RunRun: un treno molto più divertente di quello di Snowpiercer

Series Recap Ruby e Billy scappano dalle loro vite monotone per ricercare una passione che avevano lasciato nel passato, sarà cambiato qualcosa da allora?

6.3

All’inizio del ventunesimo secolo, un regista di origine coreana semi sconosciuto, sconvolse il pubblico occidentale con un trittico di film ribattezzati poi con l’appellativo di trilogia della vendetta, stiamo parlando ovviamente di Park Chan Wook, autore dello splendido film diventato subito cult, Old Boy (ma anche Agassi, Stoker, I’m a cyborg but that’s ok e facciamo basta altrimenti diventa un’altra recensione) .

Allo stesso modo, una quindicina di anni dopo circa, un’autrice londinese, anch’essa poco conosciuta al grande pubblico se non per produzioni indipendenti, travolse il mondo della serialità con Fleabag e diede vita, con la successiva Killing Eve e ora (anche se indirettamente) con Run ad una nuova trilogia legata stavolta però, al sentimento più complesso e più ricercato da tutto il creato: l’amore.

L’autrice in questione, l’avrete intuito, è nientepopodimeno che Phoebe Waller-Bridge (avrete capito ormai che noi di SerialFreaks e in particolare chi vi scrive, ha una passione smodata per la giovane artista britannica), che con Run, completa (almeno apparentemente) un cerchio tanto perfetto quanto complesso, indagando l’amore attraverso i generi più intricati e sfidando le convenzioni classiche e moderne.

Con Run che cerca di compiere il definitivo salto nell’iperuranio, cercando di fondere due generi tanto diversi quanto incompatibili come la commedia e il thriller

Se con Fleabag infatti aveva descritto l’amore utilizzando la black comedy e fornendo essa stessa il volto della protagonista, con Killing Eve invece sfrutta l’action e la versatilità del ritmo delle serie d’azione per studiare più da vicino i comportamenti umani, ma è con Run che cerca di compiere il definitivo salto nell’iperuranio, cercando di fondere due generi tanto diversi quanto incompatibili come la commedia e il thriller.

Piccola precisazione: Run non è scritta da Pheobe Waller-Bridge, ma da Vicky Jones, coautrice di Fleabag e “co-protagonista” della stessa nella sua prima stagione, mentre la “dolce” Pheobe resta “ai margini” come produttrice esecutiva e con una piccola parte all’interno della vicenda, ma è evidente il disegno più grande, l’idea di partenza che si trovava in Fleabag e la fine che si respira in Run.

Dicevamo, commedia e thriller, due generi che solo a vedersi si prenderebbero a cazzotti, tanto sono agli antipodi strutturalmente parlando: la commedia è storicamente un genere inclusivo, che porta lo spettatore dentro ai personaggi, che li fa empatizzare con gli stessi, arrivando a sentirsi parte della narrazione e delle vicende personali, facendoli sentire inglobati all’interno della situazione, per dare ancora più enfasi alla “comicità” del momento; il thriller invece, lavora su binari completamente opposti, portando gli spettatori e i personaggi ad evadere da una situazione che li opprime, che non sembra lasciare via di scampo e che comporta un ritmo elevatissimo della narrazione, facendo restare lo spettatore “in apnea” per tutto il tempo. Proprio giocando su queste marcate differenze Run costruisce un racconto che funziona, ma soltanto a metà, non riuscendo a rispettare le premesse dell’ottimo inizio, ma come al solito andiamo per gradi.

Proprio giocando su queste marcate differenze Run costruisce un racconto che funziona, ma soltanto a metà, non riuscendo a rispettare le premesse dell’ottimo inizio, ma come al solito andiamo per gradi.

Come detto poco fa Run inizia molto bene: la storia racconta di Ruby, interpretata da Merritt Weaver (finalmente con un ruolo da protagonista dopo l’ottima interpretazione in Unbelievable) e di Billy, che prende il volto di Domhnall Gleeson (ex volto di Harry Potter, Ex Machina e Star Wars, oltre che di uno degli episodi più belli di Black Mirror, Be Right Back).

I due erano innamorati fin dai tempi del college ma per qualche divergenza la loro storia non era decollata e così si erano separati andando per strade diverse, ma con la ripromessa che se uno dei due avesse scritto un sms all’altro contenente la parola RUN e l’altro avesse risposto nella stessa maniera entro le successive ventiquattro ore, si sarebbero visti alla stazione dei treni di Chicago e sarebbero fuggiti insieme, alla scoperta del mondo come due piccioncini.

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La storia inizia in medias res, infatti vediamo i due protagonisti impegnati in quella che sembra la solita routine (almeno per Ruby) e che all’improvviso decidono di lasciarsi le loro vecchie vite alle spalle e rispondere al desiderio incontrollato di vivere una favola, con la persona che hanno sempre sognato e così si ritrovano entrambi dentro un treno.

L’incipit è splendido e il ritmo durante il pilota e i successivi due o tre episodi è perfetto: adrenalina al cardiopalma con entrambi che cercano di scoprire/nascondere il proprio passato all’altro e i momenti di leggerezza e “risate” (ricordate, è sempre una serie di Pheobe Waller-Bridge, il ridere è sempre un qualcosa di intelligente, mai banale) che funzionano da allaccio tra una rincorsa (nel vero senso della parola) e l’altra.

I problemi iniziano paradossalmente quando fa la sua apparizione proprio il personaggio di Pheobe Waller-Bridge (qui con in capelli lunghi che non si vedevano dai tempi di Crashing) e la narrazione si fa più frammentata, si “scende” dal treno e i personaggi perdono di incisività, remando un po’ al contrario e perdendosi in alcuni comportamenti ridondanti (nonostante i soli sette episodi della serie).

Lo stesso finale non è affatto male se non che contribuisce a lasciare lo spettatore con un senso di aver visto qualcosa che era a pochi centimetri dal centrare un bersaglio clamoroso da distanza impossibile, dando sempre l’impressione di colpirlo sicuramente durante il tragitto, salvo poi mancarlo clamorosamente di tanto.

Chiariamoci, il finale di Run è altamente coerente con la poetica di Pheobe Waller-Bridge e delle sue opere

Chiariamoci, il finale di Run è altamente coerente con la poetica di Pheobe Waller-Bridge e delle sue opere: proprio come annunciato dalla stessa Pheobe nella premiére della seconda stagione della sua omonima serie: “This is a love story” ma del tutto impossibile.

Come Pheobe e The Priest, o Eve e Villanelle, gli stessi Ruby e Billy sanno già quale sarà il loro destino, oppresso da convenzioni e istituzioni che difficilmente permettono di lasciarsi andare, anche di fronte all’amore più passionale, ma stavolta il viaggio non è così stupefacente come nelle occasioni passate, sfortunatamente (soprattutto considerando che si tratta di una produzione HBO).

  • 6.5/10
    Storia - 6.5/10
  • 7/10
    Tecnica - 7/10
  • 5.5/10
    Emozione - 5.5/10
6.3/10

Summary

Run conclude (?) un viaggio all’interno dell’amore dal punto di vista di Pheobe Waller-Bridge, ma stavolta invece dell’ennesimo capolavoro si ha più il sentore di occasione sprecata.

Porcamiseria

6.3

Run conclude (?) un viaggio all'interno dell'amore dal punto di vista di Pheobe Waller-Bridge, ma stavolta invece dell'ennesimo capolavoro si ha più il sentore di occasione sprecata.

Storia 6.5 Tecnica 7 Emozione 5.5
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