’ICE. Ci mostra i processi serrati e approssimativi che vengono tenuti, con le detenute che non hanno modo neanche di contattare avvocati o di difendersi realmente. Ci mostra processi con imputati che sono solo bambini, neanche consapevoli di dove siano, di perché siano lì o di cosa sia in ballo in quell’aula. Senza avvocati anche loro, chiaramente. E come abbiamo visto in tempi recenti, la realtà supera purtroppo questa rappresentazione che ne è stata fatta.

La stessa Fig, un tempo il diavolo in Terra e ora direttrice riluttante del centro ICE, è sconvolta da quest’ultima goccia che fa traboccare il vaso dell’indignazione e la spinge ad agire concretamente, pur se in maniera quasi ininfluente, contro l’ICE. Fig che ormai convive con Caputo, e che arriva anche ad avere rapporti cordiali con il nuovo direttore del carcere, l’agente Ward, dandole consigli per sopravvivere e per gestire in qualche modo Linda (lei, si, rimane la vipera velenosa di sempre).
La scena finale di Fig e di Caputo fa sciogliere il cuore, mentre Caputo si conferma la buona persona che abbiamo sempre visto, malgrado qualche errore commesso in passato e di cui nemmeno si era realmente reso conto. Altra grande mossa di questa serie, mostrare come anche le brave persone, senza accorgersene, possano tenere comportamenti abusivi nei confronti delle donne. Il movimento #metoo è stato inserito in quest’ultima stagione in maniera davvero intelligente e credibile, mostrandone pregi e difetti.

Nichols subisce un colpo durissimo, perdendo in breve tempo Red, Lorna e la sua nuova amante Shani. Ma saprà rimettersi in piedi dimostrando la crescita compiuta in questi sette anni

E poi, altro colpo a cuore, la famiglia di Nichols.
Red, la sua madre putativa, che l’ha accudita dalla prima stagione aiutandola in ogni modo e che ora affronta le conseguenze dell’isolamento.
Lorna, il suo grande amore platonico che torna ad avere i soliti problemi di accettazione della realtà.
Entrambe si ritrovano in un periodo di enorme crisi, con Nicky che dovrà compiere scelte dolorosissime nelle quali la buona volontà non basterà a risolvere i problemi e tutto sembrerà sfuggirle di mano, un frammento dopo l’altro, prima di ritrovarsi nel finale di stagione a chiudere il cerchio iniziato agli albori della serie, quando si ritroverà in cucina con Flaca, anche lei intenta a chiudere il cerchio e a omaggiare la vecchia maestra prendendone il posto.

Tra tutti i cameo e i personaggi che hanno fatto una comparsa per il finale, però, la persona più importante è senza dubbio Poussey, comparsa chiaramente in un flashback.
E questo perché alla fine della serie viene istituito un fondo di microprestiti per ex detenute, il Poussey Washington Fund, per aiutare economicamente le detenute appena rilasciate così che possano rimettersi in piedi senza trovarsi costrette a ricadere nelle vecchie abitudini.
Ecco, questo fondo che pure ha una sua importanza per alcune persone nella serie e una sua ragione di esistere, è stato creato anche nella realtà.
Da Orange Is The New Black al mondo reale, il fondo è stato creato sia nella finzione che su crowdrise e raccoglie donazioni che verranno distribuite tra una serie di enti che si occupano di carceri femminili, di aiutare le ex detenute e di fornire assistenza agli immigrati rinchiusi nei campi dell’ICE.
Un’iniziativa lodevole e bellissima, che sfrutta un personaggio ormai iconico per tentare di cambiare qualcosa realmente.

Una stagione lunga (quasi tutti gli episodi superano l’ora) che scorre via velocemente, chiude per quanto possibile molte trame e cerca di far comparire tutte le ragazze che hanno contribuito a questo successo.
Dà una degna conclusione alla serie dei record di Netflix, fa soffrire gli spettatori e gli concede qualche vittoria, e soprattutto fa fermare a riflettere su come sia la situazione nella realtà, sulle ingiustizie che avvengono quotidianamente e su cosa sia possibile fare per cambiare le cose.
Ci mancherete ragazze, grazie per quanto ci avete dato in questi anni.

  • 8/10
    Storia - 8/10
  • 9/10
    Tecnica - 9/10
  • 9.5/10
    Emozione - 9.5/10
8.8/10

Summary

La stagione finale di Orange Is The New Black non delude i fan, miscelando risate e tante, tante lacrime. E chiudendo bene molte delle trame aperte in sei anni di storie, aumentando al contempo il contatto con la realtà e impartendo lezioni civiche e sociali agli spettatori.
Solitamente è difficile che il finale di una serie così longeva non deluda le aspettative, ma in questo caso si può dire che forse le ha addirittura eccedute, complimenti.

Porcamiseria

8.8

La stagione finale di Orange Is The New Black non delude i fan, miscelando risate e tante, tante lacrime. E chiudendo bene molte delle trame aperte in sei anni di storie, aumentando al contempo il contatto con la realtà e impartendo lezioni civiche e sociali agli spettatori. Solitamente è difficile che il finale di una serie così longeva non deluda le aspettative, ma in questo caso si può dire che forse le ha addirittura eccedute, complimenti.

Storia 8 Tecnica 9 Emozione 9.5
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