Speciali | The CrownThe Crown Season 3: essere la Corona

Conoscenza di se stessi e di cosa si rappresenta. È questo quello che affronta la terza stagione di The Crown tra una sceneggiatura dolce e violenta allo stesso tempo e un cast che convince senza alcun rimpianto per il precedente.

Cosa significa davvero essere la Corona? Cosa rappresenta realmente quel bellissimo oggetto fatto di diamanti che se messo sulla testa di una persona dà di diritto grande potere? È ciò che molto probabilmente si è chiesto Peter Morgan quando ha scritto la sceneggiatura della terza stagione di The Crown, acclamatissima serie Netflix vincitrice di numerosi premi e lodata da innumerevoli critici sia per il cast che per i dialoghi. E fortunatamente questa stagione non è stata da meno.

Certamente all’inizio ogni spettatore si sarà sentito straniato dai nuovi volti che andavano ad interpretare vecchie conoscenze ma ci si fa presto l’abitudine – e c’era da aspettarselo. Nomi come Olivia Colman o Helena Bonham Carter entrano subito nei nostri cuori e vanno ad affiancare quelli di chi le ha precedute.

La terza stagione di The Crown ci racconta una famiglia reale immersa nel passato, ma circondata da un mondo che guarda al futuro

L’arco temporale copre circa dieci anni della vita della monarca Elisabetta II, partendo dal 1964, anno dell’elezione del laburista Harold Wilson e terminando nel 1977 quando la Regina celebrava il suo 25° anno di regno, il cosiddetto Diamond Jubilee. Sono questi anni complicati per chi governa e Morgan decide così di trasportare un tema tanto caro alle generazioni dell’epoca nella vita della monarchia. Il fenomeno del Sessantotto diede linfa alle classi sociali meno abbienti, tra nuove ambizioni e consapevolezza di cosa e chi si era. E qui, in The Crown, la famiglia reale deve affrontare la medesima cosa.

In una società che va avanti, tra i lavoratori che chiedono una paga più alta e più sicurezza e gli americani che raggiungono la Luna, la Corona sembra ancora qualcosa di antiquato, legata al passato, alle tradizioni e al protocollo, ma deve andare avanti, deve guardare al futuro. Soprattutto deve capire la sua identità in un mondo che guarda solamente a domani e non più a ieri. I dieci episodi che costituiscono questa terza stagione ci trasportano proprio in questo mondo, un viaggio di formazione affrontato dai protagonisti che li porterà a capire quale è il loro ruolo sulla grande scacchiera chiamata monarchia inglese.

Elisabetta II: essere una regina

C’è solo una regina. Questa frase proviene dalla bocca della Principessa Margaret sul finale dell’ultimo episodio. È rivolta alla sorella che, nel giorno del 25° anno di regno, cerca di capire il suo ruolo all’interno della monarchia. Questo è stato il viaggio che Morgan ha fatto compiere alla sua protagonista nel corso di questa terza stagione di The Crown. Un viaggio verso la comprensione di cosa e chi è, e di quale sia il suo vero significato in un Regno Unito che sempre di più guarda al suo futuro mentre la famiglia reale sembra restare attaccata a protocolli e tradizioni. Elisabetta si sente così divisa tra quello che le è sempre stato insegnato e quello che, ad esempio, il figlio Carlo vuole abbracciare: la modernità. Come il pendolo di un orologio, Elisabetta si muove tra tradizioni e voglia di provare ad essere se stessa. Ce lo racconta bene il terzo episodio.

Ambientato durante la tragedia di Aberfan, in cui decine di bambini persero la vita all’interno di una scuola a seguito del crollo di una miniera di carbone, l’episodio ci mostra una regina divisa su cosa fare: andare sul luogo della tragedia per mostrarsi coinvolta emotivamente o restare a Buckingham Palace. Solo dopo essersi emozionata al racconto del principe Filippo, andato in sua vece durante i funerali, deciderà, infine, di recarsi sui luoghi del disastro. Aveva scelto il silenzio al posto della parola. E proprio sul silenzio è utile soffermarsi qualche secondo.

Aberfan è tra i dieci l’episodio più bello, quello che meriterebbe tranquillamente un dieci. Peter Morgan sceglie proprio il silenzio come via maestra della sceneggiatura, facendo parlare le inquadrature che si soffermano sui bambini innocenti all’inizio, sulle macerie e sui feriti nel corso dell’episodio. Certo i dialoghi ci sono, ma sono lasciati all’essenziale. Una fotografia che punta a far risaltare i colori scuri come il grigio e il nero – simboli del lutto e del carbone – dona all’episodio una certa angoscia che i 50 minuti dell’episodio sanno sfruttare alla perfezione per tenere incollato allo schermo lo spettatore.

È Aberfan l’episodio più bello di questa stagione grazie ad una sceneggiatura che suscita nello spettatore un silenzio assordante

Elisabetta deve così mostrarsi triste di fronte al suo popolo, ma soprattutto deve piangere: perché è questo che importa, che la Regina venga percepita come commossa e trasportata davanti alla tragedia. Non serve che sia reale, basta che quel fazzoletto lambisca i suoi occhi. E sul finale questo glielo dice anche il primo ministro durante uno dei classici colloqui a Buckingham:

Non possiamo essere tutto per tutti e al contempo essere veri a noi stessi

La Regina è così divisa su chi lei è realmente. Vuole provare ad essere vera, ad essere stessa, ma così non può rappresentare quello che i cittadini chiedono, ognuno in maniera differente. A quella commemorazione Elisabetta – questo traspare nella serie, nella realtà sarebbe impossibile da dire – non si era emozionata: la puntata termina proprio con una lacrima che scende dal suo mentre ascolta un canto intonato durante i funerali delle vittime di Aberfan. Al di là della bellezza di questa scena, è un episodio determinante nel viaggio di formazione che Elisabetta affronta e che si conclude, almeno in questa stagione, con l’ultimo episodio.

Nel finale c’è una meravigliosa conversazione tra le due sorelle nella quale Margaret ci dice cosa sia la monarchia, andando a chiudere un cerchio che ha toccato tutti i personaggi, compresa lei stessa. In quei dieci anni la Regina ha affrontato molti eventi, dalla tragedia di Aberfan fino all’avere un ministro socialista, passando per le rivolte dei minatori che hanno eliminato l’elettricità da Buckingham. E si chiede: cosa ho effettivamente raggiunto in questi 25 anni di regno se il mondo attorno a me sta cadendo a pezzi? La risposta arriva proprio dalla bocca di Margaret: la Corona rappresenta la sicurezza, la garanzia, la certezza di un mondo saldo e integro.

Non importa che effettivamente tutto stia crollando, se la monarchia si mostra sicura di sé allora la percezione sarà quella. È dunque questo il ruolo di Elisabetta: non far trasparire i problemi. Le tradizioni e i protocolli diventano così lo strumento necessario al monarca per tenere le redini del suo mondo quasi dovesse dirigere un teatrino in cui tutto va sempre bene. Ma in fondo il monarca è pur sempre un garante. La più alta carica dello stato deve fare anche questo, tenere tutti i pezzi assieme affinché quel mondo non crolli definitivamente su se stesso.

Elisabetta affronta la sua formazione come regnante in questa stagione: Olivia Colman ce lo racconta in maniera egregia

Olivia Colman è bravissima nel rappresentare tutto ciò. La sua compostezza ci regala una Regina Elisabetta oramai matura e conscia del suo ruolo. La quasi assenza di espressività diventa qui una qualità perché permette alla Colman di portare sullo schermo una sovrana cresciuta e che sa affrontare quello che la realtà le mette di fronte. Dall’innocenza di Claire Foy alla solidità marmorea di Olivia Colman, la Regina Elisabetta II rimane lo stesso personaggio, evolvendosi in questa stagione sin dal primo episodio, in cui la nuova sovrana viene mostrata sui francobolli commemorativi.

Margaret: essere seconda

Anche la trasformazione di Margaret riguarda il suo ruolo all’interno della scacchiera della monarchia, in questo caso l’essere seconda rispetto ad Elisabetta.
Sin da quando Peter Morgan ce l’ha presentata nella stagione di debutto, la questione dell’essere la seconda è sempre stato uno dei leitmotiv del personaggio di Margaret. Lei scontrosa, indipendente, indisciplinata e libertina, rappresentava nella realtà – e rappresenta per corrispondenza nella serie – tutto quello che la monarchia non dovrebbe essere: mancanza di rispetto per il protocollo e sregolatezza nella vita. La questione viene affrontata nel secondo episodio dal meraviglioso titolo Margarethology, quasi ci fosse un modo di fare tipico della principessa – e, in fondo, esisteva davvero. Ricevuto dalla Regina il compito di convincere il presidente americano ad aiutare la malmessa economia britannica, la principessa si lascia andare ad una cena tra alcool e canto. Così l’abbandono del protocollo e della tradizione diventa qui il mezzo per ottenere la vittoria e i fondi richiesti.

Benché Margaret non sia stata molto protagonista di questa stagione di The Crown, il suo viaggio non si può dire che l’abbia portata a capire chi effettivamente sia all’interno della famiglia reale. Sin da quando è nata si è sempre sentita l’eterna seconda, colei che arriva dopo la sorella-regina. Ma in questa stagione, nel finale per esattezza, decide di mettere se stessa davanti agli altri. Sapendo del tradimento del marito, si lascia andare ad un’amicizia – che nella realtà lei definì amorosa – con un giardiniere molto più giovane di lei. Ripagare il marito con la stessa moneta sarà però la strada verso il suo declino. Terminare la stagione proprio con la separazione tra Margaret e il conte di Snowdon e il tentato suicidio della principessa è ideale per chiudere il cerchio di questo personaggio e aprirne uno nuovo.

Benché meno protagonista rispetto alle due stagioni precedenti, Margaret resta uno dei personaggi migliori e alla quale la Bonham Carter rende giustizia

Helena Bonham Carter è straordinaria nel rappresentare Margaret. La sua espressività sempre eccellente riesce a trasmettere a chi guarda sentimenti ed emozioni di una donna alla quale la vita non ha di certo sorriso. Non vediamo l’ora che arrivi la prossima stagione, quando la serie inizierà a coprire gli anni più complicati per la principessa dove alcool, fumo e depressione l’hanno portata perennemente sotto i ferri prima e poi alla morte.

Filippo: essere più di una spalla

Essere il marito di una regina non è semplice, soprattutto se non vieni chiamato re (come ci si aspetterebbe), ma semplicemente principe o “sua altezza reale”. Sin da quando la serie ci ha fatto conoscere Filippo si è sempre concentrata su questo tema. Basti ricordare la meravigliosa scena dell’incoronazione di Elisabetta nel corso della prima stagione. Filippo è sempre stato una sorta di spalla rispetto alla sua consorte e in questa stagione non è da meno.

Innanzitutto bisogna sottolineare una cosa. A differenza delle due precedenti stagioni, in questa sembra esserci meno intimità tra i coniugi: Filippo è più un consigliere che un marito. In questo il secondo episodio è esemplificativo, in quanto è lui a consigliare ad Elisabetta come muoversi rispetto alla sorella, la quale chiede più riconoscimento e più mansioni politiche dopo il successo avuto negli Stati Uniti. Ma non solo. In tutta la stagione i due sembrano più che altro colleghi di lavoro, creando una sorta di storpiatura rispetto al rapporto messo in scena da Claire Foy e Matt Smith, che nelle due stagioni precedenti avevano un’intimità molto più naturale. Forse perché gli autori si sono concentrati maggiormente su tutta la famiglia reale piuttosto che su Elisabetta singolarmente, i due personaggi non danno l’impressione di essere marito e moglie, ma quasi coinquilini molto affiatati.

Però il fatto di poter vedere maggiormente la figura di Filippo indipendente da quella della Regina è stato molto positivo e ha reso diversa questa stagione di The Crown. Anch’egli come tutti cerca di capire quale sia il suo ruolo all’interno della monarchia. Dal rapporto con la mamma e il suo passato, fino a quello col presente e il futuro incarnato nello sbarco sulla Luna, del quale egli fu grande ammiratore. Il principe di Edimburgo vuole essere qualcosa di più che il marito della Regina. Egli vuole poter essere partecipe della vita della monarchia, avere un ruolo maggiore all’interno delle decisioni e dare di sé un’immagine diversa da quella che il mondo si immagina.

Ecco che allora propone la registrazione di un documentario sulla vita della famiglia reale del quale egli diviene quasi regista, ma che lo costringe ad affrontare la madre che aveva messo da parte per varie vicissitudini. Per questo motivo stringerà una forte amicizia con un nuovo prete al quale racconterà quello che pensa di se stesso e come si sente all’interno di una famiglia che di normale ha davvero poco.

Finalmente vediamo un Filippo che brama l’indipendenza, mosso da un maggiore spirito di iniziativa: tra Menzies e la Colman non sembra però esserci una naturale intimità

La compostezza di Tobias Menzies mette il personaggio sotto una nuova luce permettendo allo spettatore di entrare più in contatto con questa figura straordinaria. Ancora oggi alla veneranda età di 98 anni Filippo continua, anche se non più davanti ai riflettori, a sostenere la Regina, al quale è legato da un’amore che si è dimostrato essere forte, nella serie come nella realtà. Un legame duraturo, nonostante le difficoltà che entrambi hanno affrontato.

Carlo: essere il futuro

Se Elisabetta è il presente, Carlo è qui il futuro. Il viaggio di formazione che il principe del Galles affronta in questa terza stagione di The Crown è apprendere quello che sarà il suo compito da monarca. Lo fa guardando con rispetto al passato, come ogni giovane figlio della sua generazione, ma anche per distanziarsene e migliorare il futuro.

Per l’entrata in scena del principe Carlo bisogna aspettare il sesto episodio, in cui viene nominato principe del Galles e inviato in quella terra per imparare il gaelico – tra l’altro gran parte dell’episodio è recitata proprio in gaelico che riesce così a donare ancora più realismo ad una serie che di realismo ne avrebbe da vendere. Si trova così di fronte ad una popolazione ribelle che vede la famiglia reale solamente come un teatrino. Carlo ascolta e impara, vuole essere diverso. Così decide di studiare per bene anche la storia del Galles, di scrivere di suo pugno una parte del discorso per promettere ai gallesi che a differenza dei suoi predecessori lui sarà diverso, sarà più presente.

Nel meraviglioso colloquio tra mamma e figlio che chiude l’episodio, Carlo si svela in tutto il suo splendore nei confronti della mamma. Vuole essere diverso, vuole prendere una posizione perché è questo che deve fare un regnante. Non può solamente essere una statuina da esposizione, ma qualcosa di più. Per questo è bellissima la scena che chiude questa terza stagione di The Crown, quando durante i festeggiamenti del Diamond Jubilee Elisabetta nella carrozza si volta verso il Carlo. È lo sguardo di chi conosce il peso di un ruolo che presto toccherà al figlio ed è certa che sarà un monarca totalmente diverso da lei. E così nella lettera, che Carlo scrive al pro-zio Edoardo VIII, la Corona diventa il volto dei tempi che cambiano. Non è statica, si muove e – prima o poi – poggerà sulla testa di Carlo. Sarà in quel momento che la monarchia cambierà e con essa il suo significato.

Carlo diventa in questa stagione uno dei personaggi meglio tratteggiati grazie anche ad un Josh O’Connor eccellente

Non vi è giusto o sbagliato, per Carlo la Corona significa essere un vero supporto nei confronti del popolo. È il vecchio re Edoardo VIII ad insegnarglielo. Sul retro dell’orologio da taschino, che Carlo ottiene in regalo alla sua morte, c’è una frase che per lui diventerà in quel momento come la luce di un faro:

Nessuna scusa nel prendere la direzione sbagliata

Gli viene impedito di sposare Camilla Shand – l’attuale moglie – semplicemente perché non nobile. La Regina prova a mettersi dalla parte del figlio, ma le viene detto che per la stabilità della monarchia Carlo deve sposare una donna nobile. Carlo viene così nuovamente schiacciato dalla superiorità delle tradizioni che nella famiglia reale diventano quasi di vitale importanza. E sarà proprio quello che accadrà a Carlo, il matrimonio con la figlia di un conte, Diana – questa però è un’altra storia che non vediamo l’ora di poter guardare.

Josh O’Connor è bravissimo nel rappresentare la figura di Carlo. Non solo la somiglianza col Carlo dell’epoca è impressionante, ma O’Connor è davvero eccellente nell’imitare la gestualità e l’espressività del giovane Windsor. Fra tutti lui è il nostro preferito, perché riesce con estrema naturalezza a farti entrare in contatto con una figura che all’epoca era quasi un ribelle, ma che voleva solamente portare la monarchia verso il futuro.
Va fatta una menzione speciale anche a Erin Doherty, che in questa stagione ha messo in scena la principessa Anna, secondogenita della coppia regnante. Anche lei molto brava nel rappresentare un personaggio che tutt’oggi è definito ribelle e che, quindi, ricorda molto la figura della zia Margaret.

The Crown: un meraviglioso racconto

Giunti alla fine di questa terza stagione è naturale chiedersi: cos’è esattamente The Crown? Peter Morgan si dimostra nuovamente un eccellente narratore, la sua scrittura è dolce e violenta allo stesso tempo, portando sempre il rispetto che la famiglia reale merita. Non esita a far trasparire possibili tradimenti coniugali da parte della Regina, ma lo fa in silenzio, senza dirlo espressamente. Getta l’amo lasciando abboccare chi vuole.

È davvero difficile poter trovare difetti in una serie che si dimostra nuovamente una meravigliosa perla in un mare di prodotti televisivi. Forse la colonna sonora questa stagione è risultata leggermente sottotono, ma in fondo sono solo dettagli. La recitazione c’è, la storia pure: lo spettatore non può fare altro che sedersi nella carrozza e lasciarsi trainare da una storia vera più che mai.