The 1004×09 DNR

La situazione a Polis si fa sempre più tesa e con il Praimfaya imminente non c'è da scherzare. Ad Arkadia, invece, la pensano in modo "leggermente" diverso. E quale idea brillante si sarà fatta venire Raven? Scopritelo, nella nuova puntata di The 100, che come ogni settimana ci accompagna per quaranta minuti con un colpo di scena dopo l'altro.

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DNR. Non rianimare. No, non siamo in Grey’s Anatomy – anche se i più fedeli ai medical drama sicuramente avranno notato il riferimento tecnico della sigla che dà il titolo a questa nona puntata di The 100. E come sempre, quello che era partito come una serie prettamente teen – con sprazzi “bucolici” – per diventare un post-apocalittico con i controcazzi tutti i crismi ci intrattiene anche stavolta, intavolando quaranta minuti di preludio al prossimo episodio.

Non si può parlare di filler in questo caso, non quando la trama orizzontale è l’unica storyline che viene portata avanti: il tempo è tiranno e per tutto quello che c’è da raccontare non si può sprecare un istante. Questo gli sceneggiatori sembrano averlo capito molto bene: anche in una puntata dove fondamentalmente non succede nulla, i continui cambi di schieramenti e colpi di scena fanno da scheletro ad una narrazione serrata, sempre attenta a stupire senza tuttavia scivolare nel sensazionalismo a ogni costo.

Whatever the hell we want

Jasper ha dimostrato, in questa quarta stagione, di essere tutt’altro che un personaggio infantile; sebbene il suo cinismo e disillusione possano essere scambiati per la classica ribellione adolescenziale, il discorso che fa a Bellamy dimostra che la frattura che l’ha fatto cambiare – la morte di Maya e il massacro di Mount Weather, ormai due stagioni fa – è profonda, e molto più di quanto sembri. Il recupero del mantra che I Cento ripetevano nelle prime puntate, quando erano ancora giovani e “innocenti” – Whatever the hell we want – viene ripescato in un impeto quasi malinconico, condito tuttavia dal solito, dissacrante desiderio di morire. Perché che Jasper voglia morire è ormai evidente; da spettatori sappiamo che probabilmente non succederà, ma The 100 ha imparato a stupirci.

Quello da non rianimare, quindi, è proprio Jasper che in una citazione quasi lostiana – e ci perdonino i fan della serie per l’azzardato paragone – scrive sul palmo della mano DNR, prima di piantarlo sul vetro della sala in cui lui e un manipolo di altri morituri si sono barricati per non partire con Jaha e gli altri alla volta del bunker scoperto nella scorsa puntata. Non è altrettanto convincente la conversione di Harper alla filosofia del “tanto moriremo tutti, che senso ha combattere”, troppo frettolosa e poco ragionata. Come è un po’ tirata per i capelli la decisione del razionalissimo Monty di restare con gli aspiranti suicidi ad Arkadia, per amore della stessa Harper. Staremo a vedere, ora che le strade si sono separate, come svilupperanno questo gruppo.

Azgeda vs Trikru

Meanwhile, la situazione a Polis si fa sempre più tesa: l’imminente arrivo del Praimfaya viene affrontato diversamente dalle due principali tribù che si contendono la città e stavolta Clarke fa una – per usare un termine tecnicograndissima cappellata. L’idea di diventare Commander per chetare gli animi di Indra e Roan, che si contendono il bunker ora che il tempo stringe, non è esattamente la più brillante del secolo: oltre a polverizzare la fiducia che Roan aveva negli Skaikru, convinto che avessero distrutto il chip che viene innestato in ogni Commander, commette un errore abbastanza grossolano per la caratterizzazione del personaggio.

La religione delle popolazioni dei Grounders è un misto di tecnologia, scienza e riti tribali,molto spesso inspiegabile ma profondamente sentita. Il fatto che Clarke sia diventata una Natblida (imbrogliando tutti quanti, non perché stata “scelta” da chissà che entità spirituale) è un’onta troppo grave per essere accettata dalle tribù, oltre che una decisione discutibile. Wanheda è solita ai colpi di testa, questo sì, ma ha sempre avuto rispetto per le tradizioni dei Grounders – l’errore è abbastanza bruttino e probabilmente vittima di una scrittura frettolosa per portare la tensione tra la Nazione del Ghiaccio e i Trikru al culmine.

Il vincitore del duello fra tredici guerrieri – uno per ogni tribù – decreterà il popolo che ha diritto ufficiale a utilizzare il bunker; questo è lo spunto ideale per integrare nuovamente Octavia nella storyline principale e strapparla dalla nuova vita bucolica che si è scelta in compagnia di Ilian. La Skairipa è ormai una guerriera e un’esistenza passata a zappare la terra in attesa di morire per le radiazioni non è esattamente il suo scopo. Tornare a Polis per gettarsi nella mischia è proseguire il percorso che ha intrapreso il personaggio ormai dalla seconda stagione, confermando di essere quella che ha avuto il cambiamento e la maturazione migliore: da ragazzina ribelle senza un motivo vero e proprio è diventata una donna e una valida risorsa in situazioni critiche. Un plauso agli sceneggiatori, di nuovo, per aver scardinato gli stereotipi del teen drama.

Spacewalker

Il terzo troncone in cui è diviso l’episodio è l’epopea della povera Raven, che al solito non ottiene una gioia neanche da moribonda. Esatto, moribonda, perché per quanto sembri in salute il suo cervello non lo è, sempre più corrotto dal codice di A.L.I.E. rimasto intrappolato tra i neuroni che le provoca allucinazioni e attacchi epilettici. Un ictus dopo l’altro, insomma – nient’affatto piacevole. L’ultima allucinazione è nientepopòdimenoche Becca, che da brava scienziata le dimostra che è possibile andare nello spazio per produrre il siero per tutti; quello che non si può fare, come già accennato, è tornare. Ma per Raven, che non ha nulla da perdere, potrebbe essere l’occasione ultima per tornare nello spazio e fare ciò per cui è nata: la spacewalker.

Un riluttante Murphy – anche lui maturato in modo quasi commovente rispetto alla prima serie – si congeda così assieme a Emori dalla meccanica, lasciandola nel laboratorio in cui avrebbero dovuto produrre il siero. Che fine farà Raven, rimasta sola con le sue allucinazioni e i suoi progetti all’apparenza folli, non ci è dato sapere. Quello che sappiamo è che il Praimfaya è sempre più vicino e non c’è tempo per le scaramucce fra tribù. Qui, d’ora in poi, si fa sul serio.

4

 

Quattro porcamiseria, perché i colpi di scena e lo sviluppo della trama procedono lisci, intrattenendo per quaranta minuti in modo talmente piacevole da non considerare l’orologio. L’unico difetto che si può attribuire a questa stagione è che, stavolta, il nemico non si vede. La minaccia del disastro nucleare è pressante, ma forse manca leggermente la capacità di ricordarci che davvero se le faccende non si risolvono, qua ci muoiono tutti. Il deus ex machina che salvi tutti, a sto giro, dovrà essere davvero spettacolare.

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