SpecialiFiori d’arancio nelle serie tv

Una veloce panoramica dei tanti matrimoni celebrati nelle serie tv, per cercare di rispondere ad una semplice domanda: perché tutti devono sposarsi?

Se una notte d’inverno un viaggiatore è un romanzo di Italo Calvino che stravolge le regole del genere in cui si iscrive, configurandosi come un’opera atipica e non convenzionale. In questo anti-romanzo tutti i canoni della narrativa classica vengono infranti, al fine di raccontare una storia fluida e sperimentale, in grado di abbattere i confini tra stili e categorie diverse. Ma anche in questa opera così divergente, in questa storia sui generis che si pone al di sopra di ogni paradigma estetico, anche in questo caso la conclusione al tutto si ricerca in un matrimonio. Nonostante l’originalità che permea l’intero capolavoro, Calvino conclude la storia con il più classico dei matrimoni. E allora se anche nella scrittura più inedita l’happy ending coincide con il matrimonio, c’è da chiedersi il perché. Perché si tende, inconsciamente, a considerare conclusa una storia solo se i personaggi si sposano?

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Partendo dalla letteratura, agganciarsi al mondo seriale diviene consequenziale. Infatti, l’ormai infinito panorama televisivo ci propone molti esempi che avvalorano questa tesi, offrendo  molti spunti di riflessione. Attingendo dal mondo delle sitcom, i casi sono molteplici. Iniziando dall’iconica Friends, e sorvolando sulla dilazione estenuante della relazione tra Rachel e Ross, arrivati alla decima stagione, la situazione sentimentale di Phoebe non si era stabilizzata. In un modo poi affrettato, vediamo anche la più particolare dei sei amici in abito bianco convolare a nozze. Nonostante Phoebe avesse una caratterizzazione così egocentrica da far funzionare il suo personaggio in solitaria anche per dieci anni, se non si fosse sposata forse non avremmo considerato la sua storyline conclusa, ma ancora sospesa. Stessa sensazione che si avverte per la storyline di Raj in The Big Bang Theory.

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D’altronde, se ci facciamo caso, proprio nelle sitcom che descrivono una dinamica corale e amichevole, la conclusione giunge quando tutti i personaggi si sono sistemati e se si prolunga la serie tv oltre questo punto d’arrivo, molto spesso l’interesse viene meno. Ciò, infatti, è accaduto a The Big Bang Theory. Dalla decima stagione in poi, Penny e Leonard hanno totalmente perso il loro status di protagonisti, divenendo solo meri satelliti che ruotano intorno a Sheldon. Come se il loro potenziale narrativo e la loro identità si fosse esaurita e conclusa con l’atto del matrimonio. Infatti, in pochi casi la vita matrimoniale diviene il topic della narrazione. Friends si conclude con Rachel e Ross insieme, ma non abbiamo mai visto ciò che succede dopo, la loro quotidianità. Stessa cosa per Nick e Jess di New Girl. Per mantenere aperto il parallelismo iniziato tra letteratura e serialità, potremmo dire che i Promessi Sposi si concludono con le tanto attese nozze di Renzo e Lucia, ma Manzoni si ferma lì, perché non era interessante descrivere il dopo (e perché – diciamolo – aveva raggiunto la lunghezza massima consentita). Certo tutte le sitcom, adottando uno schema inaugurato da Friends, mettono in scena la vita coniugale di altri personaggi (Monica e Chandler; Lily e Marshall; Cece e Schimdt; Howard e Bernadette), ma mai dei protagonisti, proprio per continuare ad usarli come traino e per evitare l’effetto Penny-Leonard.

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Solo poche serie tv sono state in grado di costruire l’intera sceneggiatura sulla vita di coppia, post luna di miele. Una su tutte: Desperate Housewives. Eppure anche il finale di Desperate Housewives, che aveva esplorato in modo pionieristico ed esemplare ogni dinamica sentimentale e familiare, termina con il matrimonio di Renee, l’unica vicina ad essere ancora nubile, a dimostrazione di come l’atto nuziale sia da sempre il suggello per ogni tipo di narrazione. In Suits, il matrimonio di Mike e Duchess of Sussex Rachel è stato l’espediente perfetto per siglare il loro addio alla serie tv. Immaginate un’uscita di scena diversa?

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In Revenge , nonostante Amanda Clarke avesse completato il suo piano di vendetta contro i Grayson, il solo matrimonio con Jack ha decretato la completa conclusione della storia. Un altro esempio: Emmy Rossum sta per lasciare  Shameless: nessuno considererà conclusa la  storyline di Fiona, senza un ritorno di Jimmy/Steve. Infatti – spoiler alert – il saluto di Ian alla serie coincide proprio con il ricongiungimento con l’amore della sua vita. Se citiamo Gilmore Girls, ci rendiamo conto che il matrimonio è stato il leitmotiv dell’intera serie tv. La stessa condizione di Lorelai di ragazza-madre ha posto il matrimonio al centro della storia, sin dal pilot. L’ossessione materna di vedere la figlia “sistemata”, il ricordo perenne della proposta di Chris, e la relazione con Luke hanno creato un unico asse tematico, che si è concluso solo con le nozze di Lorelai (almeno non in bianco). Gilmore Girls si era conclusa senza matrimoni, ma ci ha pensato il revival ad ovviare a questa dimenticanza, perché Luke e Lorelai si dovevano sposare. Come si dovevano sposare Carrie e Mr. Big, anche al costo di andare contro l’identità della loro relazione e caratterizzazione.

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La domanda è: perché? Perché anche una serie tv così iconica come Sex and the City, manifesto progressista e femminista contro ogni tabù, che ha sdoganato la sessualità femminile, e annichilito ogni stereotipo circa il ruolo della donna, ha avuto la sua conclusione solo con il matrimonio della protagonista? E, attenzione, matrimonio avvenuto, come nel caso di Lorelai, non nella prima scrittura, ma nel film successivo. Se ci si riflette, il fatto che Carrie e Lorelai siano convolate a nozze in un’operazione di revival è significativo. Il revival era avvertito necessario, proprio perché né la storia di Carrie, né quella di Lorelai era percepita come finita, in quanto non erano sposate. E allora, ritornando al quesito iniziale, perché una storia si ritiene conclusa solo con il matrimonio?

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Probabilmente, per una prospettiva borghese interiorizzata e una tendenza a vedere la vita in modo lineare e non circolare, scandita da tappe imprescindibili, tra cui il matrimonio. Stefano Rossi, commentando Bauman, definisce l’individuo un passeggero di un treno, che segue una direzione lineare, in cui è ben chiaro il punto di partenza e il punto di arrivo. Nella vita moderna la destinazione della nostra corsa è, per la maggior parte delle persone, un buon lavoro, con una buona relazione e una buona famiglia. La serialità e la letteratura si limitano solo a rappresentare questa concezione della vita, scandita in più stazioni, che volente o nolente, permea l’immaginario collettivo. Per questo, un autore divergente come Calvino o una serie tv visionaria come Sex and The City hanno comunque declinato le proprie storie secondo il più classico degli happy endings. Si tratta di un diktat così radicato nella nostra società, da essere divenuto, a livello inconscio, un abito mentale, un filtro antropologico con cui, in maniera istintiva e involontaria, tendiamo ad interpretare la realtà. Da sempre.

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Pochi sono i casi in cui un personaggio ha avuto una caratterizzazione così solida da non esser considerato mutilato da un non avvenuto matrimonio. Mi riferisco, in primis, a Cristina Yang in Grey’s Anatomy , portavoce dell’universo ideologico di Shonda Rhimes. Il successo lavorativo diviene l’unico coronamento possibile della storia di Cristina. La scrittura analitica riservata al suo personaggio, divenuto iconico e paradigmatico, ha poi permesso di evitare l’equazione donna di successo ≡ single (la storia con Owen o Burke non è finita per il suo successo), evitando uno stereotipo atavico e fortemente radicato.

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L’altro personaggio, la cui storia non ha avuto come corollario nessun matrimonio, è Alicia Florrick in The Good Wife. Scissa tra Peter, Jason e il ricordo di  Will, il finale volutamente aperto rende libera Alicia da ogni legame e dovere coniugale, ponendola al centro della scena per la prima volta sola, confutando definitivamente lo stesso titolo della serie tv. Come, poi, non citare Samantha, l’unica vera “donna sex and the city”. Per completare poi il discorso sulle sitcom, non far sposare Barney, dopo il divorzio da Robin, (How I met your Mother) o Joey (Friends) era l’unica scelta possibile per non stravolgere la loro storyline.
Alla fine di questa veloce panoramica tra serie tv e letteratura, ciò che resta è una nuova consapevolezza di quelle dinamiche interpretative della realtà, inconsce in ognuno di noi, in quanto pilastri fondamentali della struttura sociale in cui agiamo e ci riconosciamo.